"E' irragionevole pensare - spiegano i due senatori dem - che i lavoratori con una tale invalidità accertata possano lavorare fino a quasi 70 anni, considerata tra l'altro la scarsa possibilità di ricollocazione di questa categoria in caso di perdita del posto. Per questo abbiamo chiesto al governo di considerare la possibilità di un pensionamento anticipato ai 57 anni di età in caso di esclusiva contribuzione da lavoro dipendente e a 58 anni di età in caso di contribuzione mista, come per le lavoratrici penalizzate dal lavoro di cura famigliare. E' un atto di civiltà e consideriamo in modo molto positivo questa apertura del governo".
Il testo dell'Odg. premesso che: il comma 3 dell'articolo 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001) consente, a decorrere dal 1º gennaio 2002, ai lavoratori sordomuti e agli invalidi per qualsiasi causa, ai quali sia stata riconosciuta un'invalidità superiore al 74 per cento, di richiedere per ogni anno di lavoro effettivamente svolto, il beneficio di due mesi di contribuzione figurativa. Il beneficio è riconosciuto fino al limite massimo di cinque anni di contribuzione figurativa utile ai soli fini del diritto alla pensione e dell'anzianità contributiva;
nessun beneficio pensionistico è invece previsto per i lavoratori ai quali sia riconosciuta un'invalidità superiore al 46 per cento, ma inferiore al 74 per cento. Questi lavoratori, per i quali è riconosciuto il collocamento obbligatorio, ai fini pensionistici sono equiparati di fatto, ai lavoratori sani;
l'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (c.d. decreto-legge «Salva Italia»), che ha previsto un notevole innalzamento dell'età pensionabile, non ha adeguato la normativa alla realtà di questi lavoratori invalidi che dovranno continuare a lavorare fino a quasi 70 anni di età nonostante le loro condizioni di salute; Gamsin considerato che: l'articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria) ha introdotto nei confronti delle donne, in via sperimentale, l'istituto ribattezzato come «opzione donna» con il quale è stata concessa la possibilità per le medesime di accedere al pensionamento anticipato al compimento dei 57 anni, se lavoratrici con contribuzione esclusivamente da lavoro dipendente, ovvero a 58 anni, se lavoratrici con contribuzione «mista», con almeno 35 anni di contribuzione; si è così opportunamente agevolato il prepensionament o per le donne senza prevedere però analoghe misure nei confronti di coloro che versano in situazione di accertata difficoltà fisica;
ritenuto che: è irragionevole pensare che lavoratori con tale invalidità possano continuare a lavorare fino ad un'età avanzata nonostante le loro precarie condizioni di salute considerato che dopo tanti anni di lavoro gli stessi risentono in maggior misura rispetto agli altri lavoratori dello sforzo e dell'impegno dovuti nello svolgimento dell'attività lavorativa;
contro l'evidenza dei fatti ed il buon senso persiste e si acuisce la palese disparità di trattamento nei confronti di questi lavoratori svantaggiati per i quali, nonostante il riconoscimento di un'invalidità tra il 46 ed il 74 per cento, non è previsto alcun beneficio pensionistico;
impegna il Governo: a valutare la possibilità di adottare iniziative, anche normative, volte al riconoscimento di benefici pensionistici ai lavoratori ai quali è stata riconosciuta un'invalidità superiore al 46 per cento e inferiore al 74 per cento al fine di eliminare un'evidente disparità di trattamento nei confronti di questi lavoratori e di consentire agli stessi la possibilità di accedere al trattamento pensionistico prima di quanto previsto dalla normativa vigente.