Pensioni, chi trasferisce la residenza all'estero perde l'integrazione al minimo
La quota di pensione che consente di raggiungere il livello minimo non è esportabile da parte dei titolari che trasferiscono la propria residenza in uno stato dell'Unione europea.
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L'Inps con il messaggio n. 3770/2014, in risposta alle numerose richieste di chiarimenti sull'argomento da parte dei propri uffici periferici ha precisato che la quota di pensione che consente di raggiungere il livello minimo, pari a 501,38 euro non è esportabile da parte dei titolari che trasferiscono la propria residenza in uno stato dell'Unione europea.
Attualmente infatti il calcolo della pensione con il sistema retributivo viene determinato sulla base del numero degli anni di contributi e della cosiddetta retribuzione pensionabile, ossia la media degli stipendi percepiti nell'ultimo periodo di lavoro (o degli ultimi redditi dichiarati al Fisco per i lavoratori autonomi).
L'importo della rendita risulta pari a un 2% della retribuzione pensionabile, per ogni anno di contributi. Quando l'importo calcolato sulla base della contribuzione effettivamente versata risulta inferiore a una certa cifra (il minimo stabilito dalla legge) si procede alla cosiddetta integrazione, che rappresenta quindi la differenza, a carico dello stato, tra la quota effettivamente maturata e la soglia stabilita.
Le condizioni richieste affinché scatti l'integrazione sono due: il richiedente la pensione non deve avere altri redditi Irpef di importo superiore al doppio del minimo; il reddito complessivo della coppia (pensionato e relativo coniuge) non deve superare l'importo annuo di 4 volte il minimo.
L'art.70 del regolamento (Ce) n. 883/2004 disciplina le «prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo» aventi caratteristiche sia delle prestazioni assistenziali che di quelle previdenziali. Tali prestazioni, se elencate nell'allegato X del regolamento , sono inesportabili negli stati membri e, quindi, vengono erogate esclusivamente nel paese in cui gli interessati risiedono in base ai criteri previsti dalla legislazione di detto stato.
Pertanto, si legge nella nota, sono a carico dell'istituzione del luogo di residenza: gli assegni sociali, le rendite assistenziali, l'integrazione della pensione minima e le maggiorazioni sociali. Quindi i residenti in paesi entrati a far parte dell'Ue, titolari di pensione in regime nazionale o internazionale, che abbiano perfezionato i requisiti per l'attribuzione dell'integrazione al trattamento minimo prima dell'ingresso dello stato nell'Unione europea, mantengono anche dopo tale data il diritto al pagamento dell'integrazione, sempreché soddisfino i requisiti previsti dalla normativa di riferimento.
Al contrario, in applicazione del citato principio dell'inesportabilità, non potranno essere corrisposte integrazioni al trattamento minimo i cui requisiti, in particolare reddituali, si siano perfezionati in capo al titolare di pensione residente all'estero in data successiva all'ingresso dello stato nell'Unione.
Ai fini del mantenimento dell’integrazione al trattamento minimo, conclude la nota, non solo la decorrenza del trattamento pensionistico deve collocarsi anteriormente alla data di ingresso dello Stato nell’Unione europea, ma devono essere soddisfatte, prima di detta data, tutte le condizioni, previste dalla normativa nazionale, per l’attribuzione dell’integrazione al trattamento minimo.