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Riforma Pensioni, due proposte per anticipare la pensione nel 2015
L'ex Ministro del Lavoro rilancia due progetti per il 2015 che anticipano di alcuni anni l'età pensionabile. Sullo sfondo resta l'incognita Referendum indetto dalla Lega su cui si pronuncerà il 14 Gennaio la Consulta.
Kamsin "C'è la possibilità di mettere mano alla Riforma Fornero". A dirlo è ancora una volta l'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano dalla pagine del suo Blog supportato da un nutrito gruppo di parlamentari del Pd tra cui Maria Luisa Gnecchi.
Il Presidente della Commissione Lavoro della Camera rilancia due proposte per introdurre un nuovo canale di uscita dal mondo dal lavoro, simile nei fatti, alla vecchia pensione di anzianità.
La prima, la cd. pensione flessibile, è quella di introdurre un meccanismo che permetta di lasciare il lavoro anche a 62 anni di età e 35 di contributi, sia pure con una penalità dell'8% che si riduce fino a azzerarsi se si va via al raggiungimento della normale età pensionabile, cioè 66 anni. Ma se si resta piu' a lungo sul lavoro, cioè oltre i 66 anni, l'assegno crescerà sino all'8%. Il progetto prevede anche la possibilità di uscita a 41 anni di contribuzione a prescindere dall'età (abbassando di fatto gli attuali requisiti contributivi necessari per ottenere la pensione anticipata).
L'altra proposta, alternativa alla prima, è di reintrodurre le quote, come accadeva per la vecchia pensione di anzianità: la soglia verrebbe però fissata a quota 100 (come somma di età e contributi: 62 anni e 38 anni di contributi, 61 anni e 39 di contributi o anche 60 anni e 40 di contributi) ma non ci sarebbero penalizzazioni.
"Il Governo non può nuovamente eludere il problema" sostiene Damiano. "Ci lamentiamo dell'aumento dell'occupazione degli anziani e della diminuzione di quella dei giovani mentre, senza colpo ferire, dal 2016 l'aspettativa di vita aumenterà di altri 4 mesi. Per intenderci: da quella data si andrà in pensione di vecchiaia con 66 anni e 7 mesi e di anzianità con 42 e 10 mesi se uomini e 41 e 10 mesi se donne. Intanto, il 14 gennaio prossimo la Corte Costituzionale deciderà sul referendum promosso dalla Lega che si propone di abrogare la legge Fornero» conclude Damiano.
seguifb
Zedde
Pensioni, la Riforma Pa costringe oltre 500 magistrati a lasciare il servizio
Quantificati gli effetti della norma che ha riportato a 7o anni l'età della pensione dei magistrati: secondo l'agenzia Ansa, il Csm nell'anno in corso dovrà provvedere a quasi 500 nomine tra capi e "vice" di procure e tribunali. Un picco mai raggiunto. Entro il 2015 dovranno certamente lasciare l'incarico per raggiunti limiti d'età 308 magistrati. A questi se ne dovrebbero aggiungere altri 137 che hanno compiuto i 68 anni di età, in quanto è presumibile che lascino la toga volontariamente. Una scelta resa probabile da un altro aspetto della norma, che preclude l'accesso a nuovi incarichi direttivi a chi non può assicurare i tre anni di permanenza minima nella nuova funzione.
Ad ingrossare il numero di coloro che potrebbero lasciare il servizio c'è anche la norma contenuta nella recente legge di stabilità che non consente piu' di utilizzare gli anni di servizio successivi al 2012 per incrementare la rendita previdenziale rispetto a quanto sarebbe stato conseguito con il sistema retributivo.
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Zedde
Pensioni, Esodati: serve una settima salvaguardia
Fuori dalle salvaguardie ci sono ancora decine di migliaia di lavoratori che avrebbero maturato un diritto previdenziale entro il 2018. Gli esodati chiedono di riconoscere un ultimo intervento.
