Per andare in pensione la cessazione dal lavoro subordinato deve essere effettiva
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione accogliendo un ricorso dell'Inps. La riassunzione in servizio presso lo stesso datore di lavoro dopo l'andata in pensione non deve presentare i caratteri della simulazione.
La questione
La Cassazione era stata chiamata a valutare la legittimità del comportamento tenuto da un lavoratore subordinato che, in accordo con il datore di lavoro, aveva presentato le dimissioni alla data del 28 febbraio 2002, mentre la pensione era stata liquidata con effetto dal primo marzo 2002; nello stesso giorno il datore lo aveva riassunto in servizio, in conformità con la circolare dell'INPS n. 89/2009 e con la nota del Ministero del Lavoro 19/2009 che non aveva ritenuto necessario subordinare la liquidazione della pensione alla sussistenza di un lasso temporale minimo tra la cessazione del rapporto di lavoro ed il successivo reimpiego.
La decisione
Con la sentenza 14417/2019 la Corte di cassazione ripercorre l'evoluzione normativa relativa alle condizioni per l'accesso alla pensione anticipata e alla cumulabilità tra trattamento previdenziale e reddito da lavoro, delineando meglio i contorni dei rapporti tra i due istituti. I giudici partono dall'assunto secondo il quale la giurisprudenza di legittimità ha ormai rimarcato che per conseguire il diritto al trattamento pensionistico è comunque necessaria, in caso di medesimo o diverso datore di lavoro, una soluzione di continuità fra i successivi rapporti di lavoro al momento della richiesta della pensione e della decorrenza della pensione stessa (cfr Cass. n. 4898/2012) e ciò al fine di evitare che la percezione della pensione di anzianità avvenga contemporaneamente alla prestazione dell'attività lavorativa subordinata (cfr. Cass. n. 4900/2012). Nel caso di specie il lavoratore avrebbe potuto farsi quindi assumere il 2 marzo.
Il carattere novativo del rapporto
Ciò tuttavia non è sufficiente. Secondo i giudici è necessario altresì accertare che il nuovo rapporto, ove attivato con il medesimo datore di lavoro, sia novativo rispetto al precedente e, quindi la cessazione non sia stata simulata e preordinata al solo fine di conseguire la pensione. "Nell'individuazione di tale discontinuità tra la precedente attività lavorativa e quella successiva - si legge nella sentenza - , non si dovrà, dunque ricercare un mero lato temporale più o meno significativo ma partire dalla considerazione che, laddove l'attività lavorativa successiva al pensionamento intercorra con il medesimo datore di lavoro ed alle medesime condizioni di quelle proprie del rapporto precedente a tale evento, si configura una presunzione di simulazione dell'effettiva risoluzione del rapporto di lavoro al momento del pensionamento. Tale presunzione, tuttavia, può essere vinta mediante il ricorso a plurimi potenziali indici sintomatici, ulteriori rispetto ad un mero dato temporale, idonei a provare il carattere realmente novativo del rapporto di lavoro successivo al pensionamento".
In altri termini in queste ipotesi, per evitare la revoca della pensione, le parti dovranno dimostrare chiaramente che il rapporto di lavoro attivato dopo la decorrenza della pensione presenti caratteristiche diverse rispetto al precedente. Il principio espresso dalla Corte è il seguente: «Il regime di cumulabilità dei redditi da lavoro dipendente e della pensione di anzianità non esclude che quest'ultima possa essere erogata solo se al momento della presentazione della relativa domanda il rapporto di lavoro dipendente sia effettivamente cessato. A riguardo, deve ravvisarsi una presunzione semplice del carattere simulato della cessazione di tale rapporto ove essa sia seguita da immediata riassunzione del lavoratore, alle medesime condizioni, presso lo stesso datore di lavoro».