Divieto di Licenziamento sino al 31 dicembre 2020 anche senza CIG
Una nota dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro apre ad una interpretazione più rigida del divieto di licenziamento per motivi economici.
Lo stop ai licenziamenti
Come noto l’art. 46 del D.L. n. 18/2020, come modificato dall’art. 80 del D.L. n. 34/2020, ha disposto il divieto di avvio delle procedure di licenziamento collettivo di cui agli artt. 4 e 24 della L. n. 223/1991 per i cinque mesi successivi all’entrata in vigore dello stesso D.L. n. 18/2020 (sino al 17 agosto 2020) sospendendo, per il medesimo periodo, quelle avviate dal 23 febbraio e pendenti al 17 marzo u.s. Analoga disposizione di divieto e di sospensione delle procedure pendenti vige per i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.
L’art. 14 del D.L. n. 104/2020 ha prorogato il divieto e la sospensione esclusivamente in relazione alle seguenti ipotesi: a) datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito della cassa integrazione COVID-19 di cui all'articolo 1 del dl 104/2020 (cioè delle 18 settimane in due tranche per i periodi temporali successivi al 12 luglio 2020); b) datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’art. 3 del dl 104/2020 (cioè dei datori di lavoro che hanno fatto richiesta, in luogo della proroga della cassa integrazione COVID-19 per i periodi successivi al 12 luglio 2020, dell'esonero contributivo per 4 mesi da fruire entro il 31 dicembre 2020: il beneficio è a disposizione dei soli datori di lavoro che abbiano fatto ricorso alla cassa integrazione causale covid-19 nei mesi di maggio e giugno 2020 ai sensi del DL 18/2020 e 34/2020 e per un numero di ore doppio rispetto a quello fruito).
L'interpretazione dell'Inl
Nel silenzio del legislatore restava da chiarire, come già anticipato nei giorni scorsi, se le suddette preclusioni al licenziamento fossero applicabili anche i datori di lavoro che non possono percepire l’esonero contributivo di cui all’articolo 3 (perché, ad esempio, non abbiano richiesto, nei mesi di maggio e giugno 2020, gli interventi di integrazione salariale) o che non abbiano fatto domanda per gli ammortizzatori di cui all’articolo 1. Secondo l'Inl il divieto di licenziamento, salvo eventuali modifiche che potranno intervenire in sede di conversione del decreto legge, sembra pertanto operare per il solo fatto che l’impresa non abbia esaurito il plafond di ore di cassa integrazione disponibili e ciò sia quando abbia fruito solo in parte delle stesse, sia quando non abbia affatto fruito della cassa integrazione. In tale ultimo caso, laddove il datore di lavoro non abbia ritenuto di fruire della cassa integrazione, il licenziamento sarebbe in ogni caso impedito dalla possibilità di accedere all’esonero dal versamento contributivo di cui all’art. 3.
In sostanza: a) se l'azienda ha fruito della cassa integrazione covid-19 nei mesi di maggio e giugno 2020 il divieto di licenziamento opera per la possibilità di ricorrere all'esonero contributivo di cui all'articolo 3 del dl 104/2020; b) se l'azienda ha fruito della cassa integrazione covid-19 dal 13 luglio 2020 il divieto di licenziamento opera ai sensi dell'articolo 1 del dl 104/2020 (l'azienda deve prima consumare tutte le 18 settimane previste, eventualmente anche versando la contribuzione addizionale); c) il divieto di licenziamento non potrebbe operare per le aziende che non hanno fruito della cassa integrazione covid-19 da maggio in poi (perchè non rientrano nè nella fattispecie sub a) e sub b). Peraltro a ben vedere nell'ipotesi sub b) l'azienda non potrebbe licenziare sino a metà novembre; nell'ipotesi sub a) il divieto opererebbe, invece, sino al 31 dicembre 2020. Si tratta sicuramente di aspetti da chiarire da un punto di visto legislativo. La scelta di ancorare il divieto di licenziamenti non più ad una data fissa ma all'attivazione di altri benefici non è stata felice.
Documenti: nota Inl numero 713 del 16 settembre 2020