Kamsin "Riconoscere il diritto alla pensione con le regole ante manovra Monti-Fornero a tutti coloro che non erano più occupati al 31.12.2011 per avvenuta risoluzione contrattuale a qualsiasi titolo, oppure avevano entro quella data sottoscritto accordi collettivi o individuali che come esito finale prevedevano il futuro licenziamento e che maturano il requisito pensionistico con le previgenti norme entro il 31.12.2018".
E' quanto torna a ribadire Giuliano Colaci, uno dei coordinatori della Rete dei Comitati degli esodati, gruppo che riunisce migliaia di lavoratori rimasti esclusi dalle attuali sei tutele (l'ultima con la legge 147/2014). "Nei giorni scorsi - ricorda Colaci - è successo un fatto gravissimo che ci ha buttato nello sconforto più totale, questa volta a farla grossa è stato il Commissario dell'inps il Dott. Treu, dove in due occasioni, in commissione senato prima e poi in una intervista a radio24, ha dichiarato che il problema esodati non esiste più in quanto sanato, escludendo casi sporadici e di poco conto."
Ben altre le richieste della Rete che preme piuttosto per l'approvazione di una ulteriore tutela che consenta il mantinmento delle regole ante-Fornero a circa 49.500 persone. La stima, ricordano dalla Rete, è stata diffusa dallo stesso Governo in occasione di una interrogazione formulata dalla Commissione Lavoro della Camera lo scorso 15 Ottobre 2014.
In tale occasione l'Onorevole Gnecchi (Pd) ha chiesto all'Inps e al ministero del Lavoro di indicare quanti sarebbero i lavoratori da tutelare qualora si decidesse di allungare di 3 anni (dal 6 gennaio 2016 al 6 gennaio 2019) gli attuali profili di tutela.
Seguifb
Zedde
Pensioni, Inflazione e Pil colpiscono gli assegni nel 2015
La mancata crescita del Pil e dell'inflazione produrrà due effetti negativi sui trattamenti pensionistici sia di chi deve andare in pensione nel 2015 sia di chi è titolare di un trattamento pensionistico.
Kamsin Assegni piu' magri quest'anno. La colpa è di un Pil negativo e di un'inflazione ormai prossima allo zero. Due fattori che hanno effetti diretti sui portafogli sia dei pensionati che dei laoratori che quest'anno andranno in pensione. Ma andiamo con ordine.
Per chi è già pensionato. Il problema è l'inflazione o meglio la bassa inflazione. Quest'anno infatti i trattamenti saranno rivalutati, in via provvisoria, solo dello 0,3 per cento. Briciole sulle quali l'Inps dovrà recuperare anche un 0,1% di rivalutazione erroneamente attribuita per il 2014. Per il 2015 il meccanismo prevede l'adeguamento al 100% dell'indice Istat per le pensioni fino a tre volte il trattamento «minimo» (1.503,64 euro), mentre per quelle di importo superiore la rivalutazione sarà via via decrescente, fino a scomparire, come si vede nella tabella.
Il punto è che per il 2015 proprio l'indice Istat utile per la perequazione — fissato a novembre dal ministero dell'Economia — sarà solo dello 0,30% e, dunque, i benefici saranno di conseguenza prossimi allo zero. Non solo, Poiché per il 2014 sono stati corrisposti incrementi superiori dello 0,10% a quanto dovuto, il risultato sarà un aumento ancora più basso: solo 0,20%. Per i trattamenti sopra i 3mila euro mensili lordi, per effetto di ulteriori aggiustamenti e conguagli, si arriverà addirittura a un taglio dell'assegno.
Per chi va in pensione nel 2015. Il fattore di rischio qui è il Pil. La scarsa crescita del Prodotto Interno Lordo, infatti, si ripercuote negativamente sulla rivalutazione dei contributi versati all'Inps (è il c.d. montante contributivo) su cui si calcola la pensione determinando, così, un assegno più basso. L'ultimo valore è risultato negativo (-0,1927%) e potrebbe quindi comportare addirittura una svalutazione dei contributi. Come dire che a fronte di 100 mila euro di contributi, la pensione è calcolata su 99.800 euro circa.
