Pensioni, Le maggiorazioni contributive riducono la pensione di inabilità
Ad essere penalizzati sono soprattutto i lavoratori che conteggiano supervalutazioni di servizio nel sistema contributivo e poi chiedono la pensione di inabilità. Ecco perchè.
Per il calcolo della misura della pensione di inabilità il nostro ordinamento riconosce, infatti, una maggiorazione dell'anzianità contributiva complessiva non superiore a 40 anni, aggiungendo al montante individuale posseduto al momento della decorrenza della prestazione, una ulteriore quota di contribuzione riferita al periodo mancante fino a raggiungimento del sessantesimo anno di età. In sostanza all'invalido viene riconosciuta una maggiorazione contributiva pari alla distanza che lo separa dall'età di 60 anni (entro però un tetto di 40 anni di contributi).
Si prenda ad esempio un lavoratore con 45 anni di età e 15 anni di contributi che abbia perso in modo permanente la capacità lavorativa. Ebbene in tal caso a questi spetterà sulla pensione un beneficio contributivo di 15 anni pari cioè all'età che lo separa dal 60° anno di età (60-45) che gli porterà una pensione calcolata virtualmente su 30 anni di contributi anziché 15, gli anni effettivamente versati. Di converso se il lavoratore avesse invece già 60 anni o 40 anni di contributi non avrebbe diritto ad alcun beneficio contributivo.
Nel raggiungimento del limite dei 40 anni di contributi, tuttavia, vanno considerati anche gli aumenti di servizio che spettano al soggetto in funzione della tipologia dell'attività svolta. Così un invalido che gode dell'aumento dell'anzianità contributiva di due mesi per ogni di lavoro svolto (ex art. 80. co. 2 della legge 388/2000) vedrà ridursi l'importo del bonus di inabilità perchè aumentando l'anzianità contributiva diminuisce la distanza rispetto al limite dei 40 anni di contributi. Questo effetto con il sistema retributivo era compensato dalla circostanza che la supervalutazione del servizio determinava un incremento della misura della pensione (sulla quale poi si applicava il bonus di inabilità). Con il passaggio al sistema contributivo, invece, le supervalutazioni non fanno più aumentare la misura della pensione (sono utili solo al diritto) e, pertanto, diventano controproducenti in sede di conseguimento della pensione di inabilità.
Un esempio
Gli esempi sottostanti riguardano gli effetti di questo meccanismo su tre lavoratori tutti con 45 anni di età e 30 anni di contributi da lavoro effettivo e con una pensione di importo base pari a 20mila euro. Marco non ha mai fruito di aumenti di servizio mentre Francesco e Matteo hanno goduto di un aumento di cinque anni, il primo tutto nel sistema retributivo, il secondo tutto nel contributivo. Il bonus di inabilità sarà calcolato per Francesco e Matteo su un totale di 5 anni di contributi (40-35=5) mentre per Marco su un totale di 10 anni (40-30=10) e sarà pertanto più elevato. Per Francesco però la riduzione del bonus di inabilità viene compensata dall'incremento delle quote retributive della pensione (A e B) perchè l'aumento dell'anzianità contributiva derivante dalla supervalutazione incrementa anche la pensione. Cosicchè alla fine l'impatto è quasi neutro. Matteo, invece, è l'unico penalizzato perchè i suoi cinque anni di supervalutazione cadono nel sistema contributivo e quindi non determinano alcun incremento della misura della pensione. Però questi incidono comunque sul bonus di inabilità comprimendo così la pensione finale di inabilità rispetto a Marco e Francesco.
Si giunge così all'assurdo che con il sistema contributivo un lavoratore invalido che ha ottenuto il beneficio della legge 388/2000 risulti danneggiato se poi dovesse chiedere la pensione di inabilità rispetto ad uno che non ha mai chiesto il suddetto beneficio. A questo problema sono esposti anche i lavoratori del comparto difesa e sicurezza che, come noto, hanno specifici aumenti di servizio legati alle condizioni del lavoro svolto.