La Consulta boccia gli indennizzi contro i licenziamenti illegittimi nelle Pmi
Il legislatore dovrà intervenire il prima possibile per rivedere i criteri che regolano gli indennizzi previsti dal cd. «Jobs act». La Corte ha rilevato che «un’indennità costretta entro l’esiguo divario tra un minimo di tre e un massimo di sei mensilità vanifica l’esigenza di adeguarne l’importo alla specificità di ogni singola vicenda»
Il legislatore dovrà rivedere i criteri che determinano l’indennizzo per i licenziamenti illegittimi dei datori di lavoro con non più di 15 dipendenti. Infatti l’attuale meccanismo che riconosce un’indennità commisurata tra tre e sei mensilità di retribuzione è irragionevole perché non garantisce i diritti dei lavoratori. Lo ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 183 depositata oggi con la quale, pur dichiarando inammissibili le censure del Tribunale di Roma sull’indennità prevista dall’articolo 9, co. 1 del dlgs n. 23/2015 (cd. jobs act) per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese, viene rivolto al legislatore un monito ad intervenire con urgenza in questa materia, predisponendo tutele adeguate.
La questione
La Corte ha condiviso le perplessità del Tribunale secondo cui la previsione di un indennizzo non superiore alle sei mensilità, senza neppure l’alternativa della riassunzione, non attuerebbe un ragionevole bilanciamento tra gli interessi del lavoratore e del datore di lavoro. In particolare secondo che la Corte la norma incriminata «nella parte in cui determina un limite massimo del tutto inadeguato e per nulla dissuasivo», non garantisce «un’equilibrata compensazione» e «un adeguato ristoro» del pregiudizio e non assolve alla necessaria funzione deterrente contro i licenziamenti illegittimi.
Nelle motivazioni i giudici spiegano che «un’indennità costretta entro l’esiguo divario tra un minimo di tre e un massimo di sei mensilità vanifica l’esigenza di adeguarne l’importo alla specificità di ogni singola vicenda» e non rappresenta un rimedio congruo e coerente con i requisiti di adeguatezza e dissuasività affermati dalle sentenze n. 194 del 2018 e n. 150 del 2020 della stessa Corte.
«Il limitato scarto tra il minimo e il massimo determinati dalla legge conferisce un rilievo preponderante, se non esclusivo, al numero dei dipendenti». Tale criterio, «in un quadro dominato dall’incessante evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi», non è indicativo della effettiva forza economica del datore di lavoro e non offre neppure elementi significativi per determinare l’ammontare dell’indennità secondo le peculiarità di ogni singola vicenda.
Il monito
Nonostante lo stesso Tribunale di Roma avesse proposto diverse soluzioni per porre rimedio ai profili di contrasto (es. ridefinizione di un criterio distintivo, incentrato sul numero degli occupati, all’eliminazione del regime speciale e alla ridefinizione delle soglie) la Corte non entra nel merito dichiarando inammissibile il ricorso e rinviando la questione al legislatore al fine di individuare la soluzione più appropriata per garantire tutele adeguate. Con un avvertimento: agire d’urgenza. Qualora, infatti, permanesse l’inerzia e alla Corte fosse riproposta la stessa questione provvederà direttamente a intervenire sulla disciplina censurata.