Per ora l'Inps ha rassicurato i lavoratori annunciando di considerare il tasso pari a 1: perciò non ci sarà alcuna rivalutazione, ma neppure svalutazione. La questione resta tuttavia aperta: l'Inps, infatti, è in attesa di pronunciamento definitivo da parte dei ministeri vigilanti (economia e lavoro).
La questione riguarda quelle quote di anzianità presenti sul conto assicurativo al 31 Dicembre 2013 da valorizzare con il sistema contributivo e solo dai lavoratori che saranno collocati in pensione quest'anno (e probabilmente negli anni successivi se il tasso non tornerà in territorio positivo). In base al meccanismo di calcolo contributivo introdotto nel 1995 dalla riforma Dini, infatti, il montante contributivo viene annualmente rivalutato in base all'andamento della crescita nominale del Pil degli ultimi 5 anni. Ora se i Dicasteri interpellati daranno un parere contrario alla soluzione proposta dall'Inps i lavoratori rischiano di ottenere un assegno piu' magro.
Gli effetti. In tale ipotesi per i lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 1995, la perdita sarà più contenuta, perchè nei loro confronti, il sistema di calcolo contributivo si applica pro rata solo dal 1° gennaio 2012. Invece coloro che erano nel sistema misto l'incidenza del calcolo sarà più intensa in quanto costoro si ritrovano la pensione calcolata in buona parte con il sistema contributivo.
Nessun effetto per chi, invece, è già pensionato o cessa dal servizio nel 2014: la riforma del 1995 ha previsto che nell'anno di cessazione la rivalutazione montante sia per legge pari ad 1 e quindi l'accumulo dei contributi versati nell'ultimo anno di lavoro, dato dalla somma dei contributi dei lavoratori lavoro, non subisce alcuna rivalutazione nè svalutazione.
seguifb
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Riforma Pensioni, Damiano: subito quota 100 per i pensionati
"Caro Renzi, 'quota 100' applichiamola alle pensioni per fare uscire dal lavoro chi ha 60 anni di età e 40 di contributi e non ai capilista della nuova legge elettorale". Lo ha affermato il presidente della sinistra Pd della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, in una dichiarazione alla vigilia dell'inizio dell'esame in aula al Senato dell'Italicum. Kamsin L'ipotesi dell'ex ministro del lavoro, supportata dalla minoranza dem, chiede l'approvazione entro il mese di Febbraio di uno strumento di flessibilità in uscita per migliaia di lavoratori rimasti intrappolati nelle maglie della Riforma Fornero. In questo modo, osserva Damiano, potrebbero essere risolti quei tanti capitoli oggi ancora rimasti aperti ad iniziare dal fenomeno degli esodati.
La Quota 100 - Si tratta di una proposta che mira a reintrodurre la pensione di anzianità abolita dal 1° gennaio 2012 dalla Riforma Fornero. In sostanza il lavoratore potrà conseguire il trattamento pensionistico anticipato al perfezionamento di una quota determinata dalla somma di un requisito anagrafico unito a quello contributivo. In altri termini per raggiungere quota 100 sarebbe necessario perfezionare almeno 60 anni di età e 40 anni di contributi oppure un'età anagrafica superiore ed un maturato contributivo inferiore (es. 62 anni anni e 38 di contributi). In ogni caso le finestre mobili, quel sistema di slittamento occulto della pensione, abolito (o meglio disapplicato) dalla Riforma del 2011, non dovrebbero rivedere la luce.
Le quote necessarie tuttavia sarebbero un pò piu' elevate rispetto a quanto previsto dalla tabella B allegata alla legge 243/04 che regolava la vecchia pensione di anzianità. Nel 2015 infatti, se la Riforma Fornero non fosse entrata in vigore, sarebbe stata richiesta una quota pari a 97,3 per i lavoratori dipendenti e 98,3 per gli autonomi con un minimo di 61 anni e 3 mesi (62 anni e 3 mesi per gli autonomi). Con il progetto in parola si dovrà, quindi, comunque restare sul lavoro alcuni anni in piu' rispetto alla vecchia normativa ma non sarebbe prevista alcuna decurtazione sul trattamento pensionistico (almeno da quanto oggi è dato sapere).
