Disoccupazione, la rateizzazione dell'indebito salva la ripetibilità dell'INPS
La Corte costituzionale ha ritenuto legittima la richiesta dell'Inps nei confronti di un lavoratore di restituire l'indennità di disoccupazione, erogata ma non spettante.
L’indennità di disoccupazione erroneamente percepita va restituita all’Inps ancorché il percipiente sia in buona fede (cioè l’errore non sia stato determinato dalla condotta del beneficiato). Il principio del legittimo affidamento, infatti, non è sufficiente a temperare la pretesa restitutoria dell’ente previdenziale alla luce del fatto che l’ordinamento italiano prevede il diritto alla rateizzazione dell’onere tenendo conto delle condizioni economico-patrimoniali in cui versa l’obbligato. E’ quanto, in sintesi, ha precisato la Corte Costituzionale nella sentenza n. 8/2023 le cui motivazioni sono state depositate l’altro giorno.
La questione
Un lavoratore aveva fatto ricorso contro la richiesta dell’Inps in merito alla restituzione di circa di 2mila euro fruiti tra il 2004 ed il 2005 a titolo di indennità di disoccupazione. La prestazione, effettivamente, non era dovuta e l’Inps l’aveva erogata per errore. Il Tribunale di Lecce, in particolare, aveva portato la questione innanzi alla Consulta sospettando l’illegittimità dell'art. 2033 del codice civile «nella parte in cui non prevede l'irripetibilità dell'indebito previdenziale non pensionistico laddove le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell'ente erogatore abbia ingenerato un legittimo affidamento del percettore circa la spettanza delle somma percepita». Il sospetto contrasto rilevava gli artt. 11 e 117, primo comma della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 1 del prot. addizionale alla convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cedu), secondo cui «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni».
Il legittimo affidamento
Per la Corte l'art. 1 del prot. Cedu si concretizza nella tutela del c.d. affidamento legittimo, cioè una «situazione soggettiva dai contorni più netti di una speranza o aspettativa di mero fatto». La Corte europea dei diritti dell'uomo, poi, ne ha tratto gli elementi costitutivi (cinque), ossia i presupposti che provano, in capo al percettore di una prestazione, la presenza di un legittimo affidamento; e ha anche individuato le condizioni che, dinanzi a tale affidamento, annullano lo status di debitore al percettore: c.d. «interferenza sproporzionata». In altre parole, per la Corte europea dei diritti dell'uomo la mera presenza di un «legittimo affidamento» non basta, da sola, a determinare l'intangibilità/inesigibilità della prestazione indebita, in ossequio a un altro principio: la ripetizione dell'indebito. Per fare scaturire dal legittimo affidamento l'inesigibilità della prestazione indebita occorre di più: che si verifichi lo sbilanciamento tra i due interessi (quello del recupero dell'indebito e quello del legittimo affidamento), cosa che si manifesta con una c.d. «sproporzionata interferenza». Tra le circostanze che creano situazioni di sproporzionata interferenza ci sono l'omessa o inadeguata considerazione della fragilità economica-sociale o di salute dell'obbligato; le modalità di restituzione; l'addebito di interessi, nonostante l'errore compiuto da chi ha erogato le prestazioni.
La decisione
L'ordinamento italiano, si legge nelle motivazioni della Consulta, ha un complesso apparato di rimedi che escludono la manifestazione di circostanze di «sproporzionata interferenza». Nel caso delle prestazioni retributive, previdenziali pensionistiche ed assistenziali la regola generale è quella dell’irripetibilità salvo sussista il dolo dell’accipiens, cioè del percettore. Negli altri casi vige, invece, la regola dell’indebito oggettivo di cui all’articolo 2033 del codice civile che impone la restituzione delle somme a prescindere dalla buona fede dell’interessato. La regola, tuttavia, va letta tenendo conto dei rimedi approntati dall’ordinamento giuridico che evitano il contrasto con il principio dell'art. 1 del protocollo Cedu. Tra queste misure, c'è quella del dovere del creditore (Inps nel caso in esame) di rateizzare la somma richiesta in restituzione, tenendo conto delle condizioni in cui versa l'obbligato che si trova a dover restituire una somma che riteneva di aver legittimamente ricevuto. Ci sono poi ulteriori garanzie che limitano il rimborso, ad esempio, quando ciò possa compromettere le esigenze primarie dell'esistenza. Per la Corte, in sostanza, queste misure sono sufficienti a dichiarare non fondate le questioni di legittimità sollevate dal tribunale.