Pensioni, La Cassa non può applicare il contributo di solidarietà sugli assegni elevati
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione accogliendo un ricorso di un ex dottore commercialista. Solo il legislatore può, nei limiti di quanto fissato dalla Consulta, introdurre una misura che riduce la misura del trattamento pensionistico erogato da forme di previdenza private.
La misura, come noto, rubricata all'articolo 22 (ora 29) del Regolamento delle attività istituzionali della CNPADC è in vigore dal 1° gennaio 2004 ed incide sui quei trattamenti pensionistici calcolati con il sistema retributivo (in misura diversa a seconda se i requisiti per la pensione sono maturati prima o dopo il 31 dicembre 2004). Il prelievo che inizialmente doveva avere una durata quinquennale è stato oggetto di successive proroghe ed è graduato in funzione della misura dell'assegno sulla base di cinque scaglioni in forma progressiva oscilla tra il 2 ed il 7% a seconda dei casi.
La decisione della Corte
I giudici hanno così confermato le sentenze del Tribunale e della Corte D'appello che già avevano accolto le doglianze dell'ex-commercialista spiegando, in modo analogo a quanto avvenuto lo scorso anno, che l'adozione del contributo di solidarietà non rientra tra i poteri attribuiti dalla legge all'autonomia regolamentare della Cassa previsti dall'art. 2 del dlgs n. 509/1994. La Corte ribadisce, in particolare, che il contributo di solidarietà, non incidendo sul criterio di determinazione del trattamento pensionistico (cioè non mutando, ad esempio, le aliquote di rendimento o le modalità di determinazione della retribuzione pensionabile negli ultimi anni di lavoro), non possa essere legittimato neppure tramite l'articolo 1, co. 763 della legge 296/2006 come successivamente interpretato dalla legge 147/2013 che, come noto, ha stabilito la salvezza, a determinate condizioni, delle delibere delle Casse che incidono sul meccanismo del pro-rata, cioè che rivedessero, per l'appunto, i criteri di determinazione della pensione.
La Corte afferma, infatti, che l'imposizione del contributo di solidarietà sui trattamenti pensionistici già in atto non integra né una "variazione delle aliquote contributive", né una "riparametrazione dei coefficienti di rendimento quanto, piuttosto una trattenuta fissa su un trattamento già determinato. Da ciò consegue che la normativa di cui alla legge 296/2006 "non può essere intesa, come aveva ipotizzato la Cassa, nel senso di fonte del potere di introdurre prestazioni patrimoniali a carico dei pensionati, quale è il contributo di solidarietà".
La potestà è solo del legislatore
Come già evidenziato lo scorso anno la Corte precisa che nulla è innovato a seguito della sentenza 173/2016 con cui la Corte costituzionale ha sancito la legittimità del contributo di solidarietà sulle pensioni erogate da forme di previdenza pubblica obbligatoria (art. 1, co. 486, della legge finanziaria del 2014). Tale decisione, in sostanza, non può essere utilizzata per giustificare un intervento della Cassa ancorchè esso risulti rispettoso dei principi espressi nella predetta sentenza della Consulta (prelievo temporaneo, giustificato da una grave crisi del sistema, sostenibile e progressivo nei confronti dei trattamenti incisi). Solo il legislatore può farlo in quanto tale potere non rientra in quelli attribuiti dalla legge alla Cassa. L'orientamento della Cassazione rischia di generare un ampio contenzioso rispetto a quelle Casse che abbiano scelto di ridurre le quote retributive della pensione non solo tramite un'attenuazione del criterio del pro-rata ma anche con la logica del contributo di solidarietà.