L'ipotesi è solo una delle tante sul tavolo di Palazzo Chigi. Lo stesso Damiano ha presentato un altro progetto di legge che consentirebbe di accedere alla pensione con 62 anni e 35 di contributi ma qui al prezzo di una decurtazione sull'assegno.
Seguifb
Zedde
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Bonus Bebè 2015, un assegno per tre anni sui redditi sino a 25mila euro
Il Bonus da' diritto ad un assegno di 960 euro all'anno per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2015 al 31 Dicembre 2017 se l'Isee familiare non supera i 25 mila euro. Il beneficio raddoppia se l'indicatore resta sotto i 7 mila euro.
Kamsin La legge di stabilità introduce una misura per incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno. Si tratta del cd. bonus bebè. Il comma 125 dell'articolo unico della 190/2014 introduce, infatti, che per ogni bambino nato o adottato tra il 1° gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2017 un assegno pari ad 80 euro al mese, da erogare fino al compimento del terzo anno di età oppure di ingresso in famiglia (nel caso si tratti di un bambino adottato) a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente il beneficio sia in una condizione economica corrispondente ad valore Isee, l'indicatore della situazione economica equivalente, non superiore a 25 mila euro annui.
L'assegno raddoppia passando dunque da 960 a 1920 euro all'anno qualora la condizione economica del nucleo familiare di appartenenza ai fini Isee risulti non superiore a 7 mila euro annui.
Il beneficio potrà essere richiesto dei cittadini italiani di uno Stato dell'Unione Europea nonché dei cittadini di Stati extra comunitari in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo, residenti in Italia.
Le modalità di erogazione del beneficio saranno stabilite entro fine gennaio con un decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro della Salute dell'economia e delle finanze. L'ente erogatore sarà l'Inps che dovrà anche provvedere al monitoraggio mensile dell'utilizzo dei fondi stanziati. La legge prevede, inoltre, che le somme in parola non concorreranno alla determinazione dei limiti di reddito complessivo ai fini del riconoscimento del bonus degli 80 euro al mese stabilito nella legge di stabilità 2015.
La manovra dispone, inoltre, un ulteriore stanziamento di 45 milioni di euro in favore dei nuclei familiari con un numero di quattro o più figli minori in possesso di una condizione economica disagiata corrispondente a un valore dell'ISEE non superiore a 8500 euro annui, come contributo alle spese per il mantenimento dei figli tramite la corresponsione di buoni per l'acquisto di beni e servizi. Anche in tal caso l'attuazione della misura sarà demandata ad un decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del Lavoro, di concerto con l'economia.
Seguifb
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Bonus Irpef, gli 80 euro diventano strutturali
Potranno fruire del credito coloro che, nel 2015, riceveranno un reddito di lavoro dipendente e/o assimilato, compreso tra 8.145 e 24mila euro, mentre per i dipendenti che avranno un reddito che supererà i 24mila ma fino a 26mila euro è previsto un dècalage
Kamsin La legge di stabilità 2015 taglia il traguardo e con essa il bonus di 80 euro che ora diventa definitivo. L'esecutivo ha infatti deciso di confermare lo sgravio Irpef in vigore da maggio a beneficio delle buste paga di 10 milioni di dipendenti e di affiancarvi, peraltro, una misura a sostegno delle mamme che, rientrando all'interno di determinati parametri, faranno un figlio a partire dal 1˚ gennaio prossimo.
