Pensioni, Perché Quota 41 è fattibile
Il numero che fa discutere e dividere gli addetti ai lavori in vista di una nuova riforma previdenziale.
Ogni qualvolta si ricomincia, molto velatamente, a parlare di nuova riforma previdenziale in sostituzione della legge Fornero rispunta la polemica e i vari distinguo tra gli addetti ai lavori sulla fattibilità o meno di poter accedere al pensionamento con 41 anni di contributi.
41 anni! Se solo ci si fermasse un momento a ragionare si capirebbe che, con un’aspettativa di vita che a causa degli oltre 166.000 decessi da Covid si assesta poco oltre gli 80 anni, 41 anni di lavoro e di versamenti effettivi sono un’enormità e devono consentire, a chi ha effettuato questi versamenti, l’accesso ad una più che meritata pensione.
Si sentono in giro illustri economisti e taluni politici che affermano che se si istituissero i 41 anni di contributi per andare in pensione ogni anno si spenderebbero dai nove ai dodici miliardi di € presagendo scenari catastrofici, crolli del sistema previdenziale italiano ed il concreto rischio in futuro di non avere più la possibilità di pagare le pensioni. Altri che dicono che l’UE ci metterebbe subito nel mirino e bloccherebbe i fondi del Recovery. Ma signori le cose non stanno così. La difficoltà dei giorni nostri è dovuta al fatto che per anni sono state concesse pensioni con pochi anni di contributi e che l’assistenza pesa enormemente sui conti dell’INPS.
Bisognerebbe invece ringraziare questi lavoratori, stanno permettendo al nostro sistema previdenziale a ripartizione (cioè coloro che lavoravano versano contributi e pagano la pensione a chi lo è già), di sopravvivere e continuare ad erogare le prestazioni.
Oltretutto il loro numero è in diminuzione perché i giovani hanno carriere molto discontinue e frammentate e solitamente completano prima un percorso universitario. Entrano nel mondo del lavoro non prima dei 27/28 anni e difficilmente raggiungeranno 41 anni di contributi
Comprimere poi l’assetto di una nuova riforma previdenziale solamente agli anni di versamenti per accedere al pensionamento è completamente sbagliato e riduttivo. La questione dei 41 anni, possibile con costi sensibilmente inferiori da quelli ipotizzati, sia perché i potenziali fruitori diminuiscono progressivamente sia perché trattandosi di un’opzione non tutti i beneficiari farebbero tale scelta, deve essere vista in un’ottica molto più strutturale e variegata. Portando l’età del pensionamento ordinario a 66 anni e consentendo un’ampia flessibilità a partire dai 62 anni con lievi penalizzazioni e consentendo allo stesso tempo di rimanere fino a 70 anni dando benefici economici per il lavoratore, si azzererebbe, in pratica, il costo per l’Erario.
Inoltre, approvando una pensione di garanzia per giovani e donne, implementando la previdenza complementare e diminuendo sensibilmente i costi per il riscatto del percorso universitario si potrebbe attuare una riforma complessiva che tenga conto delle varie problematiche che un sistema previdenziale comporta. Con un sistema, quello contributivo oramai nel 27esimo anno di vigenza, e che in pochi anni si riequilibrerà naturalmente, non bisogna spaventarsi nell’approvare una riforma sostenibile e che possa durare almeno una decina d’anni.
Successivamente si dovrà necessariamente pensare ad un nuovo sistema previdenziale magari in parte a ripartizione ed in parte a capitalizzazione e prevedendo, perché no, anche un versamento di contributi a carico dei robot che stanno sostituendo sempre più i lavoratori in certi processi produttivi. Ma di questo parleremo nei prossimi anni al momento è necessario trovare un’intesa e dare ai cittadini italiani una legge organica e strutturale a partire dal 1/1/2023.