Pensioni

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Con la legge 147/2013 vengono estesi i benefici del mantenimento delle vecchie regole previdenziali ad ulteriori 23 mila lavoratori esodati

Com'è noto il governo è intervenuto per la quinta volta in materia di salvaguardia rispetto alle nuove regole previdenziali introdotte con la legge 201/2011. Il veicolo utilizzato questa volta, come l'anno scorso, è stata la legge di stabilità approvata poche settimane fa dal Parlamento (legge 147/2013) che di fatto estende il rispetto delle vecchie norme previdenziali (vigenti sino al 31 dicembre 2011) ad un ulteriore contingente di 23 mila esodati.

La misura nello specifico interviene su due fronti. Da un lato il governo estende con il comma 191 dell'articolo 1 della legge 147/2013 di 6mila unità il contingente dei prosecutori volontari salvaguardati ai sensi della lettera b) dell'articolo 1, comma 231 della legge 228/2012. Si tratta degli autorizzati alla prosecuzione volontaria entro il 4 dicem­bre 2011, con almeno un contributo vo­lontario accreditato o accreditabile al 6 dicembre 2011, anche che abbiano lavorato (purchè non con contratti a tempo indeterminato e con un reddito massimo lordo annuo di 7.500 euro) che maturano la decorrenza della pen­sione entro il 6 gennaio 2015. Con questo intervento il contingente passa dunque dalle originarie 1.590 unità (come individuate dal Dm 22 Aprile 2013) a 7.590 unità.

Il secondo fronte invece, riguardante 17mila persone, introduce nuove fattispecie di salvaguardia (Art. 1, commi 194-198, legge 147/2013). Nello specifico vengono ammessi alla tutela:

a) gli au­torizzati alla contribuzione volontaria prima del 4 dicembre 2011 con un contri­buto volontario accreditato o accreditabi­le al 6 dicembre anche se hanno svolto dopo il 4 dicembre 2011 attività lavorativa non a tempo indeterminato (indipendentemente quindi dal reddito conseguito);

b) i contributori volontari anche se non hanno un contributo volontario accreditato o accreditabi­le al 6 dicembre a condizione che abbiano almeno un contributo accreditato derivante da effettiva attivita' lavorativa nel periodo compreso tra il 1º gennaio 2007 e il 30 novembre 2013 e che alla data del 30 novembre 2013 non svolgano attivita' lavorativa riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato;

c) i cessati dal servizio entro il 31 dicembre 2012 a seguito di accordi individuali o collettivi di incenti­vo all'esodo sottoscritti entro il 31 dicembre 2011 anche se dopo l'esodo hanno lavorato purché non a tempo indeterminato;

d) chi è stato licenziato tra il 2007 e il 2011 anche se in seguito ha lavorato purché non a tempo indeterminato;

e) coloro che sono stati collocati in mobilità ordinaria entro il 4 dicembre 2011 ed sono stati autorizzato alla prosecuzione volontaria della contribu­zione se entro sei mesi dalla fine della mo­bilità verseranno i contributi volontari per raggiungere i requisiti ante riforma.

E' posta come condizione che la decorrenza della pensione per queste 17mila persone de­bba verificarsi - secondo quanto prevedevano le vecchie regole - tra il 1° Gennaio 2014 ed il 6 genna­io 2015 (comma 195, articolo 1, legge 147/2013). La formulazione della norma è tuttavia dubbia. Nello specifico il comma 195 infatti non precisa se coloro che avrebbero l'apertura della finestra prima del 1° Gennaio 2014 siano esclusi tout court dalla salvaguardia o se, come sembra, il pagamento della pensione avverrà solo da quella data.

Come si nota, nella maggior parte dei ca­si, l'ampliamento della platea di beneficiari è stato ottenuto allentando il vincolo ri­guardante il reddito da lavoro previsto nei precedenti interventi di salvaguardia. Le modalità operative di attua­zione saranno definite, in modo analogo a quanto già avvenuto per altre misure precedenti, con un decreto interministe­riale che dovrà essere promulgato entro il 2 marzo 2014 (60 giorni dall'entrata in vigore della legge 147/2013).

Per la salvaguardia dei 23mila è previ­sta una spesa massima di 950 milioni di euro dal 2014 al 2020, finanziata, tra l'al­tro, anche con l'ulteriore innalzamento delle aliquote contributive a carico di una parte degli iscritti alla gestione separata dell'Inps. L'Inps, come al solito, monitorerà le domande presentate dai lavoratori interessati e al raggiungi­mento di quota 17mila, non dovrà accetta­re ulteriori richieste di ammissione al beneficio in parola.

