Pensioni, Il mutamento dell'attività aziendale non retrodata l'inquadramento previdenziale
I chiarimenti in un documento dell'INPS dopo il mutato orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione. No al recupero dei contributi per i periodi temporali anteriori alla notifica dei verbali di accertamento.
No alla retrodatazione dell'inquadramento previdenziale se l'azienda ha mutato la natura dell'attività senza dichiararlo all'INPS.
In tali casi l'ente di previdenza non può recuperare le maggiori somme dovute a titolo di contributi per il periodo anteriore alla notifica dei verbali di accertamento non ricorrendo l'ipotesi di cui all'articolo 3, co. 8 della legge n. 335/1995. Lo spiega l'INPS nella Circolare n. 113/2021 a seguito del mutato orientamento della Corte di Cassazione (sentenze nn. 14257/2019 e 5541/2021).
Inquadramento previdenziale
La disposizione da ultimo richiamata, come noto, prevede la retroattività degli effetti della variazione dell'inquadramento previdenziale del datore di lavoro in presenza di inesatte dichiarazioni all'INPS con conseguente recupero ex tunc delle maggiori somme dovute a titolo di contribuzione previdenziale dovute in virtu' della diversa classificazione aziendale iniziale (il caso tipico è un'attività industriale che si è iscritta sin dall'origine all'INPS come attività agricola con lo scopo di profittare delle agevolazioni del settore).
Un primo orientamento della Cassazione (Cass. n. 13383/2008) però aveva avvalorato la tesi INPS (Circ. Inps n. 293/1995) secondo cui il termine "inesatte dichiarazioni" comprendesse anche l'omessa comunicazione dei mutamenti intervenuti nell'attività svolta dall'azienda tali da comportare una diversa classificazione ai fini previdenziali del datore di lavoro. Obbligo già sanzionato, peraltro, dall'articolo 2 del dl n. 352/1978 convertito con legge n. 467/1978. I più recenti orientamenti della Cassazione (Cass. n. 3460/2018; Cass. n. 14257/2019 e Cass. n. 5541/2021), tuttavia, hanno sconfessato la tesi INPS distinguendo a seconda dei casi.
Effetti retroattivi
Nello specifico gli effetti retroattivi della variazione vanno riconosciuti ogni volta che vi sia stato nel momento iniziale dell'attività un comportamento del datore positivo e volontario tale da determinare un inquadramento errato, qual è l'inoltro di dichiarazioni inesatte. L'omessa dichiarazione del mutamento della natura di un'attività economica inizialmente correttamente inquadrata, invece, non determina la retrodatazione dell'inquadramento in quanto, spiega la Cassazione, questa sanzione non può essere applicata al di fuori delle ipotesi ivi tassativamente indicate e tipizzate dal legislatore nell'articolo 3, co. 8 della legge n. 335/1995 (vige il divieto di interpretazione analogica).
In questi casi la variazione dell'inquadramento previdenziale (da cui scaturiscono le conseguenze in ordine alla contribuzione dovuta dall'azienda e alla posizione dei singoli lavoratori) decorre dal periodo di paga in corso alla data di notifica del verbale di accertamento INPS (cioè con effetti ex nunc) senza, quindi, effetti retroattivi.
La posizione INPS
In adesione al nuovo orientamento l'INPS spiega che ai fini della variazione di classificazione dei datori di lavoro, i provvedimenti dell’Istituto successivi alla data del 24 maggio 2019, in ragione del consolidarsi del nuovo orientamento giurisprudenziale, dovranno basarsi sul presupposto che l’omessa comunicazione del datore di lavoro circa i mutamenti dell’attività svolta non potrà essere più equiparata all’inesatta dichiarazione (per cui non potrà più rilevare ai fini dell’adozione di un provvedimento di variazione di classificazione con efficacia retroattiva).
La retroattività degli effetti della variazione di classificazione, di cui al comma 8 dell’articolo 3 della legge n. 335/1995, verrà ad esistenza soltanto in caso di inesatte dichiarazioni del datore di lavoro rese esclusivamente in fase di iniziale inquadramento.
Documenti: Circolare Inps 113/2021