Pensioni, Non è vittima del dovere il militare che si infortuna durante un'esercitazione ordinaria

Franco Rossini Mercoledì, 01 Luglio 2020
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione rigettando il ricorso di un militare. L'infermità permanente deve essere causata dalla presenza di particolari condizioni ambientali od operative, cioè in circostanze straordinarie che abbiano esposto il militare a rischi superiori a quelli ordinari.
Non è vittima del dovere il militare che durante lo svolgimento delle ordinarie esercitazioni ed addestramenti sotto il servizio di leva obbligatoria abbia subito un'infermità permanente. Ciò in quanto l'attività è priva di quel carattere di straordinarietà richiesto dalla legge per la concessione dei benefici.  Lo stabilisce la Corte di Cassazione con l'ordinanza numero 12611 del 25 giugno 2020 con la quale i giudici tornano a precisare i contorni, spesso molto labili, della specifica tutela previdenziale riconnessa allo stato di vittima del dovere. 

La questione sottoposta alla Corte di Legittimità riguardava un militare che durante il servizio di leva obbligatoria, nonostante avesse segnalato la preesistenza di una patologia al rachide, era stato sottoposto ad addestramenti che avevano determinato un notevole aggravamento della patologia, sfociata con il riconoscimento della causa di servizio per una condizione di permanente invalidità e nella concessione della pensione privilegiata. Entrambe le Corti di Merito avevano stabilito che le esercitazioni svolte erano prive di quel carattere di straordinarietà relativo alle condizioni ambientali e operative previsto dall'articolo 1, co. 564 della legge 266/2005 per il riconoscimento dei benefici delle vittime del dovere rigettando, pertanto, le richieste dell'infortunato. Da qui il ricorso in Cassazione.

Vittime del dovere

Come noto l'art. 1, comma 563, della legge 266/05 riconosce come vittime del dovere: i soggetti di cui all'articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un'invalidità permanente in attività di servizio o nell'espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità.

Il comma 564 della medesima disposizione legislativa equipara alle vittime del dovere anche coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative. L'articolo 1 del DPR 243/2006 specifica, tra l'altro, che per particolari condizioni ambientali od operative si intendono "le condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto".

Le condizioni ambientali ed operative

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che nel concetto di "missione di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali" rientrano non solo le funzioni o i compiti operativi ma anche quelle di addestramento e logistico sui mezzi o nell'ambito di strutture, stabilimenti e siti militari, dentro o fuori dai confini nazionali con inclusione, pertanto, anche della partecipazione del militare di leva ad una esercitazione nel corso del periodo di addestramento (così Cass., S.U. n. 23396 del 2016; SU n. 15055 del 2017). Tuttavia, spiega la Cassazione, per il riconoscimento dei benefici in discussione è necessario un quid pluris consistente nell'accertamento, ai sensi di quanto previsto dal citato DPR 243/2006, di quelle particolari condizioni ambientali ed operative, che devono necessariamente consistere in una situazione straordinaria, cioè non prevedibile, e al di fuori, quindi, del connaturato all'andamento regolare e corretto delle attività di servizio. Tale carattere è stato ritenuto soddisfatto dalla giurisprudenza per l'esistenza o per il sopravvenire di circostanze o eventi straordinari ulteriori rispetto al rischio tipico connesso all'attività ordinaria come, ad esempio, la commissione di gravi errori organizzativi nello svolgimento dell'attività da parte della stessa amministrazione militare (cfr. Cass., S.U., n. 23396 del 2016; S.U. n, 759 del 2017; S.U. n. 15055 del 2017).

In altri termini, spiega la Corte, le particolari condizioni ambientali ed operative "devono tradursi in situazioni oggettive, legate a circostanze o eventi straordinari, preesistenti o sopravvenuti, sia pure riconducibili a comportamenti negligenti ed imprudenti di terzi, ma comunque tali da amplificare il pericolo connesso ai normali compiti di servizio".

La decisione

Ebbene è sulla base di tale ricostruzione normativa che va decisa la controversia. E dato che le Corti di Merito hanno accertato che l'infermità permanente del militare era insorta a causa dello svolgimento di compiti ordinari di servizio consistenti in esercitazioni ed addestramenti senza individuare alcuna condizione straordinaria nella determinazione dell'evento lesivo la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso confermando le sentenze di merito. 

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