La questione
L'interessato era stato collocato in mobilità sul presupposto che fosse sufficiente un periodo di 18 mesi, pari alla durata dell'indennità di mobilità, per la maturazione del requisito di 35 anni di contribuzione per la pensione di anzianità. Il lavoratore aveva quindi sottoscritto un atto transattivo con rinuncia ad impugnare il licenziamento salvo poi scoprire, al termine della mobilità, che la domanda di pensione non poteva essere accolta. A seguito, infatti, del calcolo erroneo della posizione contributiva da parte dell'INPS, il periodo di mobilità non era sufficiente per conseguire il diritto a pensione e, pertanto, l'assicurato si è trovato costretto al versamento della contribuzione volontaria per la copertura assicurativa necessaria, con un esborso di € 8.954,38.
Il cuore del processo verteva sulla natura di un documento contributivo reso dall'Inps al cittadino, che non rivestiva natura certificativa in quanto non emesso a seguito di una richiesta formale da parte dell'assicurato prevista dall'art. 54 della legge 88/1989 e non poteva quindi considerarsi certificazione tale da ingenerare affidamento e, dunque, un danno. Per queste ragioni il ricorrente era risultato soccombente nei primi due gradi di giudizio ed aveva proposto ricorso per Cassazione. Nel caso di specie, peraltro, l'estratto conto conteneva una serie di errori non rilevati dall'assicurato dando luogo, secondo la parte resistente in giudizio, ad un concorso colposo con conseguente pieno esonero di responsabilità per l'ente previdenziale. Tesi tuttavia smontata dalla Corte di Cassazione che ha accolto le richieste del lavoratore.
La natura della comunicazione
I giudici di Piazza Cavour hanno ribadito che l'art. 54 cit., secondo cui l'ente deve comunicare, a richiesta, "i dati relativi alla situazione previdenziale e pensionistica (del richiedente)" e "la comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa descritta", non richiede per questa comunicazione speciali forme, bastando la comprensibilità del cittadino munito del livello di istruzione obbligatoria, né alcuna norma prevede parti di essa meramente incidentali e accessorie, delle quali il destinatario debba tener conto a suo rischio. "Al contrario, il principio di buon andamento, di cui all'art. 97 Cost., comma 1, impone la veridicità degli atti e provvedimenti delle pubbliche amministrazioni, i quali giammai possono essere considerati come asserzioni su cui la prudenza richieda di non fare assegnamento" si legge nella sentenza.
"Con sentenza n. 21454/13 questa Corte ha infatti affermato che nell'ipotesi in cui l'Inps abbia fornito all'assicurato, mediante il rilascio di estratti-conto assicurativi, contenenti risultanze di archivio e pur se privi di sottoscrizione, una erronea indicazione (in eccesso) del numero dei contributi versati, solo apparentemente sufficienti a fruire di pensione, il danno sofferto dall'interessato per la successiva interruzione del rapporto di lavoro per dimissioni e del versamento dei contributi, è riconducibile non già a responsabilità extracontrattuale, ma contrattuale, in quanto fondata sull'inadempimento dell'obbligo legale gravante su enti pubblici dotati di poteri di indagine e certificazione, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost.), di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi al conseguimento di beni essenziali della vita (quali quelli garantiti dall'art. 38 Cost.), fornendo informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative, pur se contenute in documenti privi di valore certificativo".
Di conseguenza i giudici hanno cassato la sentenza nella parte in cui afferma la necessità di particolari forme di richiesta e rilascio della certificazione da parte dell'INPS al fine di generare una responsabilità da parte dell'ente previdenziale; ed hanno rinviato la questione nuovamente alla Corte d'Appello per l'ulteriore esame della controversia.