Pensioni, Ancora troppe ipotesi in vista della legge di bilancio
Governo orientato a prorogare gli attuali canali di uscita flessibile. Da sciogliere anche il nodo perequazione degli assegni che l'anno prossimo potrebbero salire dell'1,6%. L’autunno anziché portare chiarezza sta ingarbugliando ancora di più il quadro sulla previdenza.
Abbiamo assistito nel corso dell’estate a molte dichiarazioni da parte della politica sull’argomento pensioni che stanno disorientando ancora di più gli italiani soprattutto quelli che dopo una vita di lavoro si stanno avvicinando al sospirato traguardo della pensione.
Sembra quasi incredibile ma sono molti, ormai, i lavoratori che dopo aver per anni criticato la rigidità della Legge Fornero ora la difendono perché temono un peggioramento dei requisiti per accedere al pensionamento. Del resto, la Legge Fornero istituita in un contesto economico difficilissimo, anni fa veniva da tutte le forze politiche aspramente criticata ed ora viene invece definita nella Nadef 2023 come colei che “ha migliorato in modo significativo la sostenibilità del sistema pensionistico nel medio-lungo periodo, garantendo una maggiore equità tra le generazioni”.
Alla vigilia di ogni legge di bilancio girano le più disparate proposte. Questa estate la Lega per bocca del Sottosegretario al Lavoro Durigon ha riproposto un suo vecchio cavallo di battaglia, i famosi “41 per tutti” (41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica per accedere al pensionamento) ma con una sostanziale differenza: il passaggio interamente al sistema contributivo. Costerebbe ovviamente meno della “41 pura” (1 miliardo e mezzo l’anno invece di cinque miliardi) ma difficilmente troverà il consenso dei lavoratori e delle parti sociali, determinerebbe un taglio secco e permanente dell’assegno di circa il 20% (la penalità, tuttavia, non è fissa, dipende dalla carriera dell’assicurato).
Un’altra proposta, attribuita al CNEL, vorrebbe superare “le Quote 100, 102, 103” per offrire maggiore flessibilità a partire dai 64 anni sino ai 72 anni. Per ogni anno di anticipo rispetto all’età di vecchiaia (67 anni), ci sarebbe una penalizzazione del 3% sulla parte retributiva dell’assegno; di converso, per ogni anno di ritardo del pensionamento sarebbe corrisposto un incentivo fino al limite massimo dei 72 anni. Ci sarebbe, inoltre, un aumento di contribuzione minima per il pensionamento di vecchiaia: da 20 a 25 anni. Per l’uscita anticipata verrebbe imposta la condizione di poter vantare un assegno previdenziale di almeno una volta e mezza il trattamento minimo (circa 800 euro). Difficile che veda il disco verde nella legge di bilancio.
Proroga Quota 103
E’ probabile, invece, che l’intervento sulla previdenza sarà molto più soft. Si prospetta, infatti, una proroga dell’attuale Quota 103 (62 anni e 41 anni di contributi) con il mantenimento del calcolo interamente contributivo ed il tetto massimo all’importo lordo del trattamento (4 volte il TM) unitamente ad una nuova proroga dell’ape sociale (63 anni e 5 mesi) e di opzione donna (nella versione molto ristretta). Per recuperari denari l'esecutivo potrebbe ricorrere al subdolo meccanismo di differire l'erogazione del primo rateo pensionistico, cioè allungare ulteriormente le finestre mobili.
Il Governo potrebbe poi rilanciare le adesioni alla previdenza complementare per rimpinguare gli assegni soprattutto dei lavoratori più giovani. Il Ministro Calderone (Lavoro) ha proposto al riguardo un nuovo semestre di silenzio/assenso per il versamento del TFR nei fondi pensione. Allo studio del Ministro Zangrillo (Pubblica Amministrazione) anche la reintroduzione del trattenimento in servizio per i dipendenti pubblici. Su base volontaria le amministrazioni potrebbero trattenere sino al 10% della forza lavoro sino all’età di 70 anni.
Perequazione
Quest’anno l’inflazione dovrebbe arrestarsi intorno al 1,6% ma il Governo sarebbe intenzionato, comunque, a mantenere il modulo degli ultimi due anni: vale a dire rivalutazione al 100% dell’inflazione solo degli assegni entro le 4 volte il TM e poi parziale sulle fasce superiori. Sul punto, peraltro, pende un nuovo ricorso alla Corte Costituzionale che potrebbe imporre all’esecutivo di cambiare marcia. Sarebbe un’altra grana che si aggiungerebbe a quella relativa alla dilazione del termine di pagamento della buonuscita ai dipendenti pubblici.