Come il part-time verticale incide sulla pensione
Dal 1° gennaio 2021 è venuta meno la discriminazione che danneggiava i lavoratori e lavoratrici dipendenti del settore privato impiegati solo per alcuni periodi dell'anno.
Sempre più frequentemente lavoratori e lavoratrici dipendenti del settore privato, nelle vicinanze dell'andata in pensione, si trovano di fronte alla problematica di come valorizzare ai fini pensionistici i periodi di part-time verticale ciclico. La questione coinvolge i dipendenti del settore privato che, in accordo negoziale con il proprio datore di lavoro, hanno prestato l'attività lavorativa solo in alcuni mesi dell'anno maturando, pertanto, una sospensione totale dell'attività durante il restante periodo, in genere concentrata durante il periodo estivo.
A questo riguardo vale la pena ricordare che la normativa italiana (art. 5, comma 11, del d.l. 726/1984 e Art. 7, comma 1, d.l. 463/1983, conv. con mod. in L. 638/1983) originariamente non prevedeva la valorizzazione ai fini pensionistici dei periodi di inattività lavorativa del part-time verticale; questi periodi in altri termini erano considerati neutri rispetto alla maturazione dell'anzianità contributiva computabile a fini pensionistici. Ad esempio se vengono lavorati 9 mesi l'anno l'Inps accredita sul conto assicurativo 39 settimane anziché 52 settimane. Come si intuisce se il rapporto di lavoro in part-time verticale dura per molti anni l'anzianità contributiva si può ridurre in maniera significativa determinando, a seconda dei casi, una dilatazione nella data di pensionamento. Ciò peraltro non avveniva per i lavoratori del settore pubblico nei confronti dei quali gli anni di servizio ad orario ridotto sono sempre stati utili per intero ai fini del diritto a pensione.
Fortunatamente le regole sopra esposte sono state messe in discussione all'indomani della pronuncia della Corte di Giustizia 10 giugno 2010, da cui è emersa la necessità di tenere conto, nel calcolo dell'anzianità contributiva, anche dei periodi non lavorati. Nel solco di tale pronuncia la giurisprudenza di Cassazione ha quindi iniziato ad accogliere le richieste dei lavoratori affermando il principio secondo il quale anche ai soggetti in regime di part-time verticale, al pari di quanto avviene nel part-time orizzontale, l'ammontare dei contributi versati debba essere riproporzionato sull'intero anno cui i contributi stessi ed il rapporto si riferiscono (fermo restando chiaramente il rispetto del minimale contributivo). In questi casi, pertanto, non si può escludere dal calcolo dell'anzianità contributiva utile per acquisire il diritto alla pensione, nei confronti dei lavoratori con rapporto a tempo parziale cd. verticale ciclico, i periodi non lavorati nell'ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro.
In forza di tale principio il legislatore è intervenuto di recente con l'articolo 1, co. 350 della legge n. 178/2020 riconoscendo dal 1° gennaio 2021 il diritto all'anzianità piena anche per i lavoratori in part-time verticale o ciclico nel rispetto del minimale contributivo. Se il rapporto di lavoro era attivo al 1° gennaio 2021 oppure era esaurito alla predetta data il beneficio è riconosciuto retroattivamente a condizione che l'assicurato presenti apposita istanza all'INPS corredata da specifica documentazione probante (cfr: circolare Inps n. 74/2021). Si tratta, quindi, di una novità importante grazie alla quale è possibile recuperare anzianità contributiva utile ai fini del diritto a pensione (non ci sono però effetti sulla misura) come, ad esempio, opzione donna o la pensione anticipata.