Al raggiungimento di determinati requisiti anagrafici e/o contributivi le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo o la facoltà di collocare in pensione il personale in servizio.
Il Pensionamento d'Ufficio
Dopo l'approvazione del decreto legge sul pubblico impiego (Dl 101/2013) e del decreto legge sulla Pubblica Amministrazione (Dl 90/2014) sono profondamente cambiate le regole per la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro da parte delle Pubbliche Amministrazioni.
I due provvedimenti citati hanno perseguito l'obiettivo di limitare la possibilità di proseguire il rapporto di lavoro dopo il compimento dell'eta' pensionabile per i lavoratori del pubblico impiego, da un lato abolendo il trattenimento in servizio, quell'istituto che consentiva di restare per un altro biennio sul posto di lavoro dopo l'età per il pensionamento; dall'altro rendendo strutturale la facoltà di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro nei confronti dei lavoratori che hanno raggiunto la massima anzianità contributiva (cioè 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne); ancora precisando che il limite ordinamentale per la permanenza in servizio (65 anni nella stragrande maggioranza delle Pa) possa essere superato solo per consentire al lavoratore il perfezionamento del diritto ad una prestazione pensionistica. A ben vedere queste limitazioni appaiono in contrasto con la stessa legge Fornero che, invece, incentivava la prosecuzione del rapporto lavorativo oltre il compimento dell'età pensionabile (sino a 70 anni) per dare la possibilità al lavoratore di agguantare un assegno più succulento.
Queste regole sono state cristallizzate nella Circolare della Funzione Pubblica 2/2015 con la quale Palazzo Vidoni ha individuato con precisione i limiti e le modalità per l'esercizio del potere di collocare in pensione d'ufficio i dipendenti pubblici.
La risoluzione obbligatoria
Allo stato attuale, per effetto di quanto appena precisato, le pubbliche amministrazioni devono collocare in pensione d'ufficio a 65 anni (cioè al raggiungimento del limite ordinamentale per la permanenza in servizio) il personale che ha, a tale età, maturato un qualsiasi diritto a pensione (ad eccezione del personale che ha maturato i requisiti per la cd. «quota 100» o «quota 102»).
In tale condizione si trovano, ad esempio, i lavoratori che hanno maturato i requisiti di accesso al pensionamento entro il 31 dicembre 2011 e coloro che hanno raggiunto la massima anzianità contributiva (es. 42 anni e 10 mesi di contributi; 41 anni e 10 mesi di contributi le donne) fermo restando l'apertura della relativa finestra mobile di decorrenza (tre mesi). Resta da confermare se la risoluzione d'ufficio possa essere attivata anche ove i suddetti requisiti contributivi siano perfezionati con il cumulo dei periodi assicurativi di cui alla legge n. 228/2012.
In caso contrario il rapporto di lavoro prosegue sino all'età per la vecchiaia, ovvero sino a 67 anni di eta'. Oltre tale data il rapporto non può protrarsi ad eccezione del caso in cui il lavoratore non abbia maturato i 20 anni di contributi (cioè il requisito contributivo necessario per l'accesso alla pensione di vecchiaia). In tale circostanza è prevista, in via eccezionale, la possibilità di proseguimento dell'impiego fino a 71 anni se tale prolungamento consente al lavoratore di perfezionare il requisito contributivo utile per la pensione di vecchiaia, cioè 20 anni di contributi (5 per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 31.12.1995).
La risoluzione d'ufficio si esercita, invece, al compimento del 70° anno di età nei confronti dei magistrati, degli avvocati e procuratori dello stato, dei professori universitari in quanto, nei loro confronti, il limite di permanenza in servizio è più alto di 5 anni rispetto alla generalità degli altri dipendenti pubblici. Per i magistrati il limite di permanenza è stato parzialmente temperato sino al 31 dicembre 2017 per esigenze connesse alla funzionalità degli uffici giudiziari.
L'emergenza sanitaria da COVID-19 consente, inoltre, dal 18 marzo 2020 al 31 dicembre 2022 alle aziende e agli enti del Ssn di trattenere in servizio i dirigenti medici e sanitari, nonché il
personale del ruolo sanitario del comparto sanità e gli operatori socio-sanitari in deroga a qualsiasi limite anagrafico.
La Risoluzione Facoltativa
L'articolo 1, comma 5 del decreto legge 90/2014 consente, inoltre, alle amministrazioni pubbliche di anticipare la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro rispetto ai limiti ordinamentali qualora ciò risponda a specifiche esigenze interne dell'ente pubblico. In tal caso la risoluzione deve essere motivata al destinatario con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta adottati; e può essere esercitata solo nei confronti dei lavoratori che abbiano raggiunto la massima anzianità contributiva (cioè a 42 anni e 10 mesi di contributi se uomini, 41 anni e 10 mesi se donne) fermo restando l'apertura della relativa finestra mobile di decorrenza (tre mesi). Prima di agire l'amministrazione deve dare un preavviso di sei mesi al dipendente.
La facoltà in parola è preclusa nei confronti dei dirigenti medici e sanitari del Ssn responsabili di struttura complessa, magistrati, personale difesa e soccorso pubblico e professori universitari. Nei confronti dei dirigenti medici e sanitari del SSn non responsabili di struttura complessa la risoluzione facoltativa può essere esercitata a condizione che - oltre alla massima anzianità contributiva - sia stata raggiunta l'età anagrafica di 65 anni.
Settore Privato
Per i dipendenti del settore privato l'incentivazione alla permanenza sul posto di lavoro, oltre l'età pensionabile di vecchiaia è rimessa sostanzialmente alla volontà delle parti, datore di lavoro e prestatore dopo l'orientamento della Corte di Cassazione che ha svuotato la portata precettiva della Legge Fornero (qui ulteriori dettagli).
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