I redditi di Srl attribuibili alla quota del socio non sono sempre imponibili ai fini previdenziali
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione respingendo la tesi dell'Istituto di Previdenza. Vanno esclusi i redditi di capitale, quali quelli derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa da parte del socio.
Con sentenza n. 11206/2022 depositata in cancelleria in data 6 aprile 2022, la Cassazione ha messo la parola fine a una lunga controversia (insorta nel 2015) tra un contribuente socio di molteplici S.R.L. operanti nel settore economico del terziario e l’INPS (condannata altresì alla rifusione delle spese di lite) la quale, tramite il sistema di incrocio delle banche dati con l’Agenzia delle Entrate, ha proceduto a contestare i mancati versamenti della contribuzione IVS Commercianti (e tale circostanza sarebbe applicabile anche alla gestione Artigiani) sulle quote di reddito attribuibili a tutte le S.R.L. delle quali era socio il contribuente, anche in assenza del requisito di abitualità e prevalenza dell’attività all’interno delle stesse.
La fonte normativa si rinviene nella Legge 662/96, che, infatti, estese l’obbligo di iscrizione anche ai soci di S.R.L. commerciali con la condizione che partecipino al lavoro aziendale con abitualità e prevalenza.
Per meglio comprendere, inoltre, la portata della decisione della Suprema Corte rispetto alle richieste dell’Istituto, è opportuno ripercorrere l’intero assetto normativo che individua l’imponibile previdenziale per il calcolo dei contributi previdenziali della gestione IVS Commercianti.
L’art. 3 bis della legge 14/11/1992 n. 438 ha statuito che «a decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’art. 1 della legge 2 agosto 1990 n. 233, è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono». La locuzione «denunciati ai fini IRPEF» è da considerarsi fondamentale per comprendere le ragioni del contribuente contro l’Istituto.
In particolare, l’INPS, operando una interpretazione oggettivamente priva di alcun appiglio normativo, unitamente ai redditi derivanti dalla partecipazione a società «di persone» (ascrivibili alla categoria dei redditi di partecipazione, direttamente rilevanti ai fini IRPEF) ed alla quota di reddito ai fini IRES della SRL nella quale partecipava al lavoro con abitualità e prevalenza, ha attirato anche le quote di reddito imponibile ai fini IRES teoricamente attribuibili al contribuente e connesse a società nelle quali lo stesso non partecipava al lavoro con abitualità e prevalenza.
La Corte, confermando (giova menzionarlo) la decisione dei precedenti due gradi di giudizio, ha ribadito (come già affermato in Cass. n. 21540 del 2019) che «Il lavoratore autonomo, iscritto alla gestione previdenziale in quanto svolgente un'attività lavorativa per la quale sussistono i requisiti per il sorgere della tutela previdenziale obbligatoria, deve includere nella base imponibile sulla quale calcolare i contributi la totalità dei redditi d'impresa cosi come definita dalla disciplina fiscale, vale a dire quelli che derivano dall'esercizio di attività imprenditoriale (art. 55 del d.P.R. n. 917 del 1986), restando esclusi i redditi di capitale, quali quelli derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa (art. 44, lett. e, del d.P.R. n. 917 del 1996)».
Appare, a questo punto, ipotizzabile uno scenario a fronte del quale l’INPS provvederà ad annullare (previa istanza motivata del contribuente) tutte le analoghe richieste levate nei confronti dei contribuenti che avranno, peraltro, facoltà di esercitare il diritto al rimborso (prescrizione decennale?) della contribuzione versata in eccesso.