Disabili, piu' facile la fruizione del congedo per i parenti
Per fruire dei tre giorni di congedo per l'assistenza è sufficiente che a ciò non possa provvedere o il coniuge o nessuno dei genitori del disabile. Non è necessario, invece, che «tutti» (coniuge e genitori) non possano provvedervi. Kamsin In questi casi, il diritto ai tre giorni di permesso mensili viene concesso a favore di un parente o di un affine entro il terzo grado del soggetto disabile, senza nessun ordine di priorità. In pratica chiunque può fruirne. E' quanto ha indicato il ministero del lavoro nell'interpello n. 19/2014.
I chiarimenti sono stati chiesti dall'Associazione nazionale quadri amministrazioni pubbliche (Anquad) e dal Cida (manager e altre professionalità Italia). Le associazioni hanno chiesto di conoscere il parere del ministero del lavoro in ordine alla corretta interpretazione dell'art. 33, comma 3, della legge n. 104/1992, come modificato dall'art. 24, della legge n. 183/2010, che disciplina il diritto del lavoratore dipendente di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito per l'assistenza al familiare con handicap in situazione di gravità. Le associazioni hanno chiesto di precisare se l'estensione del diritto a tre giorni di permesso al parente o affine entro il terzo grado possa prescindere dall'eventuale presenza nella famiglia dell'assistito di parenti o affini di primo e secondo grado che siano nelle condizioni di assisterlo. In caso di risposta negativa, pertanto, per il diritto ai permessi basterebbe comprovare esclusivamente una delle particolari condizioni del coniuge eio dei genitori della persona in situazione di gravità.
Secondo il ministero, tuttavia, la fruizione dei permessi da parte di parenti o di affini entro il terzo grado è subordinata esclusivamente alla circostanza che il coniuge e/o i genitori della persona con handicap grave si trovino in una delle specifiche condizioni stabilite dalla norma (vale a dire aver compiuto i 65 anni di età oppure essere anche loro affetti da patologie invalidanti o essere deceduti o mancanti). In altre parole, non deve anch'essere riscontrata la impossibilità a prestare l'assistenza da parte di parenti oppure affini di primo e di secondo grado, eventualmente presenti nell'ambito familiare. Peraltro, evidenzia infine il ministero del lavoro, è sufficiente che le predette condizioni (65 anni di età oppure lo stato invalidante o la morte o la mancanza) si riferiscano a uno solo dei soggetti menzionati dalla norma, ossia o al coniuge oppure ai genitori. Una diversa interpretazione, quella cioè di consentire l'estensione al terzo grado solo quando tutti i soggetti prioritariamente interessati (coniuge, parente o affine entro il secondo grado) si trovino nell'impossibilità di assistere il disabile, finirebbe per restringere fortemente la platea dei soggetti interessati.
Zedde