Sergey

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Mi occupo di diritto della previdenza e del lavoro. Mi sono laureato nel 1976 in Giurisprudenza alla Cattolica. Dal 1985 lavoro all'Inps.

I lavoratori soggetti alle nuove regole pensionistiche con contribuzione mista hanno a disposizione diverse strade per centrare l'uscita.

Kamsin Per i lavoratori interessati dalla riforma previdenziale Fornero del 2011 che hanno contribuzione mista, cioè accreditata presso diverse gestioni previdenziali, può essere utile verificare quali sono le opzioni per avvicinarsi al traguardo della pensione. È chiaro che non ci sono scorciatoie in quanto la maggior parte delle opzioni prevedono comunque il versamento, direttamente o indirettamente di un onere, ma può risultare comunque utile avere un quadro entro cui è possibile muoversi per anticipare l'uscita. 

Chi ha contribuzione mista e non ha ancora raggiunto i requisiti per il conseguimento di una prestazione diretta a carico di una gestione previdenziale, ipotesi ormai sempre piu' frequente a causa della discontinuità dell'attività lavorativa, deve infatti valutare attentamente quali strumenti l'ordinamento mette a disposizione per riunire le diverse contribuzioni ai fini del conseguimento di un'unica prestazione previdenziale.  

Vediamo dunque, attraverso una tavola ragionata, quali sono le opzioni disponibili e a quale "prezzo" è possibile percorrerle.

La ricongiunzione - La prima facoltà da tenere a mente per il lavoratore è quella di ricongiungere a pagamento i versamenti effettuati in diverse gestioni previdenziali in un'unica gestione. La ricongiunzione è esercitabile sia dai lavoratori dipendenti che dagli autonomi e professionisti (ad eccezione però degli iscritti alla gestione separata) con un onere che può essere rateizzato. Con la ricongiunzione è possibile maturare una qualsiasi pensione nella gestione accentrante con le regole di calcolo previste per quest'ultima.

Con l'abolizione della pensione di anzianità, la necessità del pagamento di un onere e la sostanziale equiparazione dei requisiti per il conseguimento della pensione di vecchiaia in tutte le gestioni della previdenza pubblica, questo istituto è divenuto ormai meno utilizzato rispetto al passato. Ma resta pur sempre una strada percorribile per riunire tutti gli spezzoni contributivi e centrare i 41 anni e mezzo di contributi (42 anni e mezzo per gli uomini) necessari per uscire con la pensione anticipata.

La totalizzazione - Una seconda strada per chi possiede contributi in diverse casse previdenziali è quella di maturare la pensione di vecchiaia o di anzianità in regime di totalizzazione. L'istituto interessa praticamente tutte le gestioni previdenziali comprese le casse professionali e la gestione separata Inps. A differenza della ricongiunzione, la totalizzazione è completamente gratuita e non trasferisce i contributi da una gestione all'altra.

Il calcolo però viene effettuato con il sistema contributivo (di regola) e, pertanto, può comportare una decurtazione nel trattamento economico erogato. Con la totalizzazione si può conseguire una prestazione pensionistica al perfezionamento di 40 anni e 3 mesi di contributi (piu' una finestra mobile di 21 mesi) indipendentemente dall'età anagrafica oppure con 65 anni e 3 mesi unitamente a 20 anni di contributi (piu' una finestra mobile però di 18 mesi). Ad esempio se ci sono 21 anni di contributi nella gestione dipendenti e altri 20 nella gestione separata questi contributi si possono "sommare" per ottenere un'unica prestazione.

Il cumulo ex legge 228/2012 - La terza strada è piu' recente in quanto è stata introdotta con la legge di stabilità 2013. Consente ai lavoratori iscritti presso due o più gestioni previdenziali - ad eccezione delle casse professionali - di cumulare gratuitamente tali contributi per conseguire la pensione di vecchiaia. La facoltà di cumulo in questione è totalmente gratuita ed inoltre ha il vantaggio di lasciare inalterato il sistema di calcolo applicabile in base alle anzianità maturate. Questo istituto tuttavia può essere utilizzato solo se non è stato maturato un diritto a pensione nelle gestioni interessate ed all'età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia. Quindi mai prima dei 66 anni e 3 mesi (almeno di regola).

