Pensioni, Ecco il tasso di rivalutazione dei contributi nel 2023
Diffuso dall’Istat il coefficiente di capitalizzazione dei montanti contributivi da utilizzare per le pensioni aventi decorrenza dal 1° gennaio 2024. Aumento di oltre il 2,3% sul montante acquisito sino al 31 dicembre 2022.
Dopo anni di stagnazione torna a crescere il montante contributivo su cui si calcola la pensione. Chi andrà in pensione dal 1° gennaio 2024 avrà una rivalutazione del 2,3% del montante acquisito al 31 dicembre 2022. Lo rende noto l'Istat con nota prot. 2302191/2023, pubblicata sul sito del ministero del lavoro, nella quale diffonde il tasso di capitalizzazione ai sensi della legge n. 335/1995 relativo all’anno 2023. Si tratta dell’aumento più consistente dal 2009.
Il tasso 2023
Nello specifico il tasso medio annuo composto di variazione del prodotto interno lordo nominale, nei cinque anni precedenti il 2023, è risultato pari a 0,023082 e, pertanto, il coefficiente di rivalutazione è pari a 1,023082. Il tasso, come consueto, fungerà da parametro per rivalutare il montante acquisito al 31 dicembre 2022 per i lavoratori iscritti alle gestioni della previdenza pubblica obbligatoria (INPS), che andranno in pensione tra il 1° gennaio 2024 ed il 31 dicembre 2024. Si ricorda, infatti, che la rivalutazione non opera sui contributi versati nell’anno precedente la decorrenza della pensione (quindi nel 2023) né per quello di pensionamento (2024). Sostanzialmente un montante contributivo di 100.000€ al 31 dicembre 2022 varrà 102.300€ facendo registrare un aumento di 2.300€.
Montante
Come noto in base alla riforma Dini il montante contributivo (quel tesoretto che viene annualmente messo da parte dai lavoratori con il versamento dei contributi previdenziali) viene annualmente rivalutato in base all'andamento della crescita nominale del prodotto interno lordo degli ultimi 5 anni (il cd. tasso di capitalizzazione). Il tasso di rivalutazione si applica alla parte contributiva di tutte le pensioni (di vecchiaia, di anzianità, di invalidità) erogate dalla previdenza pubblica obbligatoria (cioè dall'INPS), e quindi è importante per chi ha iniziato a versare i contributi dal 1996, perché la sua pensione sarà calcolata interamente con il metodo contributivo; è meno impattante per chi aveva meno di 18 anni di contributi nel 1995, in quanto soggetto al sistema misto (retributivo-contributivo); ed ancor meno significativo per chi aveva più di 18 anni di contributi nel 1995 dato che il metodo contributivo si applica solo ai versamenti effettuati dal 2012 in poi.
L'ammontare dei contributi che ogni anno si traduce in pensione è determinato dall'aliquota di computo che risulta pari al 33% della retribuzione percepita per i lavoratori dipendenti (per gli autonomi l'aliquota è più bassa, e risulta compresa tra il 24 ed il 25% a seconda del profilo dell'assicurato). E' questo il valore che ogni anno deve essere rivalutato per la media quinquennale del Pil.
Il montante contributivo rivalutato si traduce infine in rendita pensionistica attraverso i cd. «coefficienti di trasformazione» cha variano a seconda dell’età dell’assicurato al momento del pensionamento (più si è avanti con l’età, minore è la speranza di vita residua, maggiore sarà il coefficiente e quindi maggiore sarà la rendita). I coefficienti sono fissati dalla legge dal 57° al 71° anno di età e sono soggetti a revisione biennale (l’ultima relativa al biennio 2023-2024 ha fatto registrare una variazione positiva dopo anni di riduzioni).