Pensioni, No al licenziamento d'ufficio per il personale viaggiante con 62 anni
Resta ferma la facoltà per il lavoratore di manifestare la volontà di proseguire il rapporto di lavoro sino al raggiungimento dell'età di vecchiaia stabilita per la generalità dei lavoratori dipendenti. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione respingendo il ricorso di un'azienda.
Il quadro di riferimento
Secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità l'articolo 4, co. 2 della legge n. 108/1990 va letto nel senso che il datore di lavoro può liberamente licenziare il dipendente che abbia raggiunto i requisiti per il pensionamento di vecchiaia, cioè il 67° anno. Il principio non è invocabile per i soggetti che abbiano raggiunto i requisiti per altre prestazioni pensionistiche, come in particolare la pensione di anzianità (ora anticipata), l'opzione donna, la quota 100 eccetera, in quanto lì rileva la volontà del dipendente di presentare o meno domanda ed il rapporto di lavoro è conseguentemente tutelato a pieno dall'ordinamento fintantoché non venga comunicata la volontà di recedere dallo stesso lavoratore.
E' stato, infatti, precisato che l'esclusione della tutela limitativa dei licenziamenti non è suscettibile di applicazione in via analogica ai titolari di pensioni che, per diversità dei relativi presupposti (durata del rapporto assicurativo, versamenti di un minimo di contributi, raggiungimento di un limite di età) non possono ritenersi equivalenti a quella di vecchiaia (cfr. Cass. n. 11104 del 1997; conf. Cass. n. 6537 del 2014).
La questione
Un lavoratore iscritto al soppresso fondo trasporti, in virtu' della qualifica rivestita (addetto al personale viaggiante), aveva raggiunto i requisiti per la pensione di vecchiaia anticipata ai sensi dell'articolo 3, lettera b) del dlgs n. 414/1996 che riconosce un anticipo di 5 anni rispetto alla generalità degli altri lavoratori dipendenti (cioè un'uscita a 62 anni anziché a 67 anni). L'interessato però non aveva prodotto alcuna domanda di pensionamento manifestando al contrario all'azienda la volontà di permanere in servizio fino al raggiungimento dell'età massima per la pensione di vecchiaia prevista dal regime generale obbligatorio; nonostante ciò l'azienda gli aveva intimato il licenziamento ritenendo che superato il 60° anno di età e maturato il diritto a pensione di vecchiaia anticipata l'azienda fosse libera di recedere dal rapporto di lavoro.
La decisione
La Corte ha bocciato la tesi dell'azienda. A soccorso del lavoratore, infatti, la Corte spiega che l'articolo 6 del dl n. 791/1981 convertito con legge n. 54/1982 prevede la facoltà di incrementare l'anzianità contributiva utile per coloro che, come nel caso di specie, possono conseguire la pensione di vecchiaia prima del 65° anno di età. Tale articolo è stato ritenuto applicabile anche agli autoferrotranvieri dalla Corte Costituzionale (Sentenza n. 226 del 1990), proprio per evitare disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri lavoratori dipendenti. Del resto, è il ragionamento della Corte, «non sarebbe ragionevole che il lavoratore, per il solo fatto di trovarsi nella situazione di poter richiedere l'attribuzione di un pensionamento anticipato, si trovi a perdere la stabilità del posto di lavoro al compimento del sessantesimo anno di età e possa, quindi, essere privato della facoltà di continuare a lavorare per raggiungere l'anzianità contributiva massima utile o per incrementarla ulteriormente, come invece consentito a colui che ha lavorato per un tempo minore».
Di conseguenza secondo i giudici hanno affermato il seguente principio: «Nelle aziende addette ai pubblici servizi di trasporto, per le quali opera il regime previdenziale speciale introdotto dal d. Igs. 29 giugno 1996, n. 414, un addetto al personale viaggiante ultrasessantenne in possesso del requisito anagrafico per il conseguimento della pensione di vecchiaia anticipata, previsto al raggiungimento di un'età ridotta di 5 anni rispetto a quella, tempo per tempo, in vigore nel regime generale obbligatorio, non può essere licenziato ai sensi dell'art. 4, co. 2, I. n. 108 del 1990 in presenza di una volontà espressa del lavoratore medesimo volta a non accedere al pensionamento anticipato ed a permanere in servizio.»