Resterà, dunque, anche per il 2015, quel bonus monetario, avviato dalla scorsa primavera, per tutti i i lavoratori dipendenti che possono vantare un reddito annuo lordo sino a 26mila euro composto da redditi di lavoro dipendente o da redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (compensi percepiti dai lavoratori soci delle cooperative; indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai lavoratori dipendenti per incarichi svolti in relazione a tale qualità; somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio, premio o sussidio per fini di studio o addestramento professionale; redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa; remunerazioni dei sacerdoti; prestazioni pensionistiche, comunque erogate, dai fondi di previdenza complementare; compensi per lavori socialmente utili).
Nella determinazione del reddito si può escludere, comunque, quello dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale e delle relative pertinenze, le somme percepite dal lavoratore a titolo di incremento della produttività e che scontano un'imposta sostitutiva del 10%; l'eventuale liquidazione in busta paga del trattamento di fine rapporto (cio' l'anticipo del TFR in busta paga) introdotta (dalla medesima legge di stabilità), in via sperimentale per il periodo 1° marzo 2015-30 giugno 2018.
Restano, tuttavia, esclusi i contribuenti con l’imposta lorda Irpef minore o uguale alla sola detrazione da lavoro (cioè circa 3 milioni di lavoratori che hanno redditi inferiori a 8.145 euro, i cd. incapienti), i pensionati e le partite Iva.
La distribuzione del beneficio è variabile a seconda del reddito complessivo Irpef del lavoratore dipendente. In particolare, il bonus è 0 se il reddito, appunto, è inferiore a 8.145 euro, mentre per i redditi compresi tra 8.145 e 24 mila euro (circa 10 milioni di contribuenti) si arriva fino a un beneficio annuo massimo di 960 euro. Superata la soglia dei 24 mila euro, il bonus decresce, attraverso un decalage, fino ad azzerarsi a 26 mila euro. Un' area, quest'ultima, nella quale navigano 1,3 milioni di lavoratori.
Dal punto di vista operativo, il bonus, rapportato al periodo di paga, è attribuito automaticamente dai sostituti d'imposta ed è successivamente recuperato tramite compensazione; solo per gli enti pubblici e per le amministrazioni dello Stato è stata riconosciuta la possibilità di recuperare il bonus tramite una riduzione delle ritenute e dei contributi previdenziali.
Seguifb
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Articolo 18, così cambia la tutela contro i licenziamenti illegittimi
La reintegra sarà limitata ai soli casi di insussistenza del fatto materiale grave contestato al lavoratore. Le misure si applicheranno ai nuovi assunti dopo l'entrata in vigore del decreto delegato.
Kamsin La bozza del decreto legislativo che attua il cd. Jobs Act riscrive profondamente le tutele nei confronti dei licenziamenti illegittimi.
La principale novità su questo fronte è che per tutti i nuovi assunti dalla data di entrata in vigore del provvedimento con contratto a tempo indeterminato cadrà il totem simbolo dello Statuto dei lavoratori: sarà possibile licenziare anche per ingiustificato motivo economico o disciplinare pagando solo un indennizzo (e non dovendo piu' reintegrare in servizio il dipendente). Vediamo dunque in breve cosa cambierà.
Indice
Licenziamenti Economici
Licenziamenti Disciplinari e Discriminatori
Licenziamenti Collettivi
L'ambito di applicazione
Imprese con meno di 16 Dipendenti
Conciliazione Facoltativa
Inapplicabilità del rito Fornero
Licenziamenti economici
La tutela standard in caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore assunto a tempo indeterminato successivamente alla data di entrata in vigore del decreto attuativo (si prevede entro fine gennaio 2015) sarà quella del risarcimento certo e crescente in base all'anzianità di servizio.
L'indennizzo sarà pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità. In pratica se non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (cioè le ragioni economiche) il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna l'imprenditore al pagamento di una indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale entro un massimo di 24 mensilità.
Questo significa che dopo il 12° anno di anzianità lavorativa al dipendente licenziato illegittimamente gli verrà corrisposto un indennizzo pari al massimo a 24 mensilità.
