Maggiorazione ANF, Serve sempre il parere medico dell’Inps
Il riconoscimento della pensione di invalidità civile non permette automaticamente la maggiorazione dell’assegno per il nucleo familiare. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione rigettando la tesi di un pensionato invalido.
Serve sempre il parere medico legale dell’Inps per il riconoscimento dell’ANF sulla pensione dell’invalido ancorché questi sia già titolare di una prestazione di invalidità civile. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16710 del 24 maggio 2022 in cui spiega che non è possibile ritenere idoneo ai fini dell’ANF l’accertamento sanitario eventualmente già espletato.
ANF ed Inabilità
Un invalido già titolare di pensione di inabilità civile aveva domandato l’erogazione degli ANF sulla pensione senza, tuttavia, sottoporsi al giudizio medico legale dell’Inps ritenendo il requisito sanitario già espletato in sede di valutazione dell’invalidità civile. Le Corti di Merito gli avevano dato ragione ordinando all’Inps la corresponsione degli ANF con gli arretrati maturati sin dall’attestazione della commissione sanitaria in relazione alla domanda di invalidità civile. Come noto in sede di riconoscimento dell’ANF i limiti di reddito vengono aumentati di 11.633 € circa se nel nucleo familiare sono presenti soggetti inabili a proficuo lavoro.
La decisione
Per la Cassazione, invece, ha ragione l’Inps in quanto il giudizio sanitario formulato in sede di invalidità civile comprende situazioni di diversificata gravità, mentre il requisito medico legale da porre a presupposto degli ANF deve essere necessariamente di certa e severa gravità come richiesto dalla legge n. 222/1984.
Ed infatti la legge citata, ha introdotto un'unica ed unitaria nozione di «inabilità» che vale per «integrare il diritto sia alla relativa pensione, sia alla pensione di reversibilità (come si evince dal riferimento contenuto nella legge cit., art. 8 e della L. 21 luglio 1965 n. 903, artt. 21 e 22), sia ai fini del diritto agli assegni familiari, posto che l'art. 8 cit., comma 2 sostituisce l'art. 4 del TU 30 maggio 1955, n. 797 (Cass. 26/08/2004, n. 16955; Cass. 26/6/2016, n. 10953; Cass. 9/4/2018, n. 8678)».
In particolare sono inabili «le persone che, a causa di infermità o difetto tisico o mentale, si trovino nell'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa». Tale concetto va determinato esclusivamente dalla infermità ovvero dal difetto fisico o mentale, «non già da circostanze estranee alle condizioni di salute, senza che debba verificarsi, in caso di mancato raggiungimento di una totale inabilità, il possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto (in tal senso, Cass. n. 10953/2016, cit., e Cass. n. 8678/2018, cit.)».
In altri termini per tali prestazioni è indispensabile un ulteriore giudizio sanitario da parte dei medici Inps affinché si accerti la presenza o meno di una invalidità media o grave. La Cassazione, pertanto, ha sconfessato l’orientamento delle Corti di merito che, invece, avevano riconosciuto la prestazione pur in mancanza del positivo accertamento del necessario requisito sanitario, che, come detto, non coincide con il diverso riconoscimento della inabilità civile.