La questione
Nello specifico l'Inps aveva rigettato la domanda di costituzione della rendita vitalizia nei confronti di una lavoratrice che lamentava il mancato versato della contribuzione per il periodo temporale ottobre 1977 - giugno 1979. Secondo l'Istituto, infatti, le parti non avevano assolto l'onere - previsto dall'articolo 13, co. 2-3 della legge 1338/1962 - di fornire la prova scritta del rapporto di lavoro nel periodo indicato. La lavoratrice, facendo leva sulla decisione della Consulta numero 568/1989 riteneva, invece, che fosse sufficiente una dichiarazione postuma della amministratrice della società datrice di lavoro che attestasse l'impiego nella società accompagnata da una perizia di parte attestante che le iscrizioni ed annotazioni sui libri contabili della società fossero attribuibili al pagamento della retribuzione.
La decisione
I giudici di Piazza Cavour spiegano che l'intervento censore della Consulta del 1989 per quanto abbia temperato alcune rigidità previste originariamente dalla legge 1338 ha comunque inteso evitare il rischio della creazione di posizioni assicurative fittizie. Con la citata sentenza la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 13, quarto e quinto comma della legge 1338, nella parte in cui, salva la necessità della prova scritta sulla esistenza del rapporto di lavoro da fornirsi dal lavoratore, non consente di provare altrimenti la durata del rapporto e l'ammontare della retribuzione.
I requisiti formali
L'indirizzo della Consulta è stato poi declinato dalle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. Sez. Un. 18/1/2005, n. 840) ripreso poi in numerose pronunce a sezioni semplici (Cass. 19/05/2005, n. 10577; Cass. 3/02/2009, n.2600; Cass. 20/01/2016,n. 983; Cass., ord. 22/12/2016, n.26666). In tali sentenze si è puntualizzata la regola secondo la quale la durata e la retribuzione del rapporto di lavoro può essere provata con ogni mezzo ma deve essere circoscritta al caso in cui sussista un documento che comprovi l'avvenuta costituzione di un rapporto di lavoro subordinato ad una data certa. A chiusura del sistema si è precisato che deve escludersi che la prova testimoniale "alternativa" di cui è onerato il datore di lavoro (o il lavoratore, nell'ipotesi di cui all’art. 1, quinto comma, della citata legge n. 1338), possa investire anche i fatti da cui desumere la qualificazione del rapporto e l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato, in contrasto con la regola della prova scritta dell'esistenza del rapporto di lavoro (Cass., n. 2600/2009, Cass. n. 983/2016).
All'esito di tale ragionamento la Corte di Cassazione ribadisce che per la costituzione della rendita vitalizia il prestatore deve necessariamente fornire una prova scritta da cui emerga non solo l'esistenza di un rapporto di lavoro ma anche circa la sua qualificazione in termini di subordinazione, lasciando invece aperto il campo alla prova testimoniale, e quindi anche a quella presuntiva, in ordine alla sua durata e alla retribuzione. Per queste ragioni la Cassazione ha accolto la tesi dell'Inps rigettando le pretese della lavoratrice.