La legge di stabilità 2014 (l.n. 147/2013) reca una norma di interpretazione autentica concernente le gestioni previdenziali obbligatorie facenti capo ad enti previdenziali di diritto privato, al fine di specificare che gli atti e le deliberazioni adottati dagli enti ed approvati dai Ministeri vigilanti prima del 1° gennaio 2007, sono fatti salvi unicamente a condizione che essi siano intesi ad assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine delle gestioni previdenziali. 

La legge dunque conferma che, a condizione che siano finalizzati ad as­sicurare l'equilibrio finanziario di lungo ter­mine, tutti gli atti e le deliberazioni adottati dagli enti e approvati dai Ministeri vigilanti prima del 2007 si intendono legittimi ed effi­caci. Nello specifico la norma concede una in­terpretazione autentica dell'ultimo periodo dell'arti­colo 1, comma 763, della legge 296/2006 secondo la quale gli enti che evidenziano squilibri finanziari possono rivedere le prestazioni garantite in maniera graduale, te­nendo conto del principio del pro rata e nel rispetto dell'equità tra generazioni. L'interpretazione si è resa necessaria per rafforzare la posizione degli enti previdenziali di diritto privato dai contenziosi presentati dagli iscritti che hanno avuto una riduzione delle tutele previdenziali erogate sulla base di atti approvati prima del 2007.

La legge di stabilità interviene anche sulle spese di funzionamento di tali enti, consentendo che, a decorrere dal 2014, gli enti previdenziali adempiano gli obblighi di contenimento della spesa a cui sono soggetti sulla base della normativa vigente effettuando, in via sostitutiva, un riversamento in favore dell’entrata del bilancio dello Stato, entro il 30 giugno di ciascun anno, pari al 12 per cento della spesa sostenuta per i consumi intermedi nell’anno 2010.

Sono sempre più le donne che decidono di accedere alla pensione contributiva con l'opzione donna 57 anni di età 58 per l'autonomia e 35 anni di contributi dopo l'entrata in vigore della riforma Fornero.

Secondo i dati dall'Inps le domande per accedere al regime sperimentale donna introdotto nel 2004 hanno registrato negli ultimi 2 anni una forte crescita. Il regime donna, è noto, si tratta purtroppo dell'unica scappatoia attualmente ancora disponibile per poter andare in pensione con un po' di anticipo rispetto alle nuove regole. Un beneficio, se così può essere chiamato, fruibile solo per il gentil sesso a condizione però di avere una pesante penalizzazione dal punto di vista economico. Chi opta per l'opzione donna otterrà infatti la liquidazione della pensione con il calcolo contributivo che significa, a conti fatti, una decurtazione dell'assegno medio che può toccare anche il 35 per cento.

Nonostante questi risvolti economici negativi lo sperimentale rimane l'unico canale d'uscita anticipato che ha superato indenne le maglie restrittive della Riforma Fornero del Dicembre 2011. E non sorprende quindi il fatto che nei primi due anni dall'introduzione della Riforma, le domande per l'opzione donna hanno subito un vero e proprio boom. Secondo i dati dell'INPS infatti l'opzione prevista dall'articolo 1, comma 9, della legge 243 del 2004 e' stata scelta da oltre 17.500 donne in tutto con una fortissima accelerazione nello scorso anno quando si è toccata quota 8.846 domande (contro le 5.646 del 2012).

Una vera e propria corsa destinata però a fermarsi in anticipo rispetto a quanto originariamente previsto. Secondo la circolare 35/2012 Inps possono infatti fruire del beneficio solo le donne con 57 anni di età (58 le autonome) e 35 anni di contributi la cui finestra di decorrenza si apra entro il 31 Dicembre 2015 (cioè una volta perfezionati i requisiti bisogna aggiungere il periodo di finestra mobile di 12 o 18 mesi a seconda se trattasi di lavoratrice dipendente o autonoma). Nella legge istitutiva in realtà non si faceva alcun riferimento alla decorrenza lasciando immaginare che il beneficio fosse fruibile a condizione di maturare i soli sopra citati requisiti anagrafici e contributivi entro il 31.12.2015.

La Corte dei Conti con la delibera n. 21/2013 boccia la speciale indennità pensionabile (SIP) a decorrere dal 9 Ottobre 2010, data di entrata in vigore del nuovo codice militare.

 Secondo quanto stabilito dalla Corte dei Conti i Vicecomandanti Generali dell'Arma non possono avere diritto alla SIP. La SIP è quell'emolumento in busta paga - pari a circa 4.800 euro netti in più al mese - che viene concesso ai Generali e ai Vice Generali di Corpo d'Armata che vanno in ausiliaria per un periodo di cinque anni. Si tratta in realtà di un vero e proprio privilegio particolarmente difficilmente da comprendere in un periodo tagli e di crisi economica come quello attuale.

