Il TFR è l’acronimo di Trattamento Fine Rapporto e rappresenta un'indennità prevista per legge da erogare al lavoratore al momento della cessazione da un rapporto di lavoro subordinato.
Il Trattamento di Fine Rapporto
Il Tfr è una particolare indennità, regolata dall'articolo 2120 del Codice Civile, che viene corrisposta in favore del prestatore alla cessazione dal servizio; la somma spetta a tutti i lavoratori subordinati per qualsiasi causa che abbia dato luogo alla risoluzione del rapporto (es. licenziamento, dimissioni, pensionamento). Sono assoggettati alla disciplina del TFR tutti i lavoratori del settore privato, e lavoratori del settore pubblico, limitatamente, questi ultimi a coloro che sono stati assunti dopo la data del 31/12/2000 ad eccezione, comunque, del personale non contrattualizzato (magistrati, forze dell'ordine, professori universitari). Non è previsto un trattamento di fine rapporto per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e, naturalmente, per i rapporti di lavoro autonomo. Il TFR è , in sostanza, di una retribuzione differita, prevista solo nel nostro paese, da incassare alla fine del rapporto e che resta, nel frattempo, nella disponibilità del datore di lavoro e che, dunque, ottiene una sorta di prestito dal lavoratore da restituire alla conclusione del rapporto di lavoro.
L'Ammontare
La legge 297/1982 prevede che il lavoratore ha diritto ad un ammontare calcolato sommando una quota pari allo stipendio annuo diviso 13,5 (quindi il 7,41% della retribuzione annua) e proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno alla quale va aggiunta a montante la rivalutazione dell'importo accantonato l'anno precedente. Considerato che l'0,5% della retribuzione viene versato a un apposito Fondo di Garanzia presso l'Inps, che interviene a pagare il TFR se l'impresa debitrice fallisce, resta per l'accantonamento il 6,91% della retribuzione annua. Questa somma siene annualmente rivalutata in base al 75% dell’ indice dei prezzi al consumo aumentato di una quota fissa pari all’ 1,5% annuo. Si rammenta che dal 1° gennaio 2007 nelle società con almeno 50 dipendenti, il TFR maturando non resta più all'interno dell'azienda in quanto esse sono tenute al versamento annuale degli accantonamenti ad un speciale Fondo di Tesoreria gestito dall'Inps (FondoTFR) che provvede ad erogare le prestazioni agli aventi diritto.
L'erogazione e l'anticipazione
Il TFR viene pagato al momento della cessazione del rapporto di lavoro dal datore di lavoro. In caso di insolvenza di quest'ultimo, e in seguito all'apertura di una procedura concorsuale o esecuzione individuale, il trattamento di fine rapporto, debitamente accertato e determinato a seconda delle suddette procedure,viene erogato ai lavoratori dal Fondo di Garanzia (legge 297/1982) tramite l'Inps. Il Fondo di Garanzia interviene in tutti i casi di cessazione del rapporto di lavoro subordinato a condizione che sia stato accertato lo stato di insolvenza del datore di lavoro.
La Legge 297/1982 consente tuttavia al lavoratore, dopo almeno 8 anni di prestazioni presso lo stesso datore di lavoro di richiedere fino al 70% del proprio TFR qualora il lavoratore debba sostenere spese sanitarie di carattere straordinario abbia la necessità di acquisto della prima casa di abitazione (per il richiedente o per i figli) oppure debba sostenere spese da sostenere durante i congedi per maternità o per formazione. L'anticipazione predetta può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro.
La destinazione del TFR alla previdenza Integrativa
Dal 1° gennaio 2007 il decreto legislativo 252/2005 ha fortemente innovato la normativa accentuandone il carattere previdenziale del TFR, con riguardo ai soli lavoratori dipendenti del settore privato. L'obiettivo della Riforma è stato quello di trasferire del TFR presso forme di previdenza complementari a meno che il dipendente non dichiari espressamente di volerlo lasciare in azienda.
Attualmente, pertanto, il lavoratore al momento dell'assunzione ha quattro possibilità circa la destinazione del proprio TFR: 1) decidere esplicitamente di lasciare il TFR in azienda; 2) decidere esplicitamente di versarlo presso una forma pensionistica complementare di suo gradimento (Fondo Aperto o Pip tramite un'adesione individuale); 3) decidere esplicitamente di aderire al fondo pensione di riferimento, se presente, versando anche la contribuzione a proprio carico e godendo anche del contributo aggiuntivo del datore (adesione collettiva); 4) tacere e quindi essere associati in modo automatico dopo sei mesi dall'assunzione al fondo di riferimento o, in assenza, al Fondo residuale dell'Inps (FondInps).
Nella scelta il lavoratore deve tenere presente i particolari vantaggi fiscali dell'adesione alla previdenza compementare. Se il TFR è infatti assoggetto a tassazione separata, dopo la liquidazione, con l'aliquota media Irpef applicata negli ultimi 5 anni sul reddito del lavoratore, le liquidazioni del TFR effettuate tramite Fondi pensionistici complementari sono tassate con una aliquota massima del 15% e che può giungere fino al 9% in caso di partecipazione alle predette Forme pensionsitiche per almeno 35 anni. Tra i possibili svantaggi occorre segnalare che il TFR lasciato in azienda comporta una redditività sicura, pari all'andamento dell'inflazione, sicuramente meno rischiosa rispetto agli andamenti della forme di previdenza integrative che possono portare però rendimenti superiori. Inoltre chi lascia il TFR in azienda ottiene l'intera prestazione maturata sotto forma di capitale al momento della cessazione del rapporto lavorativo, chi invece aderisce alla forma di previdenza complementare avrà, almeno di regola, l'erogazione di un rendita previdenziale al raggiungimento dell'età pensionabile di vecchiaia nel regime obbligatorio fermo restando la possibilità di riscuotere in forma capitale il 50% del capitale accumulato.
Tfr nel pubblico impiego
Significative differenze permangono rispetto al pubblico impiego che ancora ad oggi distingue tra TFR e TFS a seconda del comparto e della data di assunzione del lavoratore. In particolare hanno diritto al Tfr: a) i dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000 ad eccezione, comunque, del personale non contrattualizzato; b) i dipendenti assunti con contratto a tempo determinato in essere o successivo al 30 maggio 2000; c) i dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000 che aderiscono a un fondo di previdenza complementare ad eccezione, comunque, del personale non contrattualizzato. Tutti gli altri lavoratori pubblici hanno invece diritto alla liquidazione del trattamento di fine servizio (TFS) che mantiene regole di calcolo completamente diverse rispetto al TFR. Nel pubblico impiego, inoltre, sia il TFR che il TFS viene pagato con un ritardo di alcuni mesi o anni dal momento della cessazione dell'impiego ed in forma rateale e non è prevista, di regola, la possibilità di chiedere un anticipo della somma maturata come avviene, invece, nel settore privato.
Il TFR nel pubblico impiego inoltre può essere destinato solo a forme di previdenza complementari negoziali per le quali, cioè, sia stato istitutito uno specifico fondo di previdenza dalla contrattazione collettiva per il comparto in questione (es. fondo Perseo per le amministrazioni pubbliche e Sanità o Fondo Espero per il comparto scuola). Dunque con un perimetro di scelta molto pià ristretto rispetto ai privati che possono portare il TFR ovunque senza contare che l'adesione, inoltre, non può mai avvenire in forma tacita come accade per i lavoratori del settore privato.