Pensioni, La Consulta: Ecco perchè la parziale rivalutazione degli assegni è legittima
La Corte Costituzionale pubblica le motivazioni della decisione dello scorso ottobre sulla mancata perequazione delle pensioni.
In particolare il citato decreto legge ha riconosciuto la rivalutazione in misura proporzionale decrescente anche alle pensioni – prima escluse – comprese tra quelle superiori a tre volte il trattamento minimo Inps e quelle fino a sei volte lo stesso trattamento. Non vi è stata, dunque, alcuna violazione del giudicato costituzionale in quanto la norma non ha riprodotto le disposizioni del Decreto Legge Salva Italia (Dl 201/2011) già invalidate con la sentenza numero 70 del 2015.
La pronuncia si colloca nel solco della giurisprudenza della Consulta ed è in piena continuità con la sentenza n. 70 del 2015 che dichiarò invece l’illegittimità costituzionale della disciplina del Dl Salva - Italia. Secondo la Corte, con quel Dl il legislatore aveva fatto un «cattivo uso» della propria discrezionalità, bilanciando in modo irragionevole l’interesse dei pensionati alla conservazione del poter e d’acquisto delle pensioni con le esigenze finanziarie dello Stato, in quanto «aveva irragionevolmente sacrificato il primo», in particolare quello dei titolari di «trattamenti previdenziali modesti», in nome di esigenze finanziarie «neppure illustrate».
Di qui la sollecitazione – con la sentenza n. 70/2015 – di un nuovo intervento legislativo per bilanciare in modo diverso i valori e gli interessi coinvolti, nei limiti di «ragionevolezza e proporzionalità», senza sacrificare nessuno dei due irragionevolmente. Il successivo Dl 65/2015 ha seguito queste indicazioni, ovviamente con effetto retroattivo, seppure limitatamente al biennio 2012 - 2013. Quanto basta per escludere che i pensionati abbiano potuto fare «affidamento» sulla disciplina immediatamente risultante dalla sentenza 70 (tanto più che il Dl è stato emanato ed è entrato in vigore a distanza di soli 21 giorni dal deposito della sentenza).
Il sacrificio imposto ai pensionati non è sproporzionato
Secondo la Corte, il blocco della perequazione per due soli anni e il conseguente “trascinamento” dello stesso agli anni successivi «non costituiscono un sacrificio sproporzionato rispetto alle esigenze, di interesse generale», perseguite dalle disposizioni impugnate. La sentenza ha ribadito che va salvaguardata la garanzia di un reddito che non comprima le «esigenze di vita cui era precedentemente commisurata la prestazione previdenziale». È su questo «solido terreno» che il legislatore deve muoversi «bilanciando, second o criteri non irragionevoli, i valori e gli interessi costituzionali coinvolti»: l’interesse dei pensionati a preservare il potere d’acquisto delle proprie pensioni; le esigenze finanziarie e di equilibrio di bilancio dello Stato.
Il legislatore ha motivato adeguamente il provvedimento
Altro punto stressato dalla Corte è che il legislatore si è messo motivando accuratamente il provvedimento sulla base di risparmi di spesa accertati su dato oggettivi. Dalla Relazione tecnica e dalla Verifica delle quantificazioni relative al Ddl di conversione del Dl 65/2015 emergono «con evidenza» – diversamente dal Salva - Italia – le esigenze finanziarie di cui ha tenuto conto il legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità. Esigenze che, nell’attuazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità dei trattamenti pensionistici, «sono preservate attraverso un sacrificio parziale e temporaneo dell’interesse dei pensionati a preservare il potere di acquisto dei propri trattamenti».
Secondo la Corte ne è una conferma la scelta «non irragionevole» di riconoscere la perequazione in misure percentuali decrescenti all’aumentare dell’importo complessivo del trattamento pensionistico, sino ad escluderla per quelli superiori a sei volte il minimo Inps. «Il legislatore ha dunque destinato le limitate risorse finanziarie disponibili in via prioritaria alle categorie di pensionati con i trattamenti pensionistici più bassi», limitando il blocco a quelli medio - alti (che, per giurisprudenza costituzionale, hanno margini di resistenza maggiori contro gli effetti dell’inflazione, peraltro contenuta nel biennio 2011 - 2012 come si ricava dalla Relazione Tecnica.
Il danno ammonta a migliaia di euro
A seguito della decisione va ricordato che il trattamento pensionistico degli assegni più elevati viene ridotto sine die. La mancata rivalutazione, infatti, non interessa solo le annualità in cui è scattato il blocco, cioè gli anni 2012 e 2013, ma si trascina in modo strutturale in tutti gli anni successivi sino al decesso del pensionato con effetti residuali anche per i superstiti. Il blocco della rivalutazione riduce, infatti, la base del rateo pensionistico su cui ogni anno si applica la perequazione dell'assegno e, pertanto, l'importo messo in pagamento risulta ogni anno inferiore rispetto al dovuto Insomma l'operazione ha prodotto un effetto definitivo ma invisibile sui redditi pensionistici intaccandone il potere di acquisto in modo strutturale. Secondo la Corte la decisione è però legittima.
Dal 2015 PensioniOggi.it ha messo a disposizione un tool per verificare quanto i pensionati hanno perso per effetto della Legge Fornero dal 2011 al 2017. Si tratta più che altro di uno strumento utile per comprendere cosa è successo e di quanto gli assegni sono stati "tosati" rispetto all'importo che avrebbero dovuto avere (qui è possibile simulare gli effetti sugli assegni).