La maternità al di fuori del rapporto di lavoro non fa maturare il diritto alla disoccupazione
I Giudici della Corte di Cassazione accolgono il ricorso dell'Inps che aveva negato ai fini della concessione dell'indennità contro la disoccupazione il periodo di contribuzione figurativa per l'astensione obbligatoria al di fuori del rapporto di lavoro.
La questione riguardava la concessione dell'indennità contro la disoccupazione (secondo la normativa antecedente alla Riforma del Jobs Act e della Riforma del Mercato del Lavoro) in favore di una lavoratrice successivamente alla scadenza di un rapporto di lavoro a tempo determinato dal 3 marzo al 31 maggio 2008 e che il 30 maggio aveva avuto inizio il congedo (anticipato) per maternità, con erogazione dal 10 giugno del relativo trattamento. La lavoratrice aveva prodotto domanda di Disoccupazione intendendo conteggiare ai fini del perfezionamento dell'annualità di contribuzione necessaria per accedere al trattamento contro la disoccupazione anche la contribuzione figurativa per la maternità. La domanda era stata però respinta dall'Inps.
La questione è quindi sfociata in tribunale con le Corti di Merito che hanno accolto la domanda della lavoratrice. La Corte d'Appello di Firenze, infatti, nonostante il rapporto di lavoro si fosse interrotto il 30 maggio, quando il contratto di lavoro non fosse ancora scaduto, ha ritenuto sussistente il presupposto del requisito contributivo annuale ai fini della tutela contro la disoccupazione pretesa dalla lavoratrice, riconoscendo a tal fine utile la contribuzione figurativa per maternità. L'Inps ha, quindi, prodotto ricorso per Cassazione la quale alla fine ha dato ragione alla tesi dell'Istituto ed ha cassato la sentenza della Corte d'Appello.
La Tesi della Cassazione
La Corte osserva come prima di tutto il tema concerne la computabilità, ai fini del raggiungimento del requisito di un anno di contribuzione (art. 19 r.d.l. n.636/1939) necessario per conseguire l'indennità ordinaria di disoccupazione, dei contributi figurativi correlati all'astensione obbligatoria per maternità iniziata a due giorni dallo scadere di un rapporto di lavoro a tempo determinato e protrattasi, per il restante arco temporale, al di fuori di un rapporto di lavoro. Secondo i Giudici ai fini del raggiungimento dei requisiti per la disoccupazione non può però applicarsi quanto previsto dalla legge per l'accesso alla pensione che, invece, consente espressamente la valutazione dei periodi di contribuzione figurativa per maternità ancorchè collocata per periodi al di fuori del rapporto di lavoro.
Si tratta cioè di due situazioni distinte che non possono essere confuse e che vengono trattate da un punto di vista normativo in misura completamente diversa. Tale diversità, ricordano i giudici, è giustificata dal fatto che i contributi figurativi sono espressione della partecipazione finanziaria dello Stato al sistema di sicurezza sociale e, quindi, interventi che vanno ad incidere sull'intera collettività. Pertanto ogni situazione ha una propria disciplina speciale, che trova la propria fonte in specifiche disposizioni di legge e regolamentari che non può essere estesa in via analogica ad altre e diverse situazioni in nome di un "principio generale di sistema che "non trova ragion d'essere quando si tratti di sostituire all'apporto finanziario da parte delle categorie interessate quello dello Stato".
Quando i periodi non sono utili
Fatto questa premessa generale i giudici di Piazza Cavour ricordano che l'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica, 26 aprile 1957, n. 818, prevede espressamente che i periodi di astensione obbligatoria verificatisi al di fuori di un rapporto di lavoro in atto non possono essere computati ai fini della tutela contro la disoccupazione. Ebbene, proseguono nella sentenza "il principio da trarre dal senso letterale delle riportate disposizioni, nel senso che i periodi corrispondenti a quelli per i quali sia prevista l'astensione obbligatoria dal lavoro in relazione all'evento maternità, ma che si collochino al di fuori del rapporto di lavoro, seppure riconosciuti come periodi contributivi attraverso la contribuzione figurativa (come previsto, nel tempo, dal d.lgs. n. 503 del 1992, art. 14, comma 3; poi, dal d.lgs. n. 564 del 1996, art. 2, comma 4; infine, dal d.lgs. n. 151 del 2001, art. 25, comma 2), non sono utili ai fini del riconoscimento del diritto all'indennità di disoccupazione, è in continuità con quanto già affermato da questa Corte, con la sentenza 29 agosto 2011, n. 17757, la cui premessa generale, sulla tassatività della contribuzione figurativa, si reputa opportuno ribadire".
In definitiva, secondo i giudici, il testo delle richiamate disposizioni normative non lascia adito a dubbi quanto al riconoscimento, come contribuzione utile, dei periodi corrispondenti a quelli di astensione obbligatoria per maternità verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, unicamente a fini pensionistici e agli effetti del diritto a pensione e non anche al fini del riconoscimento dell'indennità di disoccupazione.
Non rileva, infine, neanche che l'interruzione obbligatoria del rapporto di lavoro abbia avuto inizio due giorni prima della scadenza naturale del rapporto di lavoro a termine, perché ciò che assume rilievo, ai fini del raggiungimento del requisito di un anno di contribuzione occorrente per il diritto all'indennità di disoccupazione, è che il periodo di interruzione sia racchiuso in un rapporto di lavoro in atto, come richiesto dall'art. 56 r.d.l. n. 1827/1935, che evoca "i periodi di interruzione obbligatoria e facoltativa dal lavoro durante lo stato di gravidanza e puerperio".
La decisione è importante perchè destinata ad avere effetti anche sull'attuale Naspi, la nuova assicurazione sociale per l'impiego che dal 1° maggio 2015 ha sostituito l'Aspi che a sua volta dal 2013 aveva preso il posto della vecchia disoccupazione (DSO).