La SIP infatti non viene corrisposta solo per il periodo di ausiliaria dell'Ufficiale - un periodo pari a cinque anni dopo aver lasciato il servizio durante i quali l'Ufficiale può essere richiamato in servizio dall'Arma  - in quanto l'indennità poi entra a far parte dell'assegno pensionistico portando quest'ultimo a circa 14mila euro lordi mensili.

La speciale indennità fu istituita per il capo della Polizia-direttore generale della Polizia di Stato nel 1981, poi estesa nel 1987 ai comandanti generali dell'Arma e della Guardia di Finanza, al capo della Forestale e del Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria); nel 1997 diventò appannaggio anche dei capi di Stato maggiore della Difesa, di Esercito, Marina, Aeronautica e del segretario generale della stessa Difesa. Alla fine la speciale indennità è arrivata anche per i vicecomandanti dell'Arma e della Finanza.

Ora la Corte dei Conti ha bocciato i decreti di assegnazione della SIP di tre vicecomandanti dei carabinieri: i generali di corpo d'armata Carlo Alfiero, Salvatore Fenu ed Ermanno Vallino. La magistratura contabile ha tuttavia fissato uno spartiacque: «Ai fini del calcolo dell'indennità di ausiliaria, la valutazione della speciale indennità pensionabile» citata dal nuovo codice dell'ordinamento militare «non potrà più essere effettuata» a decorrere «dal 9 ottobre 2010» cioè la «la data di entrata in vigore dello stesso codice militare». Rispetto a quel termine, oltre a Fenu, Alfiero e Vallino si salvano dalla scure della Corte, tra gli altri, i vicecomandanti dell'Arma Roberto Santini, Roberto Cirese, Goffredo Mencagli, Massimo Cetola, Giorgio Piccirillo e Stefano Orlando. Il ministero della Difesa potrebbe a questo punto recuperare le somme nei confronti dei generali Corrado Borruso, Michele Franzè, Carlo Gualdi, Clemente Gasparri, Massimo Iadanza e Antonio Girone, numeri due dell'Arma che hanno percepito l'ausiliaria dopo l'entrata in vigore del nuovo ordinamento militare.

I tecnici del ministero del lavoro studiano la possibilità di introdurre il pensionamento con 62 anni e 35 anni di contributi. Tra i ritocchi al sistema previdenziale possibile anche un intervento sulle cosiddette pensioni d'oro e d'argento.

Tra i provvedimenti che sono allo studio del Commissario Cottarelli c'è anche quello, piuttosto significativo, al sistema previdenziale. Nel mirino del commissario straordinario alla cosiddetta spending review c'è soprattutto il capitolo pensioni d'oro e d'argento, tema molto caldo soprattutto per il Pd. Il bacino su cui il Commissario potrebbe intervenire è molto ampio dato che comprenderebbe gli assegni medio-alti con connotazione retributiva, le reversibilità sempre in relazione al passaggio al contributivo ed eventualmente il meccanismo di cumulo tra più trattamenti previdenziali e gli altri redditi da lavoro.

Il dossier è comunque allo stato attuale solo una bozza, predisposta piu' che altro per accontentare le forze di sinistra che appoggiano il governo piuttosto che un reale progetto di legge da portare in Parlamento. Il nodo è sempre quello della costituzionalità.

 Il lavoro di Cottarelli prosegue di pari fianco a quello del Ministro del Welfare Enrico Giovannini che  come ha di recente ribadito punta ad introdurre forme di pensionamento flessibile. E'da diversi mesi che i tecnici del ministro del Lavoro stanno lavorando a questo intervento che potrebbe essere sottoposto alle parti sociali nelle prossime settimane. Un intervento che prevederebbe la possibilità di riconoscere con un anticipo di 2 o 3 anni la pensione maturata a soggetti rimasti senza impiego e senza ammortizzatore sociale a condizione che abbiano raggiunto 62 anni di età e 35 di contributi. I beneficiari dovrebbero restituire all'Inps l'anticipo con micro-prelievi sull'assegno, una volta scattati i requisiti ordinari di accesso.

La Camera dei deputati impegna il Governo a monitorare gli effetti e l'efficacia delle nuove misure di solidarietà contro le pensioni d'oro.

La Camera dei Deputati ha formalmente impegnato il governo con una mozione votata dai partiti di maggioranza a verificare gli effetti e l'efficacia delle misure introdotte con la legge di stabilità 2014 sulle cosiddette pensioni d'oro. Si tratta di quei prelievi di solidarietà che scattano a partire da quest'anno e durano fino al 2016 pari al 6% per la quota dell'assegno superiore a 14 volte il minimo Inps (circa 90mila euro lordi/anno); del 12% per la quota dell'assegno superiore a 20 volte il minimo Inps (128mila euro/anno); e del 18% per le pensioni 30 volte superiori al minimo Inps (190mila euro/anno). Secondo i calcoli dell'Inps i soggetti interessati saranno circa 37mila per un gettito annuo pari a 40 milioni di euro lordi.

