La prescrizione contributiva contraddistingue il momento in cui viene meno l'obbligo di versare i contributi da parte dei soggetti obbligati.
La Prescrizione Contributiva
La prescrizione, in linea generale, è la causa di estinzione del diritto derivante dall'inattività del titolare per il tempo stabilito dalla legge. E' il codice civile che definisce questo istituto che si applica con risvolti degni di nota anche al settore previdenziale. In questo contesto, infatti, il decorso del tempo comporta non solo il venir meno dell'obbligo al versamento dei contributi ma anche il fatto che i contributi prescritti non possono essere piu' versati.
A differenza, quindi, di quanto avviene nel settore civilistico, la prescrizione contributiva è sottratta alla parti e pertanto non sussiste un diritto soggettivo in capo agli assicurati a poter versare i contributi prescritti: gli enti previdenziali, infatti, non potranno riceverli.
In materia previdenziale la prescrizione dell'obbligo contributivo è stabilita dall'articolo 3, comma 9 della legge 335/1995 che fissa in cinque anni il termine di prescrizione per tutte le contribuzioni di previdenza ed assistenza sociale obbligatoria. Il termine è elevato a dieci anni se sono stati posti in essere atti interruttivi della prescrizione, o iniziate procedure di recupero, prima del 1° gennaio 1996 oppure se avviene denuncia da parte del lavoratore o da parte dei suoi superstiti. Oggi in sostanza il termine di prescrizione per il versamento ed il recupero dei contributi è di 5 anni salvo che il lavoratore o i suoi superstiti facciano denuncia all'Inps dell'esistenza di un rapporto di lavoro a nero, nel qual caso il termine viene esteso a 10 anni. Su tale ultimo aspetto si ricorda che la denuncia del lavoratore deve avvenire prima dello spirare della prescrizione quinquennale per consentire il meccanismo del raddoppio della prescrizione da cinque a dieci anni previsto dalla legge 335/1995. Il momento in cui inizia a decorrere la prescrizione coincide con quello in cui l’obbligazione è effettivamente esigibile, cioè con la data fissata per il pagamento dei contributi.
Se questa è la regola generale quali sono le conseguenze per il lavoratore? Avrà questi diritto o meno alle prestazioni previdenziali a carico dell'Inps oppure il mancato versamento dei contributi gli impedirà di andare in pensione? A tal fine occorre distinguere a seconda se l'omissione contributiva è andata o meno in prescrizione.
I contributi omessi ma non prescritti
Nell'ambito del termine di prescrizione dei cinque anni, i contributi non versati dal datore di lavoro sono garantiti in virtu' del principio dell'automatismo delle prestazioni (art. 2116 cc) in base al quale l'accredito nella posizione previdenziale del lavoratore dipendente avviene automaticamente a carico dell'Inps. Senza, dunque, alcun nocumento sulle prestazioni previdenziali erogabili al lavoratore. Tale principio costituisce una fondamentale garanzia per il lavoratore, intesa a non far ricadere su di lui il rischio di eventuali inadempimenti del datore di lavoro in ordine agli obblighi contributivi; ed interessa i soli lavoratori dipendenti con esclusione, pertanto, dei lavoratori autonomi e degli iscritti alla gestione separata.
I Contributi Omessi e Prescritti
Se la contribuzione omessa risale ad un periodo antecedente ai cinque anni (o al maggior periodo sopra indicato) il principio dell'automatismo delle prestazioni non trova però applicazione e, pertanto, il lavoratore non potrà vedersi accreditati i contributi sul proprio conto assicurativo a carico dell'Inps. Subendo pertanto un nocumento sulla pensione. Per evitare che l'omesso versamento pregiudichi il diritto alla tutela previdenziale l'articolo 13 della legge 1338/1962 consente al datore di lavoro di costituire presso l'Inps una rendita vitalizia reversibile in favore del lavoratore. Solo qualora egli non voglia o non possa esercitare tale facoltà, il prestatore di lavoro o i sui aventi causa possono sostituirsi ad esso, salvo il diritto al risarcimento del danno. Questa facoltà consiste nel riscatto a titolo oneroso a carico dell'interessato il cui importo è pari alla pensione o quota di essa che sarebbe spettata se i contributi omessi fossero stati regolarmente versati (si veda: il riscatto dei contributi omessi e prescritti).
La domanda intesa ad esercitare il riscatto deve essere supportata da una documentazione che comprovi l'esistenza del rapporto lavorativo, la sua durata e la retribuzione percepita. L'onere del riscatto è determinato con riferimento all'atto della domanda in base al sistema della riserva matematica oppure, se le anzianità da coprire ricadono nel sistema contributivo, è calcolato in percentuale.
La facoltà di riscatto in questione si riferiva in origine ai soli lavoratori dipendenti iscritti presso l'assicurazione generale obbligatoria con esclusione, pertanto, dei lavoratori autonomi e degli iscritti alla gestione separata. Questa regola ha subito però un temperamento ad opera in particolare della Sentenza della Corte Costituzionale 18/1995. In tale sede, la Corte aveva ritenuto che la norma, essendo priva di riferimenti restrittivi, che imponessero di limitare il beneficio della rendita vitalizia ai lavoratori subordinati, fosse idonea a realizzare una tutela più ampia, suscettibile di estendersi ai familiari del titolare artigiano, abitualmente e prevalentemente impiegati nell’azienda. L’Inps si è quindi conformata all’orientamento giurisprudenziale, ammettendo la facoltà di costituire la rendita a favore dei collaboratori di imprese artigiane o commerciali, nonché dei componenti dei nuclei diretto-coltivatori diversi dal titolare ed infine degli iscritti alla gestione separata non titolari dell'obbligo contributivo, come ad esempio, i Co.Co.Co (Circolare inps 32/2002; Circolare Inps 31/2002; Circolare Inps 101/2010).
Documenti: Circolare Inps 31/2012; Circolare Inps 32/2002; Circolare Inps 31/2002; Circolare Inps 101/2010