Bonus Bebè, La Consulta si rivolge alla Corte Ue
In merito al mancato riconoscimento della prestazione agli stranieri in possesso del permesso unico per il lavoro. Medesime considerazioni anche per l'indennità di maternità di base erogata dai Comuni.
Attualmente queste prestazioni sono concesse solo, tra gli altri, ai titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo che presuppone il «possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità» e la dimostrazione della «disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell’articolo 29, comma 3, lettera b) e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio». Il richiedente, inoltre, deve preventivamente superare una prova di conoscenza della lingua italiana e non deve essere pericoloso per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.
Estensione agli stranieri
La Corte Costituzionale, in particolare, ha chiesto di acclarare se anche il bonus bebè introdotto dall'articolo 1, comma 125 della legge 190/2014 dal 1° gennaio 2015 e poi più volte prorogato siano annoverabile tra le prestazioni economiche di carattere familiare e, pertanto, rientri tra quelle che non possono formare oggetto di discriminazione rispetto agli extracomunitari in possesso del permesso unico di lavoro rilasciato da altri stati europei. Considerazioni simili anche per l'assegno di maternità di base erogato dai comuni (art 76 del Dlgs 151/2011) che secondo la Consulta entrerebbe nella garanzia di base del citato articolo 34 CDFUE posto che mira ad assicurare «uno stesso insieme comune di diritti, basato sulla parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro» a tutti i cittadini di paesi terzi che soggiornano e lavorano regolarmente negli Stati membri, vincolando questi ultimi all’indicato obiettivo.
L'Italia, peraltro, proprio recentemente ha preso in considerazione tali rilievi proponendo una modifica legislativa dei requisiti concessori delle citate prestazioni con la legge di delegazione europea.