TFR, La riduzione del 2,5% dello stipendio dei dipendenti pubblici in regime di TFR è legittima
Lo ha stabilito la Consulta respingendo la questione di legittimità costituzionale della legge 448/1998 sollevata dal Tribunale di Perugia nella parte in cui mantiene l'applicazione della ritenuta del 2,5% del trattamento retributivo per i dipendenti pubblici in regime di TFR.
La questione
La pronuncia della Consulta fa luce sulla complessa vicenda del passaggio dal regime di TFS a quello di TFR avviato dal legislatore con la riforma Dini nel 1995 con l'obiettivo di allineare il regime di calcolo dei trattamenti di fine rapporto dei pubblico impiego a quello del settore privato. E di armonizzare le basi di calcolo del trattamento previdenziale. Nello specifico la questione sottoposta allo scrutinio della Consulta riguardava l'articolo 26 della legge di bilancio per il 1999 (legge 448/1998) che ha fissato il criterio secondo il quale per i dipendenti pubblici in regime di TFR (cioè gli assunti dopo il 31 dicembre 2000) come base imponibile ai fini fiscali e previdenziali e del TFR si debba scomputare dalla retribuzione lorda una somma pari al soppresso contributo del 2,5% gravante sul lavoratore destinato in origine al finanziamento dell'indennità di buonuscita (IBU) e dell'indennità premio di servizio (IPS). La norma era stata attuata dal successivo dal DPCM del 20 dicembre 1999 allo scopo di assicurare l’invarianza della retribuzione netta tra il personale in regime di TFS e i nuovi assunti in regime di TFR e, quindi, la garanzia del medesimo trattamento retributivo netto.
Il Tribunale di Perugia, sotto la spinta di diversi ricorsi presentati dai lavoratori, aveva ravvisato nella citata disposizione una evidente ed ingiustificata disparità di trattamento tra i lavoratori dipendenti dello Stato e degli Enti Locali in regime di trattamento di fine servizio e tra dipendenti delle medesime amministrazioni in regime di trattamento di fine rapporto. Secondo il tribunale la legge avrebbe, infatti, riconosciuto ai primi «un trattamento retributivo più elevato» e avrebbe disposto, a danno dei secondi, una irragionevole riduzione della retribuzione lorda, che sarebbe risultata compressa in misura pari all’ammontare del soppresso contributo previdenziale obbligatorio. Pertanto, secondo il Tribunale la base imponibile del TFR avrebbe dovuto coincidere con la retribuzione lorda, senza operare la predetta riduzione. Il Tribunale osservava, peraltro, come la normativa sarebbe stata lesiva anche dell’art. 36 Cost., norma «posta a presidio della proporzionalità e sufficienza dei trattamenti retributivi dei lavoratori in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato in quanto avrebbe collocato la retribuzione dei dipendenti pubblici in regime di TFR al di sotto della soglia della retribuzione tabellare prevista dalla contrattazione collettiva con riferimento a determinate tipologie di prestazioni anche in spregio del rispetto di quelli minimi previsti dalle parti collettive.
La decisione
Secondo la Consulta la censura non è meritevole di accoglimento in quanto non tiene conto dell'intero quadro normativo. La Corte osserva, infatti, che per i dipendenti che transitano al regime del TFR, il superamento delle forme previgenti delle indennità di fine rapporto ha determinato l’eliminazione della trattenuta del 2,5% a carico del lavoratore, originariamente destinata a finanziare l'IBU e l'IPS. La decurtazione della retribuzione lorda si prefiggerebbe quindi il fine di evitare disparità di trattamento ai fini fiscali tra lavoratori in regime di TFS e lavoratori in regime di TFR, che presentino la stessa situazione lavorativa e retributiva complessiva. In altri termini, è il ragionamento della Consulta, senza la riduzione, i lavoratori in regime di TFR godrebbero di una retribuzione netta più alta a differenza degli altri in regime di TFS posto che questi ultimi deducono il contributo destinato al finanziamento del TFS, con conseguente violazione del principio di invarianza del trattamento retributivo a cui si è ispirata la norma del 1998.
"L’auspicata equiparazione tra lavoratori in regime di TFR e lavoratori in regime di TFS - scrivono i giudici nelle motivazioni - , nei termini adombrati dal giudice a quo, non potrebbe che alterare il punto di equilibrio individuato dal legislatore e dalle parti negoziali, secondo un bilanciamento non irragionevole, e determinare, per ammissione dello stesso rimettente, una diversa sperequazione, che avvantaggerebbe i lavoratori in regime di TFR, destinati a beneficiare di un più cospicuo trattamento retributivo rispetto ai lavoratori in TFS".
La decurtazione, inoltre, non ha effetti sul piano previdenziale in quanto, proprio allo scopo di scongiurare possibili pregiudizi ai dipendenti in regime di TFR, il DPCM del 20 dicembre 1999 prevede un recupero in misura pari alla riduzione, attraverso un corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali e dell’applicazione delle norme sul TFR. Quanto basta, è la posizione in sintesi della Consulta, per assicurare la piena legittimità della disposizione incriminata dalla Corte di Merito. "Il principio dell’invarianza della retribuzione netta, con i meccanismi perequativi tratteggiati in sede negoziale, mira proprio a garantire la parità di trattamento, nell’àmbito di un disegno graduale di armonizzazione, e non contrasta, pertanto, con il principio di eguaglianza invocato dal rimettente" concludono i giudici.