Pensioni, I contributi volontari versati in ritardo non fanno perdere il diritto a pensione
Lo ha precisato la Corte di Cassazione accogliendo il ricorso di un lavoratore che si era visto annullare l'iscrizione al Fondo GAS. Anche se si versa in ritardo il lavoratore mantiene il diritto a continuare i versamenti maturando il diritto al trattamento pensionistico atteso.
Il versamento in ritardo dei contributi volontari non può determinare la perdita tout court del diritto ad andare in pensione. In questa ipotesi l'INPS è tenuto alla restituzione dell'importo intempestivamente versato ma il lavoratore mantiene il diritto a proseguire i versamenti volontari per il futuro (e quindi alla maturazione del diritto a pensione). E' il principio, in sintesi, espresso dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 3575 del 4 febbraio 2022 con la quale i giudici hanno accolto la tesi di un lavoratore che, avendo pagando in ritardo la prima rata dei bollettini trimestrali, si era visto cancellare l'iscrizione dal fondo GAS.
La questione
Cessato dall'impiego un lavoratore aveva chiesto nel 2010 l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria dell'assicurazione IVS nel fondo GAS per maturare il minimo richiesto per il conseguimento della pensione integrativa di vecchiaia (all'epoca minimo 15 anni di contributi e 60 anni di età). Era stato autorizzato al versamento tramite bollettini postali fino al terzo trimestre del 2010, ma aveva pagato il 5 luglio 2010 il bollettino relativo al primo trimestre 2010 il cui termine per il pagamento era scaduto il 30 giugno 2010.
L'INPS il 1° settembre 2010 gli comunicava l'annullamento dell'iscrizione al Fondo Gas precludendogli, in sostanza, la facoltà di proseguire i versamenti volontari e, in ultima analisi, di maturare il requisito contributivo per la prestazione di vecchiaia. Secondo l'Istituto, infatti, il ritardato pagamento anche di una rata della contribuzione volontaria da parte del richiedente avrebbe comportato l'impossibilità della fruizione dell'istituto.
L'orientamento della Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato la tesi dell'INPS confermando le sentenze del Tribunale e della Corte d'Appello di Torino entrambe favorevoli al lavoratore. Secondo la Corte, infatti, l'insieme delle norme che regolano la prosecuzione volontaria (dlgs n. 187/1997) stabilisce la sola inefficacia ai fini assicurativi dei contributi versati in ritardo (che devono essere rimborsati dall'INPS salvo l'interessato non dimostri la causa di forza maggiore o la volontà di imputarlo al trimestre immediatamente precedente il pagamento) e nessun effetto ulteriore.
In particolare, osservano i giudici, non può riconnettersi al ritardo la «conseguenza della perdita del trattamento pensionistico in funzione dell'ottenimento del quale la contribuzione volontaria si giustifica ed è prevista dalla legge». Ciò in quanto equivarrebbe ad «introdurre implicitamente una decadenza in relazione non all'esercizio di un diritto ad una prestazione ma in relazione all'esercizio di una facoltà che ha per oggetto l'effettuazione di un pagamento, come tale, certamente non soggetto a decadenza nè a prescrizione, posto che l'assicurato non è creditore di alcun prestazione ma debitore».
In altri termini, secondo la Corte, il lavoratore mantiene il diritto a proseguire i versamenti volontari e, pertanto, non rischia di perdere il traguardo della maturazione della prestazione previdenziale al termine dei versamenti programmati.