Quota 100, Per l'Inps la proposta costa almeno 15 miliardi
Le indicazioni nella relazione annuale dell'Istituto di Previdenza. Per il Presidente dell'Inps, Tito Boeri, i 5 miliardi stanziati nel contratto di Governo per la flessibilità in uscita non sono sufficienti.
Molto dipende dalla combinazione dei vari sistemi di calcolo, ma secondo l'Inps i costi viaggerebbero comunque tra i 4 e 14 miliardi di euro annui. L'Istituto ha infatti simulato, in base a varie ipotesi, quali potrebbero essere gli effetti delle modifiche sul sistema pensionistico nell'arco di dieci anni, arrivando a stimare fino a 1 milione e 172 mila assegni in più l'anno. Secondo le stime dell'Inps, quota 100 pura (cioè senza vincoli di età anagrafica ) costa fino a 20 miliardi all’anno comprensivo del pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica; quota 100 con 64 anni minimi di età e 36 di contributi) costa fino a 18 miliardi annui che si riducono a 16 alzando il requisito anagrafico a 65 anni con 35 di contributi. Infine una quota 100 con 64 anni minimi di età e 36 di contributi e il mantenimento della legislazione vigente per quanto riguarda i requisiti di anzianità contributiva indipendenti dall’età (cioè gli attuali 42 anni e 10 per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne) costa fino a 8 miliardi. Costi ingenti secondo l'Inps che possono essere compressi dall'introduzione di meccanismi di penalità occulta come ad esempio il tetto ai contributi figurativi, il ritorno ad un sistema di slittamento della decorrenza del trattamento pensionistico, il passaggio parziale o totale al sistema di calcolo contributivo per gli aderenti.
Finanziare la flessibilità in uscita
Per finanziare la flessibilità in uscita Boeri ricalca la proposta del 2015 formulata dall'Istituto di Previdenza "non per cassa ma per equità". La proposta del 2015 prevedeva una accelerazione verso il sistema contributivo con il ricalcolo dei trattamenti in essere superiori ad una determinata cifra.
"Accelerando la transizione al metodo contributivo possiamo concedere una via d’uscita a chi ha perso ogni motivazione e sarebbe un peso per l’impresa in cui lavora" scrive il Presidente dell'Inps. E’ una libertà di scelta sostenibile perché non grava sulle spalle di chi inizia oggi a lavorare. La cosa essenziale è che i margini di scelta concessi circa l’età di pensionamento siano neutri sul piano attuariale. Per dato montante di contributi versato, per data anzianità contributiva, l’assegno non potrà che essere più basso quanto prima si chieda di percepirlo. E’ l’unico modo per non penalizzare i giovani e chi decide di lavorare più a lungo.
Nella proposta c'era pure il ricalcolo dei trattamenti in essere per i pensionati con assegni superiori ad una determinata soglia. "Basterebbe applicare i coefficienti di trasformazione anche alle pensioni retributive del passato superiori a un importo prefissato (nella proposta Inps si ragionava sul reddito pensionistico, inclusi eventuali vitalizi per cariche elettive, sopra i 5.000 euro lordi mensili). La correzione attuariale si ottiene moltiplicando la quiescenza maturata col metodo retributivo per i rapporto fra il coefficiente di trasformazione proprio dell’età di decorrenza e quello dell’età del pensionamento di vecchiaia in quegli anni. In risposta ad una richiesta della Presidenza della Camera, abbiamo recentemente stimato i coefficienti di trasformazione anche per gli anni ’70 e ’80 e per età alla decorrenza inferiori ai 57 anni, in collaborazione con l’Istat. Quindi le basi tecniche per la correzione ci sono e la politica può scegliere se e dove intervenire".