Questa facoltà può essere utile ad esempio se un lavoratore ha 10 anni di contributi nella gestione inps dipendenti ed altri 10 nella gestione separata. Senza tale istituto il lavoratore non avrebbe mai conseguito un diritto a pensione in nessuna delle due gestioni (perchè mancavano i 20 anni di  contributi) e avrebbe dovuto quindi totalizzare a 65 anni e 3 mesi rimettendoci però sull'importo dell'assegno per il diverso sistema di calcolo. Con il cumulo, invece, potrà ottenere a 66 anni e 3 mesi una prestazione di vecchiaia mantenendo il sistema di calcolo previsto nelle rispettive gestioni.

Il Computo nella Gestione Separata - Chi è iscritto alla Gestione Separata può chiedere il computo in tale gestione dei contributi accreditati nella Gestione Inps dipendenti, nei fondi speciali per i lavoratori autonomi e negli altri fondi sostitutivi ed esclusivi dell'Ago (articolo 3, Dm 282/1996). L'istituto è attivabile però solo da quei lavoratori in possesso di anzianità contributiva al 1° gennaio 1996 (però con meno di 18 anni di contributi alla medesima data); che abbiano 15 anni di contributi di cui almeno 5 nella gestione separata. Il Computo è gratuito ma comporta che il calcolo dell'assegno sia determinato completamente con il sistema contributivo. 

Con questo strumento i lavoratori possono però centrare l'uscita con le regole previste per i contributivi puri indicate dalla Legge Fornero (cioè pensione a 66 anni e 3 mesi con 20 anni di contributi; a 41 anni e 6 mesi di contributi indipendentemente dall'età anagrafica (42 anni e 6 mesi gli uomini); a 63 anni e 3 mesi di età unitamente a 20 anni di contributi "effettivi" a condizione che l'importo dell'assegno non risulti inferiori a 2,8 volte l'assegno sociale.

Il Cumulo per i contributivi puri - Scarsamente utilizzata e conosciuta invece la possibilità di cumulare i contributi per chi è entrato nel mondo del lavoro successivamente al 31.12.1995. Il Dlgs 184/1997 consente infatti a chi non è in possesso di anzianità contributiva a tale data e risulti iscritto presso due o più gestioni previdenziali - compresi i periodi lavorati nelle casse professionali a condizione che queste ultime abbiano adottato il sistema contributivo - la possibilità di sommare tali periodi per ottenere una prestazione previdenziale al perfezionamento dei requisiti previsti dalla legge Fornero per i contributivi puri.

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Ai lavoratori il cui primo accredito contributivo risulta versato successivamente al 1° gennaio 1996 è richiesto che la prestazione pensionistica sia superiore ad almeno 1,5 volte l'importo dell'assegno sociale.

Kamsin Com'è noto la riforma Fornero, DL 201/2011 ha innalzato requisiti anagrafici per il conseguimento della pensione di vecchiaia prevedendo la parificazione a partire dal 2018 per uomini e donne. Per tale data saranno dunque necessari 66 anni e 7 mesi sia per i lavoratori uomini che per le lavoratrici del settore privato. Ciò con riferimento delle prestazioni nel regime retributivo, misto e contributivo. Il Dl 201/2011 ha inoltre confermato che il trattamento di vecchiaia è conseguibile a condizione che siano stati perfezionati almeno 20 anni di contributi versati o accreditati a qualsiasi titolo.

Per le pensioni da liquidare ai lavoratori a favore dei quali il primo accredito contributivo risulta versato dal 1° gennaio 1996 (i cd. contributivi puri) è prevista tuttavia una ulteriore condizione: la prestazione infatti può essere liquidata con i requisiti anagrafici e contributivi previsti per il sistema retributivo e misto solo nelle ipotesi in cui l'importo del rateo non sia inferiore a 1,5 volte l'ammontare dell'assegno sociale (cioè circa 670 euro per il 2015). Tale soglia minima dovrà essere rivalutata annualmente sulla base delle variazione media quinquennale del Pil, come calcolata dall'Istat.

