Esodati, L'Inps chiude all'ottava salvaguardia. "Serve soluzione strutturale"
Il rapporto annuale dell'Istituto gela le aspettative degli ultimi 20-30mila lavoratori rimasti fuori dalle tutele. Benefici ormai non più necessari.
"I primi interventi di salvaguardia potevano apparire come necessari perfezionamenti della riforma, sollevavano problemi operativi relativamente limitati e rispondevano a un chiaro obiettivo di politica economica: introdurre aggiustamenti al margine dopo un intervento drastico e urgente per fronteggiare la crisi, adottati una volta superata la fase acuta e tenuto conto delle nuove condizioni dell’economia e del bilancio pubblico" scrive l'Inps nel rapporto.
"Se la sequenza degli interventi di salvaguardia dovesse protrarsi, emergerebbe con sempre maggiore chiarezza il progressivo cambiamento di obiettivo di queste misure: non un esonero indirizzato in maniera specifica ai lavoratori che si trovano in difficoltà economica negli anni tra la cessazione dell’attività e la percezione della prima pensione a causa delle modifiche introdotte dalla legge n. 214 del 2011 (gli esodati in senso stretto), ma un surrogato di politiche passive del lavoro o di altri istituti di welfare oggi sottodimensionati o assenti per tutelare platee più ampie e non necessariamente, o non tutte, danneggiate in maniera diretta dalla riforma. Le salvaguardie rappresentano, di fatto, una soluzione di pensionamento flessibile senza penalizzazioni dedicata a specifiche categorie di lavoratori. Deroghe di questo tipo possono essere giustificate solo per particolari categorie di lavoratori (come, ad esempio, gli usuranti)" conclude l'Inps.
Un cambio di rotta del tutto inaspettato se si considera che lo stesso Boeri alla fine dello scorso anno aveva espressamente appoggiato la settima salvaguardia. Giudizio severo che, a voler pensar male, sembra quasi concordato con il Governo per dargli un alibi a chiudere le porte all'ottava salvaguardia. Ora che la difesa delle salvaguardie appare meno spendibile politicamente (i più ormai sono stati tutelati) ecco che ci si scaglia contro gli ultimi esclusi evidenziando i costi e le iniquità di tali provvedimenti. Eppure bisognerebbe ricordare che le salvaguardie sono state strumentalizzate soprattutto dalla politica che ne ha fatto una merce di scambio anno dopo anno per evitare una controriforma sulle pensioni.
Piccole "concessioni" (la platea degli interessati ammonta poco più di 100mila lavoratori per un totale di circa 10-11 miliardi di euro di spesa, pochi se si considerano i risparmi prodotti dalla Riforma e il numero dei lavoratori direttamente e indirettamente coinvolti) sbandierate in questi anni come segno di profonda attenzione a queste problematiche ma che hanno distolto l'attenzione pubblica da problemi sicuramente più costosi come una revisione (un tema prima o poi ineludibile) della Legge Fornero. Sbagliato dunque prendersela con alcune migliaia di lavoratori ultra 60enni che si trovano in condizione di difficoltà lavorativa: anche perchè la loro tutela è stata garantita da un Fondo previsto dalla legge 228/2012 e, pertanto, non produce ulteriori costi per il contribuente rispetto alle somme allora messe a disposizione (poco più di 11 miliardi poi sottratti in parte da alcuni interventi sottobanco). Dunque se residuano denari su questo Fondo perchè non destinarli interamente al proprio scopo? Solo perchè c'è stato qualche abuso? Non è forse che qualcuno stia pensando di "scipparli" per introdurre l'APE? Non vorremmo essere troppo negativi ma c'è un proverbio che recita a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina....
Fortunatamente c'è qualcuno che ancora tiene alta l'attenzione su questo tema prima che venga assorbito dall'APE. L'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, ha ribadito ieri l'impegno a chiudere la questione: "abbiamo presentato una proposta di legge sull’ottava salvaguardia degli esodati per chiudere definitivamente la partita. Il fatto che su 92.729 pensioni finora liquidate con le sette salvaguardie precedenti ben l’88% sia collocato all’interno di un tetto di 3.000 euro lordi (non netti) al mese, è molto positivo perché vuol dire che abbiamo tutelato il ceto medio del lavoro e anche chi ha gli stipendi più bassi".