Effetto Covid sulla previdenza, meno pensionati e meno lavoratori
Secondo il IX Rapporto di Itinerari Previdenziali l'emergenza sanitaria ha causato oltre96.000 decessi dai 65 anni in su e ha contemporaneamente prodotto un drastico calo degli occupati (-537.000), ma a preoccupare è la crescita della spesa assistenziale che va separata da quella previdenziale.
Meno pensionati e meno occupati a causa dell'epidemia da Covid-19, una spesa previdenziale sotto controllo e invece una preoccupante crescita di quella assistenziale, peraltro anche inefficace nel contrasto della povertà. Sono questi i principali risultati che emergono dal IX Rapporto di Itinerari Previdenziali presentato il 15 febbraio scorso al Senato.
I dati raccolti dall'istituto di ricerca che dal 2014 monitora l'andamento del sistema previdenziale del nostro paese mostra quanto il Coronavirus abbia impattato sul mondo pensionistico e del lavoro con un duplice effetto abbastanza contraddittorio: nella fascia di età dai 65 anni in su si sono registrati i decessi di 96.818 persone, il che ha prodotto un aumento contenuto della popolazione pensionata di soli 6.037 unità, nonostante gli effetti di Quota 100 e dell'Ape sociale.
Tuttavia, gli effetti economici della pandemia hanno anche causato la perdita di 537.000 posti di lavoro, riducendo il tasso di occupazione di un punto percentuale preciso: da 59,1% nel 2019 a 58,1% nel 2020. Il risultato è un rapporto tra attivi e pensionati che è passato da 1,4578 a 1,4238 registrando una caduta del -2,4%, un dato negativo per il nostro sistema previdenziale a ripartizione.
La spesa previdenziale all'epoca del Covid, tutto sommato il sistema regge
Nelle precedenti edizioni del Rapporto di Itinerari Previdenziali, l'istituto di ricerca aveva individuato nel valore ottimale di 1,5 nel rapporto attivi/pensionati, il punto di equilibrio in grado di garantire la tenuta sul medio-lungo periodo del sistema previdenziale: quindi la pandemia avrebbe di fatto peggiorato la situazione. Ma Itinerari Previdenziali non è affatto pessimista perché ritiene che l'effetto combinato degli investimenti pubblici derivanti dal Pnrr e di quelli privati con la conseguente ripresa economica e occupazionale riporterà entro il 2024 il valore all'1,49 entro il 2024.
Per il presidente di Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla il sistema è sostenibile e lo rimarrà anche nel 2035, quando terminerà l'ondata del “baby boom”, però a sua detta bisognerebbe intervenire in quattro diversi ambiti:
- le età di pensionamento, attualmente tra le più basse d’Europa (62 anni l’età effettiva in Italia contro i 65 della media europea), nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale;
- l’invecchiamento attivo dei lavoratori, attraverso misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione;
- la prevenzione, intesa come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute;
- le politiche attive del lavoro, da realizzare di pari passo con un’intensificazione della formazione professionale, anche on the job.
La separazione dell'assistenza dalla previdenza
Quello che invece preoccupa davvero è il peso crescente della spesa assistenziale nel nostro paese arrivata nel 2020 a 510,258 miliardi di euro, coprendo il 64,6% delle entrate contributive e fiscali, ma il paradosso consisterebbe nel fatto che nonostante questo aumento di risorse del 57% tra il 2008 e il 2019, i poveri assoluti secondo i dati Istat sarebbero aumentati da 2,11 milioni a 4,59 e quelli in povertà relativa del 36%. Dati che a detta dei ricercatori invitano a riflettere sulla necessità di passare dal mero pagamento di sussidi all'effettiva presa in carico delle famiglie in difficoltà da parte dei servizi sociali e del lavoro.
Tuttavia, è difficile circoscrivere la questione della spesa assistenziale alla dimensione sociale perché l'aumento della povertà ha molto a che fare con l'arretratezza dell'apparato produttivo italiano, la mancanza di investimenti in ricerca e sviluppo e la mancata valorizzazione del lavoro, tanto è vero che la politica ha ora in agenda la discussione sul salario minimo legale.
Diventa, pertanto molto difficile discutere di riduzione dell'assistenza sociale, se prima non si affrontano queste criticità.
Maggiormente condivisibile è invece la necessità di separare la spesa assistenziale da quella previdenziale messa in luce dal IX Rapporto e rivendicata storicamente dai sindacati perché il peso dell'assistenza che grava sulla fiscalità generale non può essere confuso con la spesa previdenziale, a pena di allarmare inutilmente i partner europei innescando pressioni per la riduzione dei trattamenti pensionistici che invece sono sotto controllo, nonostante i 5,7 milioni di trattamenti in pagamento da più di 20 anni.