Il decreto legislativo prevede che per le frazioni d'anno di anzianità di servizio l'indennità economica debba essere riproporzionata, circostanza che dovrebbe indicare che il calcolo dell'importo da riconoscere al prestatore illegittimamente licenziato debba essere determinato effettuando una media tra i mesi di servizio riconosciuti e 12 mesi che compongono l'anno intero. Inoltre, si prevede che le frazioni di mesi uguali o superiori a 15 giorni si computino come mese intero.
Licenziamenti Disciplinari e Discriminatori
La reintegra obbligatoria resterà esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore.
Attualmente, per effetto della Legge Fornero, la reintegra nei licenziamenti disciplinari scatta in due ipotesi: se il fatto contestato non sussiste, oppure se rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa (cioè la sospensione del rapporto di lavoro invece del licenziamento) sulla base delle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari.
Con l'intervento dell'esecutivo viene meno, pertanto, il riferimento alle tipizzazioni contenute nei CCnl e si limita il reintegro ai soli casi di insussistenza del fatto materiale. Cioè bisognerà raggiungere in giudizio la piena prova dell'insussistenza del fatto contestato al lavoratore mentre non sarà piu' ammissibile la reintegra nei casi in cui ci sia un ragionevole dubbio circa la colpevolezza del lavoratore. In queste circostanze al lavoratore spetterà solo l'indennizzo.
Nel valutare, inoltre, la sussistenza del fatto materiale il provvedimento precisa che al giudice è preclusa "ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento". In altri termini il giudice non potrà disporre il reintegro laddove il fatto materiale sussista ma sia ritenuto dal giudice di per sè insufficiente a motivare un licenziamento.
Ad esempio, solo nel caso in cui venisse addebitato al dipendente un furto e, successivamente, si scoprisse che il furto contestato in realtà non è avvenuto o lo ha commesso un altro, il dipendente ingiustamente licenziato potrà essere reintegrato in servizio. In tutti gli altri casi, compreso quello in cui il giudice ritenga il fatto, seppur provato, non così grave da giustificare il licenziamento, potrò solo riconoscere l'indennità risarcitoria.
Indennità che, al pari di quanto già visto per i licenziamenti economici, sarà compresa tra un minimo di 4 mensilità ed un massimo di 24 mensilità.
Nel provvedimento non c'è la cosiddetta opzione spagnola (il cd. opting out): l’azienda, dunque, non potrà scegliere l’indennizzo anche se il giudice disponesse il reintegro.
Nei casi in cui deve essere disposta la reintegra il giudice condannerà, inoltre, il datore al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro. L'indennità non potrà superare, comunque, le 12 mensilità. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Licenziamenti Disciplinari - Resta il reintegro, inoltre, nei licenziamenti nulli o discriminatori, cioè quelli motivati da ragioni politiche, religiose o di orientamento sessuale. In queste circostanze scatterà il reintegro nel posto di lavoro piu' un risarcimento non inferiore a cinque mensilità. Resta, inoltre, ferma la facoltà per il lavoratore di chiedere, oltre il diritto al risarcimento del danno, al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Licenziamenti Collettivi
Con il provvedimento il Governo ha unificato la disciplina dei licenziamenti collettivi a quelli individuali. Per il licenziamento collettivo intimato senza forma scritta si applicherà la normativa vigente per il recesso orale: il lavoratore avrà diritto, quindi, alla reintegrazione sul posto di lavoro, oltre che al risarcimento del danno.
Per il licenziamento collettivo viziato dalla violazione di una delle regole procedurali previste dalla legge 223 del 1991, oppure dalla violazione dei criteri di scelta legali o contrattuali, si applicherà, invece, la disciplina prevista per il licenziamento individuale motivato da giustificato motivo oggettivo. In concreto, quindi, il lavoratore potrà ottenere il risarcimento del danno in misura pari a 2 mensilità lorde per ciascun anno di lavoro, da un minimo di 4 fino a un massimo di 24.
