Pensioni, Per l'ex Dirigente Industriale la retribuzione pensionabile non si congiunge con l'Inps
La Corte di Cassazione boccia ancora una volta la tesi di un ex dirigente che chiedeva il ricalcolo della quota di pensione a carico del Fondo Inpdai sulla base delle retribuzioni godute prima del pensionamento.
La regola, ribadiscono i giudici, non ammette eccezioni e, pertanto, deve essere confermata anche con riferimento a quei dirigenti che al 31 dicembre 2002 risultavano già assicurati presso l'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti non potendosi desumere nell'art. 42 della legge 289/2002 un criterio diverso.
La questione
La decisione si muove nel solco dei principi già fissati negli anni scorsi dalla Cassazione (Cass. Civ. 4897/2017; Cass. Civ. 3321/2018) in cui sono state sostanzialmente sconfessate le tesi dei lavoratori che pretendevano un trattamento pensionistico superiore rispetto a quello liquidato dall'Inps (qui i dettagli). Gli interessati, facendo leva sull'articolo 42 della legge 289/2002 con il quale è stata disposta la soppressione del Fondo Inpdai e la sua confluenza nell'assicurazione generale obbligatoria, chiedevano che la retribuzione di riferimento per il calcolo della quota di pensione a carico della gestione Inpdai prima della soppressione dovesse essere quella degli ultimi cinque o dieci anni prima del pensionamento. In questo modo avrebbero potuto valorizzare sullo spezzone Inpdai anche gli eventuali aumenti retributivi maturati dopo il 31 dicembre 2002 sino al pensionamento. Che invece l'Inps gli aveva negato.
La Cassazione, tuttavia, è di diverso avviso. Secondo i Giudici di Piazza Cavour, infatti, la disposizione legislativa da ultimo richiamata non è assimilabile ad una ricongiunzione gratuita di cui all'articolo 52 del DPR 58/1976 a "norma del quale il dirigente, dimissionario o licenziato o che comunque abbia perduto la qualifica senza aver maturato il diritto a pensione, può richiedere all'Inpdai di provvedere, per i corrispondenti periodi di contribuzione comunque riconosciuti presso l'istituto medesimo, alla costituzione della posizione assicurativa nell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti".
I giudici ribadiscono, infatti, che è solo per effetto della detta ricongiunzione che i periodi di contribuzione esistenti presso le altre gestioni, esclusive, speciali o sostitutive, dei lavoratori dipendenti possono essere utilizzati nel fondo dei lavoratori dipendenti gestito dall'Inps, come se i contributi fossero stati sempre versati in quest'ultima gestione e con il diritto ad un'unica pensione liquidata in base ai requisiti previsti dal regime generale. E la legge 289/2002 con la quale il legislatore ha soppresso il Fondo Inpdai disponendo il contestuale trasferimento della posizione assicurativa in evidenza contabile separata nell'AGO non può essere ricondotta, in alcun modo, ad una ricongiunzione.
La retribuzione di riferimento
Pertanto, in sostanza, la retribuzione pensionabile da assumere come parametro per il calcolo dei periodi di assicurazione maturati in costanza di assicurazione Inpdai sino al 31 dicembre 2002 è quella goduta dall'iscritto nelle ultime 260 o 520 settimane antecedenti al 31 dicembre 2002 rispettivamente per il calcolo della quota A riferita all'anzianità contributiva sino al 31 dicembre 1992 e per il calcolo della quota B di pensione riferita all'anzianità contributiva maturata dall'assicurato dal 1° gennaio 1993 al 31 dicembre 2002 (naturalmente nel caso in cui l'assicurato possa vantare almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995). Con l'attribuzione dei massimali previsti nella gestione Inpdai. Tale criterio, prosegue la Corte, rispettoso del principio del pro-rata deve essere adottato senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e non più in costanza di assicurazione INPDAI alla data del 31.12.2002 perchè la posizione di questi ultimi in nulla differisce da quella degli altri dirigenti Inpdai in attualità di servizio alla data del 31/12/2002. Solo con riferimento alle anzianità contributive maturate dal 1° gennaio 2003 si utilizzano, pertanto, i criteri stabiliti presso l'Ago che fissano la retribuzione pensionabile in quella percepita dall'assicurato a ritroso dalla data di pensionamento, la disapplicazione del massimale e l'applicazione delle (diverse) aliquote di rendimento previste nell'assicurazione generale obbligatoria.
Niente clausola di salvaguardia
La Corte ha rigettato pure la presunta clausola di salvaguardia secondo la quale al dirigente industriale sarebbe riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo a che i periodi di contribuzione Inpdai non generino un trattamento pensionistico inferiore a quello previsto nell'AGO con la conseguenza che l'Inps avrebbe dovuto effettuare un ulteriore ricalcolo della pensione in base alle regole AGO, porne l'importo a confronto con quello derivante dal pro rata e corrispondere l'importo più elevato. Cosa che - secondo la tesi del lavoratore - l'istituto non aveva fatto violando la clausola di salvaguardia. Secondo la Corte di Cassazione "siffatta interpretazione poggia sull’assunto, invero indimostrato, secondo cui il regime introdotto dall'art. 42, I. n. 289/2002, costituirebbe una misura di salvaguardia delle aspettative pensionistiche maturate dei dirigenti industriali, laddove appare piuttosto una misura per porre argine al notorio e crescente disavanzo cagionato dal pregresso regime di favore di cui essi beneficiavano, caratterizzato da basse aliquote di calcolo dei contributi, alte aliquote di rendimento e più elevate fasce di retribuzione pensionabile".