Pensioni, Il contributo integrativo non esclude l’obbligo di contribuzione all’Inps
La Corte Costituzionale promuove la normativa che obbliga gli architetti ed ingegneri titolari di rapporto di lavoro dipendente a contribuire presso la gestione separata dell’Inps per gli eventuali redditi professionali.
Non è incostituzionale l’obbligo di contribuzione alla gestione separata dell’Inps imposto ai professionisti che svolgono anche un’altra attività lavorativa se, per legge o statuto, non sono tenuti al versamento del contributo soggettivo alla Cassa Professionale.
È quanto si legge nella sentenza n. 238/2022 della Corte costituzionale, che ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionali avanzate dal tribunale di Rieti nei confronti dell'articolo 2, comma 26, della legge 335/1995 e dell'articolo 18, comma 12, del dl 98/2011. Le due disposizioni, in particolare, prevedono l'obbligo di iscrizione alla gestione separata dell'Inps a carico degli ingegneri e degli architetti che, pur essendo iscritti ai relativi albi professionali, non possono iscriversi alla cassa previdenziale di riferimento in quanto svolgono contestualmente anche un'altra attività lavorativa e sono dunque iscritti alla corrispondente forma di previdenza obbligatoria
La questione
Secondo il giudice rimettente la normativa sopra richiamata avrebbe violato il principio di ragionevolezza in quanto un’esigenza di coerenza avrebbe dovuto indurre il legislatore a realizzare sempre per i professionisti iscritti ad albi professionali la piena copertura previdenziale all’interno della propria categoria professionale. La diversa scelta legislativa di sottoporli all’obbligo di iscrizione alla gestione separata avrebbe, invece, comportato l’irragionevole effetto di comprimere l’autonomia regolamentare statutaria riconosciuta dallo stesso legislatore alle casse previdenziali private, tra cui figura quella degli architetti e degli ingegneri.
Oltre che il principio di ragionevolezza, la norma sospettata di illegittimità costituzionale si porrebbe in contrasto con il canone di proporzionalità in ragione della maggiore ed ingiustificata incisività patrimoniale rispetto al criterio adottato con riguardo all'analoga fattispecie dei pensionati. Quest’ultimi, infatti, sono tenuti al versamento di un contributo soggettivo ridotto alla Cassa, quanto basta per evitare un «vuoto» contributivo in relazione ai redditi professionali percepiti.
La decisione
Nella sentenza, dopo aver ricostruito la situazione normativa e gli interventi della giurisprudenza, la Corte afferma che «costituisce regola di diritto vivente – assunta come tale anche dal giudice rimettente – quella secondo cui sono obbligati ad iscriversi alla Gestione separata Inps non solo i soggetti che svolgono abitualmente attività di lavoro autonomo il cui esercizio non sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ma anche i soggetti iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie per i quali è preclusa l'iscrizione alla cassa di previdenza categoriale, a cui versano esclusivamente un contributo integrativo di carattere solidaristico in quanto iscritti agli albi, cui non segue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio» (così, da ultimo, segnatamente con riferimento agli architetti e agli ingegneri, nel solco di un consolidato orientamento, Corte di cassazione, sezione sesta civile, sentenza 23 giugno 2022, n. 20288).
La Corte, fatta questa premessa, ritiene non sussista alcuna irrazionalità o violazione dell’autonomia regolamentare in merito all’obbligo di contribuzione alla gestione separata di architetti e ingegneri titolari di un rapporto di lavoro dipendente o di altra attività autonoma in quanto, per queste figure, il divieto di iscrizione alla cassa professionale discende esplicitamente dalla legge (art. 2 legge n. 1046/1971). Divieto che è stato promosso dalla stessa Consulta nella decisione n. 108/1989) nel panorama normativo dell’epoca. Se questo divieto legale non ci fosse, spiega la sentenza, la Cassa avrebbe la potestà per regolamentare diversamente la materia. In altri termini, la sospetta irrazionalità discende non dalla disciplina della gestione separata bensì dalla tutela residuale che questa gestione assume nei casi in cui i professionisti, per qualsiasi ragione, non versino il contributo soggettivo alla rispettiva cassa professionale.
Per la Corte, inoltre, non sussiste alcuna analogia rispetto ai professionisti pensionati che dal 2012, per effetto della Riforma Inarcassa, sono tenuti al versamento presso la Cassa Professionale nel caso di prosecuzione dell’attività libero professionale. Da questa data, infatti, non è sorto un nuovo obbligo contributivo ma solo la sua sostituzione verso la cassa di quanto prima dovuto verso la Gestione separata; «sostituzione che costituisce l’effetto del sopra illustrato rapporto di complementarità tra i due regimi, dovuto all’incidenza del concreto esercizio dell’autonomia regolamentare delle casse e alla funzione complementare e di chiusura dell’istituto della Gestione separata».