La mozione approvata impegna l'esecutivo a verificare gli esiti di questa misura e di quella che ha introdotto il divieto di cumulo tra pensione e stipendio percepito da un incarico pubblico sopra i 300mila euro lordi l'anno. Solo al termine della verifica il Governo potrà intervenire nuovamente sul questo fronte «nel rispetto dei principi indicati dalla Corte costituzionale».

La mozione congiunta è stata firmata da Pd, Ndc e Scelta civica. Nella premessa, oltre al richiamo alla giurisprudenza della Consulta «sfavorevole a forme di prelievo coattivo di ricchezza che vadano a colpire solo talune fonti di reddito», viene ribadita l'esigenza di nuovi interventi solidali «a carico di percettori di importi pensionistici ingiustificatamente elevati».

La Camera dei deputati impegna il Governo a monitorare gli effetti e l'efficacia delle nuove misure di solidarietà introdotte con la legge di stabilità 2014 a carico delle cosiddette "pensioni d'oro".
La discussione sulle sette mozioni presentate da tutti i gruppi (esclusa Forza Italia) per avviare nuovi interventi sugli assegni Inps più pesanti s'è conclusa, ieri pomeriggio, con la condivisione da parte della maggioranza di una nuova mozione riformulata che, appunto, riparte da quanto è appena stato fatto. Un monitoraggio, dunque. Su quei prelievi di solidarietà che scattano da quest'anno fino al 2016 e che ammontano al 6% per la quota di assegno pensionistico che superi di 14 volte il minimo Inps (circa 90mila euro lordi/anno); del 12% per la quota di assegno pensionistico che superi di 20 volte il minimo Inps (128mila euro/anno); e del 18% per le pensioni 30 volte superiori al minimo Inps (190mila euro/anno). Le pensioni interessate, a regime, saranno oltre 37mila (su 23 milioni di pensioni attive). Il gettito atteso 41 milioni lordi l'anno.
Solo dagli esiti del monitoraggio su questa misura, e su quella gemella che ha introdotto il divieto di cumulo tra pensione e stipendio da incarico pubblico sopra i 300mila euro lordi l'anno, il Governo dovrà adottare nuovi interventi normativi «nel rispetto dei principi indicati dalla Corte costituzionale» in un'ottica di solidarietà interna al sistema.
La mozione congiunta è stata firmata da Pd, Ndc e Scelta civica. Nella premessa, oltre al richiamo alla giurisprudenza della Consulta «sfavorevole a forme di prelievo coattivo di ricchezza che vadano a colpire solo talune fonti di reddito», viene ricordata l'esigenza di nuovi interventi equitativi e di solidarietà «a carico di percettori di importi pensionistici ingiustificatamente elevati».
Respinte, invece, le mozioni delle minoranze, a partire da quelle di M5S e Fratelli d'Italia, che con formulazioni diverse proponevano l'introduzione di un tetto massimo sui trattamenti pensionistici oltre a differenti forme di prelievo. Sia un tetto ai vitalizi calcolati con metodo retributivo (5mila euro netti mensili) sia un tetto (8mila euro mensili) alla possibilità di cumulo tra più pensioni erogate con metodo retributivo veniva invece proposto dalla Lega, mentre Sel chiedeva «ulteriori aliquote impositive progressive» per tutti i redditi over 75mila euro/anno, compresi quelli che derivino da "pensioni d'oro". Mozioni che, ovviamente, sono state respinte dall'Aula.
La discussione sul tema delle "pensioni d'oro" è servita per fare emergere una più diffusa perplessità (negli interventi di Galli, Tinagli, Damiano e Pizzolante) su ipotesi di ricalcolo con metodo contributivo delle pensioni vigenti al fine di individuare eventuali soglie su cui intervenire con prelievi perequativi. Al di là delle difficoltà tecniche e dei vincoli costituzionali, è stato tra l'altro osservato, un'operazione di questo tipo potrebbe addirittura comportare effetti regressivi premiando le pensioni più alte, visto che il sistema retributivo già contiene un meccanismo solidaristico. Lo squilibrio, è stato fatto osservare, emergerebbe semmai sulle pensioni medie e medio-basse, quelle sulle quali, dopo un biennio di blocco delle indicizzazioni, è ben difficile immaginare nuovi interventi senza mettere nel conto un impatto negativo su redditi e consumi.
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