Si tratta di un importo che di fatto potrebbe ostacolare il pensionamento a quei lavoratori che hanno la minima anzianità contributiva e hanno avuto, nell'arco della vita lavorativa, retribuzioni piuttosto basse; una carriera lavorativa che dunque darebbe diritto a prestazioni previdenziali ridotte. Ciò è vero anche se bisogna ricordare che l'importo del rateo beneficerà di coefficienti di trasformazione piu' elevati che dovrebbero rendere comunque piu' agevole il raggiungimento dell'importo soglia richiesto dalla legge.

Si prescinde da questo importo minimo del rateo nei casi in cui il lavoratore abbia raggiunto un'età pari, almeno a 70 anni (il requisito tuttavia è da adeguare alla stima di vita Istat); in questi casi, inoltre, il requisito contributivo minimo richiesto per avere diritto alla prestazione non sarà piu' di 20 anni ma sarà sufficiente un'anzianità contributiva effettiva pari, almeno, a cinque anni.

In alternativa alla pensione di vecchiaia con le regole sopra descritte i "contributivi puri" hanno anche la possibilità di conseguire la pensione all'età di 63 anni e 3 mesi ed almeno 20 anni di contribuzione effettiva (a condizione però che l'importo del rateo sia almeno pari a 2,8 volte l'assegno sociale, cioè circa 1.250 euro al mese) oppure al raggiungimento di 42 anni e 6 mesi di contributi (41 anni e 6 mesi per le donne) indipendentemente dall'età anagrafica.

Ai fini del perfezionamento di questo requisito contributivo è valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata a favore dell’assicurato, fermo restando che, ai sensi dell’art. 1, comma 7, della legge n. 335 del 1995, ai fini del computo di detta contribuzione non concorre quella derivante dalla prosecuzione volontaria, e quella accreditata per periodi di lavoro precedenti il raggiungimento del 18° anno di età è moltiplicata per 1,5. Nei confronti dei contributivi puri, inoltre, non opera la riduzione del trattamento pensionistico  nel caso di accesso alla pensione ad un’età anagrafica inferiore a 62 anni.

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Una Circolare dell'Inps conferma però che gli assegni liquidati ante 2015 restano soggetti a vita al meccanismo della riduzione dell'importo perchè la legge non ha effetti retroattivo.

Kamsin Non saranno penalizzati gli assegni dei lavoratori che maturano il requisito contributivo entro il 31 dicembre 2017 anche se la l'accesso alla pensione avverrà da data successiva. E' quanto ha precisato la circolare Inps 74/2015 con cui l'istituto della previdenza pubblica ha diramato le modalità applicative relative alle novità introdotte dalla legge di stabilità 2015 inmateria di trattamenti pensionistici.

In particolare la Circolare conferma che le pensioni anticipate decorrenti dal 1° gennaio 2015 non saranno più soggette ad alcuna penalizzazione anche se l'accesso al trattamento pensionistico avviene con meno di 62 anni di età e, limitatamente ai lavoratori che maturano il requisito contributivo entro il 31 dicembre 2017, anche se l'accesso alla pensione avviene dopo il 2017.

Questo in applicazione del principio della cristallizzazione del diritto a pensione, volto a tutelare il
legittimo affidamento e la certezza del diritto, ai lavoratori che perfezionano il diritto alla pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017, ancorché abbiano alla stessa data meno di 62 ami di età, non si applicano le penalizzazioni previste dalla legge 214/2011, anche se la decorrenza della pensione avviene successivamente al 31 dicembre 2017 e l'interesato abbia meno di 62 anni.

Si ricorda che i requisiti per la pensione anticipata sono pari a 41 anni e 6 mesi di contributi (42 anni e 6 mesi per gli uomini) sino al 31.12.2015; per il triennio 2016-2018, in conseguenza della speranza di vita, saliranno di ulteriori 4 mesi.