La scelta di estendere l'abrogazione della tutela reale della reintegra dello Statuto dei lavoratori, indicano i tecnici di Palazzo Chigi, è necessaria per evitare situazioni come quella in cui potrebbe trovarsi un azienda che, tanto per fare un esempio, nel 2015 dovesse ricorrere a licenziamenti per ristrutturazione, egualmente distribuiti tra nuovi e vecchi lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato. Qualora questi licenziamenti economici fossero dichiarati illegittimi dal giudice, con le vecchie regole l'azienda avrebbe dovuto reintegrare tutti i lavoratori. Invece con le nuove regole solo i vecchi lavoratori saranno integrati, mentre i neoassunti riceveranno l'indennizzo economico.
L'ambito di applicazione
Le regole sopra esposte si applicano ai lavoratori con la qualifica di operai, impiegati e quadri (ad eccezione dei dirigenti) assunti a tempo indeterminato a decorrere dall'entrata in vigore del decreto legislativo. Pertanto nulla è innovato rispetto a chi attualmente ha già un lavoro a tempo indeterminato.
Le nuove regole interesseranno anche i soggetti non imprenditori (cioè coloro che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto) e dovrebbero interessare anche i lavoratori del pubblico impiego in quanto, nonostante le polemiche di questi giorni, non capisce allo stato attuale del decreto quale sia la norma in grado di escludere tali lavoratori dalla Riforma.
Imprese con meno di 16 Dipendenti
Per quanto riguarda le Pmi, cioè le imprese con meno di 16 dipendenti, il decreto prevede che le mensilità spettanti al lavoratore siano dimezzate e che ci sia un tetto massimo di 6 mensilità (contro le 24 previste di base).
Sempre per le Pmi, un'altra novità è se si fanno nuove assunzioni: se si supera il limite dei 15 dipendenti, il neoassunto sarà a tutele crescenti e trascinerà con se nel nuovo regime anche gli altri lavoratori, pur se assunti a tempo indeterminato prima dell'entrata in vigore della Riforma.
Per quanto riguarda i lavoratori utilizzati nell'ambito degli appalti, l'anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell'impresa che subentra in un appalto si dovrà computare tenendo conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell'attività appaltata.
Inapplicabilità del Rito Fornero
Tutti i licenziamenti soggetti alla nuova disciplina non dovranno essere preceduti dalla conciliazione in DTL e in giudizio seguiranno il rito ordinario e non quello introdotto dalla legge Fornero. Per i dipendenti a tempo indeterminato già in organico prima dell'entrata in vigore della nuova legge continuerà, invece, ad applicarsi la procedura presso la DTL mentre e non sarà utilizzabile la conciliazione facoltativa.
La conciliazione Facoltativa
Sia nei licenziamenti economici che in quelli disciplinari il datore potrà offrire al lavoratore, per evitare il giudizio, entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, una mensilità per anno di anzianità fino a 18 mensilità, con un minimo di due (nelle Pmi l'indennità è dimezzata). L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporterà l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all'impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.
Zedde
seguifb
guidariformalavoro
Pensioni, così il credito d'imposta per fondi pensione e Casse Professionali
Arriva un credito d’imposta con un tetto di 80 milioni di euro per Casse previdenziali (del 6%) e Fondi pensione (del 9%), se decideranno di investire in economia reale, al fine di compensare l’aumento della tassazione, rispettivamente al 26 e al 20%.
Kamsin La legge di stabilità prevede un incremento della tassazione dei redimenti maturati dai fondi pensione e dalle Casse previdenziali private con effetto, almeno in parte, retroattivo. Rispetto ai primi viene innalzata l'aliquota di tassazione dall'11 al 20% (l'aliquota resta al 12,5% se si tratta di titoli di Stato, italiani e white list) mentre per le Casse Professionali si passa dal 20 al 26%. La maggiore imposta verrà, però, in parte restituita sotto forma di credito d'imposta a chi sostiene investimenti a medio e lungo termine che verranno fatti in economia reale, sull'intero mercato europeo, per finanziare interventi mirati come ad esempio sul welfare o alla riqualificazione di immobili.
