Dimissioni volontarie, è boom nel 2021
I primi tre mesi dello scorso anno hanno fatto registrare un aumento dell'abbandono del lavoro del 13,8% in più rispetto al 2019, secondo uno studio della Fondazione Consulenti sul Lavoro. I lavoratori a bassa qualificazione sono i più interessati, ma è in crescita anche la quota degli altamente qualificati.
Dimissioni volontarie in crescita del 13,8% nel 2021 rispetto al 2019, lo attesta uno studio della Fondazione Studi Consulenti sul Lavoro basata sui dati delle comunicazioni obbligatorie inviate al Ministero del Lavoro. Il fenomeno sembra interessare soprattutto gli estremi dell'offerta di lavoro, ovvero i lavoratori più specializzati e qualificati e quelli più precari e con retribuzioni più basse.
Si tratta di una realtà relativamente nuova per un paese come l'Italia caratterizzato da un mercato del lavoro caratterizzato da una scarsa mobilità interna e invece molto diffuso negli Usa. Peraltro, la crescita delle dimissioni volontarie si è accentuato nel periodo posteriore all'esplosione della pandemia da Covid-19, ma non è certamente stato causato da questa. In effetti, lo studio dei Consulenti sul Lavoro individua nel 2017 l'anno di partenza dell'incremento dell'abbandono volontario dell'occupazione.
Ma andiamo a vedere più da vicino le dimensioni e le possibili cause del fenomeno.
Incremento delle dimissioni volontarie: i dati
Nei primi tre trimestri del 2021 sono stati poco più di un milione (1.081.000) i dipendenti che si sono dimessi dal lavoro stando alla ricerca condotta dalla Fondazione Consulenti sul Lavoro. Di questo milione, quasi la metà, mesi dopo non aveva ancora trovato lavoro perché ne è ancora alla ricerca o per aver scelto di avviare un'attività autonoma oppure perché è in cerca di un diverso equilibrio tra vita privata e professione. In particolare, il 44,7% dei dimessi nel primo semestre del '21 a fine settembre non aveva nessun nuovo contratto.
La novità per quel che riguarda il nostro paese, oltre l'incremento, è la sua apparente trasversalità dato che abbraccia lavoratori giovani, scarsamente istruiti e residente al nord e contemporaneamente occupati in età matura e molto qualificati.
La qualifiche più alte del mercato del lavoro sono state interessate dall'incremento delle dimissioni nelle seguenti percentuali: 22,4% in più tra le figure tecniche; 19,4% tra gli altamente qualificati. La motivazione in questi casi è stata quella di cambiare lavoro e nella maggioranza dei casi ce l'hanno fatta: a fine settembre 2021 avevano un nuovo lavoro il 65,8% dei tecnici e 64,6% degli altamente qualificati. Questa fasce “top”, però, hanno contribuito al totale delle dimissioni solo per il 17,9% del totale dei tre trimestri dello scorso anno.
Invece, operai e artigiani specializzati hanno lasciato il lavoro in una percentuale addirittura del 25,2% del totale, anche se alla fine del terzo trimestre forse a causa della ripresa economica ne risultavano di nuovo al lavoro rispettivamente il 57,6% degli operai specializzati e il 62,9 dei non specializzati. Forte l'abbandono anche tra le professioni sanitarie e sociali con un aumento delle dimissioni del 33%, forse dovuto al forte stress imposto dall'emergenza sanitaria e nel settore delle costruzioni con il 47,1% dell'aumento , ma in quest'ultimo caso la causa probabilmente risiede nella forte ripresa del comparto edilizio e nella carenza di personale che ha scatenato la concorrenza tra imprese per accaparrarsi il personale.
I ricercatori sono invece in grande difficoltà nel trovare risposte alla domanda su quale motivo abbia spinto le persone che lavorano in professioni a bassa qualificazione senza un alternativa e che dopo mesi sono ancora senza lavoro per il 49,2% dei casi (settore commercio e ricettivo-ristorativo, over 55 e donne).
Ora una parte di questo aumento delle dimissioni volontarie può essere spiegato con la stasi dell'attività produttiva del 2020 dovuta alla pandemia e alla presumibile scelta di rinviare l'uscita dal lavoro di alcuni dipendenti, ma resta il fatto che il profilo di chi si dimette nel 2021 risponde soprattutto a queste caratteristiche: nel 43,2% dei casi sono giovani sotto i 35 anni e nel 13,1% sotto i 24, ma c'è anche un rilevante 16,4% di over 55 per quasi il 60% maschi e per il 56,4% residenti al nord. Oltre la metà (54,4%) ha un titolo di studio inferiore al diploma di superiore.
Dimissioni volontarie, l'impatto del precariato e delle scarse retribuzioni
Quelle che emerge potrebbe far pensare a un fenomeno causato dal rifiuto crescente di lavori faticosi, pericolosi e scarsamente pagati così come accade anche negli Stati Uniti: infatti il 52,9% abbandona lavori temporanei, il che riporta alle recenti riflessioni sul lavoro povero.
Tuttavia, non va sottovalutata la crescita delle dimissioni volontarie tra le professioni più qualificate pari al 22%, inferiore di un solo punto a quelle non qualificate (23%). Ovviamente è completamente diverso il risultato in termini di conseguimento di un nuovo lavoro, dato che alla fine del terzo trimestre 2021 meno della metà dei dimessi poco qualificati ha trovato un nuovo lavoro (47,5%) contro gli altamente qualificati rioccupati per il 64,6%.
Ma ci vorrà comunque del tempo per capire meglio le cause di un fenomeno che è probabilmente molto complesso. Lo conferma la dichiarazione di Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro: «Il fenomeno delle dimissioni volontarie non è nuovo per la realtà italiana, ma lo è il suo incremento. Capiremo solo nei prossimi mesi la vera portata, soprattutto rispetto alle motivazioni, visto che non è possibile stimare all’interno della quota di lavoratori dimessi e non rioccupati quanti potrebbero aver deciso di avviare un’attività in proprio, essersi occupati irregolarmente o più semplicemente aver deciso di smettere di lavorare»