Niente neutralizzazione della mobilità se ha consentito l'accesso alla pensione a 60 anni
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione respingendo il ricorso di un pensionato. Rafforzato il principio secondo il quale non è possibile neutralizzare la retribuzione pensionabile minore ove essa concorra alla maturazione dei requisiti per la prestazione pensionistica.
La questione riguardava un pensionato titolare di pensione di vecchiaia dal dicembre 1996 a seguito di un periodo di mobilità durato dall'ottobre 1992 al novembre 1996. Il pensionato lamentava che a seguito del predetto periodo l'importo della pensione era stato inciso notevolmente dato che la retribuzione figurativa derivante dalla mobilità risultava nettamente inferiore rispetto agli ultimi stipendi in godimento prima della cessazione del rapporto di lavoro; pertanto aveva chiesto la neutralizzazione di tali retribuzioni dal calcolo della pensione. Risultato soccombente sia in primo grado che in secondo grado il pensionato ha proposto ricorso per Cassazione invocando a sua tutela le sentenze della Corte Costituzionale numero 264 del 1994 e 388 del 1995. Secondo la difesa del pensionato tali documenti avrebbero ammesso la riliquidazione della pensione dato che la contribuzione figurativa da mobilità non risultava determinante al fine della maturazione del requisito contributivo minimo per la pensione di vecchiaia (15 anni nel caso di specie). Pertanto essa avrebbe dovuto essere scomputata dal calcolo.
La decisione
Secondo la Corte tale principio non è condivisibile. I giudici osservano che nel caso di specie l'accesso alla mobilità, con il conseguente accredito della relativa contribuzione figurativa, si è rivelato, nella specie, determinante ai fini dell'anticipata maturazione del diritto alla pensione. Ciò perchè grazie alla mobilità il ricorrente ha potuto far salve le regole di pensionamento più favorevoli previste dall'art 1, comma 1, della legge 19 luglio 1993, n. 236, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, recante interventi urgenti a sostegno dell'occupazione. In sostanza con il predetto intervento il legislatore ha previsto una salvaguardia delle regole di pensionamento previste sino al 31.12.1992 - antecedenti alla Riforma Amato (Dlgs 503/1992) - in favore dei lavoratori che alla predetta data risultavano inseriti nelle liste di mobilità e percettori del relativo trattamento indennitario.
In virtu' di tale salvaguardia il pensionato ha potuto accedere alla pensione di vecchiaia a 60 anni nel dicembre 1996, con cinque anni di anticipo rispetto alla generalità dei lavoratori coetanei che il diritto alla pensione di vecchiaia hanno maturato nel 2001, a 65 anni di età. Pertanto l'accesso alla mobilità ha concorso (o meglio ha determinato) alla (la) possibilità di conseguire la pensione di vecchiaia sin dal dicembre 1996. E per tale ragione, è il ragionamento della Corte, tale periodo non può più essere scomputato dal calcolo della pensione ancorchè esso determini l'incisione del trattamento pensionistico. "La decorrenza del trattamento di vecchiaia - spiegano i giudici - a far data dal 60 anno di età trova, nella specie, imprescindibile fondamento nell'intervenuta ammissione alla mobilità e, per converso, la mancata inclusione del detto periodo nella posizione assicurativa e contributiva (la neutralizzazione o sterilizzazione o espunzione che pretenderebbe il ricorrente) comporterebbe, al contempo, l'insussistenza del diritto alla pensione di vecchiaia in concreto goduta dal ricorrente". "Invero, senza il periodo di mobilità l'anticipo di cinque anni per maturare il diritto a pensione non sarebbe stato possibile e, dunque, non può risultare ambivalente la predetta circostanza, nel senso di conservare gli effetti dell'ammissione alla mobilità per il più precoce accesso alla pensione ma, al contempo, eliminare il predetto periodo ai fini del calcolo della retribuzione pensionabile dello stesso trattamento".