Si chiude, pertanto, con questa correzione la partita fiscale sui fondi pensione e le Casse di previdenza giocata nella Stabilità 2015. Con un limite. Il tetto di spesa previsto per il credito di imposta alle Casse previdenziali e ai Fondi pensione che decideranno di sostenere l'economia italiana investendo in progetti infrastrutturali si ferma a 80 milioni, per ora. Si tratta di una dote annua, che scatta dal 2016 e il cui utilizzo sarà monitorato con criteri fissati nello stesso decreto ministeriale che indicherà gli investimenti infrastrutturali di destinazione. Raggiunto il limite stabilito si chiuderà il rubinetto del credito d'imposta.
Il Credito d'imposta - Il credito d'imposta, precisa la legge, si potrà effettuare solo l'anno successivo all'investimento infrastrutturale previsto e si agirà su due canali. Per le Casse, verrà riconosciuto come differenziale tra l'ammontare delle ritenute d'imposta sostitutive applicate nella misura del 26% sui redditi finanziari dichiarati e certificati e l'ammontare di tali ritenute e imposte sostitutive computate nella misura del 20%.
Per i fondi pensione, verrà riconosciuto per un importo pari al 9% del risultato netto maturato assoggettato all'imposta sostitutiva. Il credito di imposta per i fondi non concorrerà alla formazione del risultato netto maturato e, ai fini della formazione delle prestazioni previdenziali, andrà a incrementare la parte corrispondente ai redditi già assoggettati a imposta.
In pratica a fronte di un reddito pari a 100 e ad una ritenuta applicata di 26 (20 per i fondi pensione) il credito d'imposta utilizzabile in compensazione a decorrere dal 1° gennaio 2016 sara pari a 6 euro (9 euro per i fondi pensione). Lo "sconto" fiscale, però, potrà essere ottenuto solo a partire dal 2016 tramite la compensazione del credito d'imposta nel modello F24.
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Riforma Pensioni, Damiano: si riapra il cantiere a breve
Nel 2015 il Governo dovrà garantire un sistema di pensionamenti flessibili che consenta un anticipo dell'età pensionabile di almeno 3 anni. Necessario risolvere i tanti errori della Riforma Fornero.
Kamsin “Condividiamo le opinioni di coloro che nel Governo vogliono introdurre un criterio di flessibilita’ nel sistema pensionistico”. E' quanto ha detto Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera in riferimento all'apertura, ieri, di Gutgeld, consigliere economico di Palazzo Chigi, circa la possibilità di un intervento sulla Riforma Fornero. “Su questo argomento – continua Damiano – il Partito Democratico ha depositato una proposta di legge, di cui sono primo firmatario, che prevede la possibilita’ per chi ha 35 anni di contributi di andare in pensione a partire dall’eta’ di 62 anni (cd. i pensionamenti flessibili) oppure con 41 anni di contributi indipendentemente dall’eta’ anagrafica” ha indicato Damiano. "Ci sono anche altre proposte su cui si può ragionare ma l'obiettivo deve essere chiaro: è necessario introdurre maggiore flessibilità in uscita soprattutto riguardo ai lavoratori che hanno perso il posto di lavoro e che non hanno raggiunto l'età per la pensione".
"La nomina di Boeri all'Inps deve essere l'occasione per affrontare quei temi sulla previdenza che sono stati trascurati sino ad oggi. Ricordiamo al commissario in pectore dell’INPS che oltre alla revisione dell'età pensionabile ci sono anche altri temi previdenziali da affrontare con una certa urgenza: ad iniziare dalle ricongiunzioni, gli esodati, l'opzione donna, i macchinisti delle ferrovie e i Quota 96 della scuola. Si tratta di un pacchetto di problemi causati da errori legislativi ai quali va posto riparo se si vuole perseguire un criterio di giustizia sociale. Da non dimenticare anche la stangata sulle partite Iva: anche su questo tema il Governo ha annunciato a breve un intervento" ha detto Damiano.
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