Pensioni, Per gli ex Inpdai l'assegno mantiene la regola del "pro rata"
La retribuzione da utilizzare per determinare la quota di pensione riferita alle anzianità maturate presso il soppresso regime Inpdai va calcolata a ritroso dalla data di soppressione del Fondo.
La questione
La causa riguardava un ex dirigente andato in pensione nel 2006 dopo la soppressione del fondo Inpdai e sua confluenza nell'Inps a partire dal 1° gennaio 2003. L'Inps aveva calcolato la quota di pensione riferita alle anzianità contributive maturate nella (ex) gestione Inpdai sino al 31.12.2002 prendendo a riferimento le ultime 260 o 520 settimane di retribuzione percepite dal dirigente precedentemente la soppressione del Fondo avvenuto, come noto, con l'articolo 42 della legge 289/2002 dal 1° gennaio 2003.
Il lavoratore lamentava una importante riduzione della misura del trattamento pensionistico considerato che aveva acquisito una crescita significativa delle retribuzioni solo negli ultimi anni prima del pensionamento che - seguendo l'impostazione Inps - non si sarebbe tradotta pienamente nella quota di pensione erogata dalla gestione DAI riferite alle anzianità maturate nella predetta gestione sino al 31.12.2002. Pertanto il pensionato aveva fatto ricorso in Tribunale risultando vittorioso sia in primo che in secondo grado di giudizio salvo poi soccombere in Cassazione.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte d'Appello aveva ritenuto, infatti, che il principio del pro rata si applicasse solo ai dirigenti che, alla data di soppressione dell'INPDAI, fossero ancora assicurati presso quest'ultimo, e non anche a quelli che, come parte controricorrente, erano nelle more passati alla gestione INPS per effetto del mutamento del proprio rapporto di lavoro, e conseguentemente che, per questi ultimi, la retribuzione pensionabile andasse calcolata con riferimento a quella maturata negli ultimi cinque e dieci anni e non già in relazione alle retribuzioni maturate durante il periodo di iscrizione all'INPDAI.
La Corte di Cassazione ha, tuttavia, smontato l'impostazione dei Tribunali di Merito chiarendo che la legge 289/2002 non ha prodotto un'unificazione dei periodi assicurativi tra AGO e Fondo INPDAI assimilabile alla ricongiunzione gratuita di cui all'articolo 52 del DPR 58/1976 con la conseguenza che, ai fini della liquidazione della pensione, la retribuzione pensionabile propria "dell'assicurato già iscritto all'INPDAI deve essere individuata in relazione alle retribuzioni che sarebbero state utili nel caso di un'ipotetica liquidazione del trattamento pensionistico da parte dell'INPDAI, e non anche con riguardo alle retribuzioni percepite negli ultimi cinque e dieci anni calcolati a ritroso dalla data del pensionamento". Tale criterio, prosegue la Corte, deve essere adottato senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e soggetti non più in costanza di assicurazione INPDAI alla data del 31.12.2002 in quanto non sussiste alcun elemento legislativo che suggerisca tale interpretazione.
In definitiva, a meno che il lavoratore non abbia esercitato la costituzione della posizione assicurativa ai sensi dell'articolo 22 del DPR 58/1976 o la ricongiunzione ex art. 1 della legge 29/79 della contribuzione dall'Inpdai all'Inps entro il 31.12.2002, prima cioè della soppressione del fondo, la quota di pensione da liquidare sulla base dell’anzianità contributiva maturata sino al 31 dicembre 2002 presso l’Inpdai, deve tener conto delle retribuzioni percepite dal dirigente in costanza di rapporto assicurativo con l’Inpdai prima della sua soppressione, e non sulla base delle retribuzioni percepite negli ultimi 5 e 10 anni andando a ritroso dalla data di decorrenza della pensione.
Secondo i giudici di Piazza Cavour, del resto "il rinvio dell'art. 42, I. n. 289/2002, all'art. 3, comma 7, d.lgs. n. 181/1997, nonché lo stesso meccanismo del pro-rata adottato nell'art. 42 cit., costituiscono manifestazione della volontà del legislatore di tenere distinti i due periodi assicurativi, in considerazione della diversità dei sistemi di calcolo adottati per ciascuno di essi, dando luogo a due distinte quote di pensione da determinare secondo autonomi criteri".
La decisione giunge dopo una analoga sentenza della Corte di Cassazione (la numero 4897 del 27 Febbraio 2017) che aveva già dato ragione all'Inps circa il meccanismo di calcolo applicazione ad un caso simile.