RdC per stranieri, legittimo il requisito del permesso di soggiorno di lunga durata
Nessuna discriminazione nel negare la prestazione ai cittadini extracomunitari con un permesso di soggiorno breve. Alla base della decisione della Corte Costituzionale vi è l’assunto che il Rdc non costituisce un mero sussidio, ma uno strumento di inserimento lavorativo che presuppone impegni a lungo temine e una permanenza durevole sul territorio.
Il reddito di cittadinanza non esaurisce il proprio scopo in una semplice misura assistenziale di contrasto alla povertà, ma presenta una specifica funzione di ricollocazione lavorativa e di inclusione sociale.
È questo l’aspetto che la Consulta ha rimarcato nella sentenza n. 19/2022, depositata il 25 gennaio scorso, sulla base del quale ha ritenuto non discriminatorio il requisito, per gli stranieri extra UE che vogliano accedere alla prestazione, del permesso di soggiorno di lungo periodo. Non contrasta con i principi di uguaglianza e solidarietà sociale, quindi, l’esclusione da parte della norma sul Rdc delle persone che possiedono soltanto un permesso di breve periodo alle quali, tra l’altro vengono accordate le stesse misure assistenziali accessibili a tutti i cittadini perché a sostegno di interessi primari.
La Corte Costituzionale ha infatti ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Bergamo in merito all’articolo 2, primo comma, lettera a, n. 1 del decreto legge 4/2019 nella parte in cui esclude dal reddito di cittadinanza gli stranieri possessori del solo permesso unico di lavoro (articolo 5, comma 8.1, del Dlgs 286/1998 o permesso di lavoro di almeno un anno (articolo 41 del medesimo decreto).
In particolare, secondo il giudice bergamasco la norma incriminata avrebbe violato, tra gli altri, i principi di solidarietà ed uguaglianza (art. 2, 3 e 117, quest’ultimo in relazione all’articolo 14 CEDU, e con gli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE).
Perché è legittimo il requisito del permesso di lungo periodo
La funzione dell’inserimento sociale e lavorativo del Rdc, sostiene la Consulta, risulta dalla necessaria sottoscrizione del patto per il lavoro o del patto per l’inclusione sociale i quali, di fatto, comprendono per il beneficiario impegni da rispettare nel lungo periodo che una breve permanenza sul territorio italiano non rende possibile. Questo, in estrema sintesi, è il cuore del ragionamento della Corte Costituzionale, poi articolato e approfondito nel corpo della sentenza.
È vero, infatti, che la Repubblica garantisce il diritto di ogni individuo alla sopravvivenza dignitosa e al soddisfacimento dei bisogni vitali, attraverso misure assistenziali a tutti i cittadini, siano essi italiani, europei ed extraeuropei (pensione sociale, assegno di invalidità, etc.). Non è tuttavia il caso del reddito di cittadinanza che assolve a finalità diverse e più articolate, correlate ad una partecipazione attiva all’interno della comunità.
In questa prospettiva, il Rdc non si esaurisce in una provvidenza assistenziale volta a soddisfare un bisogno primario dell'individuo, ma persegue più ampi obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale - conducono a ritenere non fondata anche la questione sollevata con riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 14 CEDU secondo cui il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione.
Bisogni primari che, al contrario, potrebbero essere soddisfatti mediante il ricorso ad altri mezzi messi a disposizione dallo Stato, restando salva in capo al Legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, la scelta di destinare una misura non prettamente assistenziale ai soli stranieri soggiornanti in Italia a tempo indeterminato.
Il requisito del permesso di soggiorno di lungo periodo
Si ricorda, infatti, che tra i requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno, il citato art. 2 del D.Lgs. n. 4/2019 fissa quale condizione la cittadinanza italiana o di un Paese dell’Unione Europea. Per gli stranieri appartenenti ad uno Stato terzo, invece, richiede :
- la titolarità di un permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lunga durata;
- l’essere familiare di un cittadino italiano o di un cittadino di uno dei Paesi dell’Unione Europea e in possesso di un titolo di soggiorno valido in Italia.
In entrambi i casi, il beneficiario straniero deve essere residente in Italia da almeno dieci anni al momento della richiesta, dei quali gli ultimi due anni in modo continuativo.
Nell’ipotesi relativa al permesso di soggiorno di lungo periodo, tra l’altro, si precisa che esso è concesso qualora ricorra una serie di presupposti legati alla stabile presenza sul territorio dell’interessato, nella logica di una ragionevole prospettiva di integrazione del destinatario nella comunità ospitante. In particolare, l’art. 9, commi 1 e 2-bis, del Testo unico sull’immigrazione dispone che esso può essere chiesto in presenza cumulativamente di quattro requisiti:
- possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità;
- disponibilità di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale;
- alloggio idoneo;
- superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana.
Tale permesso, tra l’altro, è a tempo indeterminato e non viene revocato neppure se si perdono i requisiti suddetti (alloggio idoneo e reddito).