Il licenziamento collettivo intimato senza il tempestivo invio dei nominativi alle sigle sindacali è inefficace
La Corte di Cassazione respinge il ricorso di un'azienda del settore bancario che aveva risolto il rapporto di lavoro ai sensi della legge 223/1991 senza aver comunicato i nominativi dei lavoratori coinvolti nella procedura di licenziamento collettivo.
La questione
La questione verteva sulla corretta applicazione dell'articolo 4, co. 9 della legge 223/1991 che, come noto, impone al datore di lavoro di inviare entro sette giorni dalla comunicazione del recesso dal rapporto di lavoro, alle rappresentanze sindacali nonchè all'ufficio per l'impiego l'elenco dei lavoratori licenziati con l'indicazione per ciascun soggetto del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento dell'eta', del carico di famiglia, nonche' con puntuale indicazione delle modalita' con le quali sono stati applicati i criteri di scelta.
Sia il Tribunale che la Corte d'Appello avevano censurato il comportamento dell'azienda posto che questa aveva comunicato le predette informazioni alle sigle sindacali solo il 29 settembre 2008 mentre la lettera con l'intimazione del licenziamento era stata inviata ai lavoratori il 18 settembre 2008. In violazione, pertanto, dei termini previsti dalla legge sopra riferiti.
L'azienda aveva, quindi, proposto ricorso per Cassazione facendo leva, tra l'altro, sul fatto che in data 5 agosto 2008, prima ancora di intimare i licenziamenti, i destinatari avevano ricevuto apposita comunicazione contenente le puntuali modalità di applicazione del criterio di scelta convenuto nell'accordo sindacale risalente al 22 Luglio 2008. Tale comunicazione, precisavano i legali dell'azienda, avrebbe assolto gli obblighi scaturenti dalla legge.
La decisione
Secondo i giudici la tesi dell'azienda non può essere accolta. A motivazione della decisione la Corte si rifà a quanto già stabilito nella sentenza numero 23526 del 18 novembre 2016, resa con riferimento peraltro al medesimo licenziamento collettivo. In tale decisione, i giudici avevano censurato la sentenza della Corte di merito che aveva ritenuto la tempestività della comunicazione conclusiva di cui all'art. 4, co. 9, della I. n. 223/1991 agli organi preposti, rilevando che il 5 agosto 2008 la Banca aveva comunicato alle organizzazioni sindacali ed agli uffici competenti l'accordo quadro dell'8 luglio 2008, che prevedeva espressamente la risoluzione dei rapporti di lavoro del personale dipendente che alla data del 31 marzo 2008 avesse conseguito i requisiti previsti per il diritto alla pensione, cui aveva fatto seguito la missiva del 29 settembre 2008, con la quale erano stati comunicati i nominativi dei lavoratori destinatari dei provvedimenti di risoluzione del rapporto, con indicazione dei dati anagrafici, dell'anzianità di servizio, del livello di inquadramento e della sede di assegnazione.
In realtà la comunicazione ai sensi dell'art. 4, co. 9, della l. n. 223/1991 era stata quella del 29 settembre 2008 posto che in data 5 agosto 2008 la Banca si era riservata ulteriore comunicazione con l'elenco dei lavoratori da collocare in mobilità, in ottemperanza a quanto previsto dall'art. 4, co. 9, della medesima I. n. 223/1991. Pertanto, concludono i giudici, la comunicazione richiesta dall'articolo 4, co. 9 era avvenuta in una data successiva a quella dell'intimazione del licenziamento ai diretti interessati. Da qui l'inefficacia del licenziamento intimato agli stessi.
Secondo i giudici, infatti, il requisito della contestualità fra comunicazione del recesso al lavoratore e comunicazione alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro dell'elenco dei dipendenti licenziati e delle modalità di applicazione dei criteri di scelta, contestualità richiesta a pena d'inefficacia del licenziamento, "deve essere valutato - in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido, analitico e con termini molto ristretti - nel senso di una indispensabile contemporaneità delle due comunicazioni, la cui mancanza può non determinare l'inefficacia del recesso solo se sostenuta da giustificati motivi di natura oggettiva, della cui prova è onerato il datore di lavoro", prova che nel caso di specie non era stata riscontrata. La Corte di Cassazione ha, quindi, bocciato le richiesta della Banca confermando la sentenza della Corte d'Appello con cui era stata accertata l'inefficacia del licenziamento.