Le penalizzazioni, senza alcuna eccezione, saranno nuovamente applicate, salvo nuovi interventi (probabili), dal 2018, nei confronti dicoloro che matureranno i requisiti della pensione anticipata da tale data e andranno in pensione con meno di 62 anni di età. Non saranno invece modificati gli assegni già liquidati e quelli futuri di chi è andato in pensione con la penalizzazione nel periodo 2012-2014 perché la legge di stabilità non interviene sul pregresso. Sul punto il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha indicato la settimana scorsa che qualora si vogliano eliminare le penalizzazioni sugli assegni liquidati prima del 1° gennaio 2015 il Parlamento dovrà individuare ulteriori risorse finanziarie.

Poletti ricorda che ragioni di compatibilità finanziaria "hanno circoscritto gli effetti del predetto intervento normativo ai soli trattamenti pensionistici decorrenti dal 1o gennaio 2015; qualora, infatti, tale intervento avesse avuto effetti retroattivi, gli oneri finanziari sarebbero stati notevolmente più elevati. Pertanto, laddove si decidesse di effettuare un intervento normativo volto a estendere retroattivamente l'efficacia della norma in esame, o anche solo a sospendere le penalizzazioni per il triennio 2015-2017 nei riguardi di coloro che hanno avuto accesso al pensionamento anticipato entro il 31 dicembre 2014, ne conseguirebbero maggiori oneri per la finanza pubblica in relazione ai quali dovrebbe essere reperita la necessaria copertura finanziaria".

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"Boeri vuole utilizzare la trasparenza per giustificare un intervento sulle prestazioni oltre i 2mila euro lordi al mese." "La strada da seguire è però quella dei pensionamenti flessibili".

Kamsin "L'operazione trasparenza, avviata dal presidente dell'Inps, Tito Boeri, sui conti previdenziali delle diverse categorie ha sicuramente il pregio di riportare in primo piano il meccanismo che per decenni ha regolato il calcolo delle pensioni: quel metodo retributivo, basato non sui contributi versati, ma sugli ultimi stipendi o redditi, con tutte le incongruenze incorporate". Lo ricorda Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati in una nota. "Ma, a ben vedere, è un po' come scoprire l'acqua calda. A meno che l'obiettivo non sia quello di far passare nell'opinione pubblica l'idea che sia possibile tosare gli assegni determinati con questo sistema di calcolo".

Una tesi molto cara allo stesso Boeri, firmata con Fabrizio e Stefano Patriarca, - precisa Damiano - proponeva di chiedere un contributo di equità basato sulla differenza tra pensioni percepite e contributi versati, limitatamente a chi percepisce pensioni di importo elevato. Il punto è - ricorda Damiano - che per «importo elevato» si intendono gli assegni appena sopra i 2.000 euro mensili lordi. In pratica, si dovrebbero ricalcolare (in modo virtuale), con il metodo contributivo (che mette in relazione l'importo dell'assegno con i contributi versati), tutte le prestazioni previdenziali liquidate nei decenni passati. E, a quelle comunque superiori a 2mila euro. Si tratta di una ipotesi che non è condivisibile in quanto mette le mani in tasca ad oltre 2 milioni di cittadini con redditi medio-bassi.

Secondo l'ex ministro del Lavoro il Governo deve piuttosto chiarire le sue "intenzioni sulle correzioni alla legge Fornero che va resa "più flessibile" in uscita". In questo senso - ricorda Damiano - la Commisione Lavoro della Camera dei Deputati ha riavviato il confronto sui diversi disegni di legge volti ad introdurre maggiore flessibilità nell'ordinamento previdenziale pubblico. Vogliamo ora sapere cosa ne pensa il Governo e per questa ragione l'esame sarà arricchito da un ciclo di audizioni informali con il presidente dell'Inps e con il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti" ha concluso Damiano.

Le pensioni Flessibili. Due le ipotesi sul tavolo della XI Commissione, entrambe promosse dalla minoranza dem. Da un lato il ddl 857 che, com'è noto, prevede uscite a partire dal perfezionamento di 62 anni e 35 anni di contributi (una sorta di quota 97) al prezzo, però, di una penalità dell'8% da applicarsi sulle quote retributive dell'assegno. Taglio che è destinato a ridursi del 2% per ogni anno sino ad azzerarsi al raggiungimento dell'età di 66 anni (in pratica la penalità sarebbe del 6% all'età di 63 anni; del 4% all'età di 64 anni e del 2% all'età di 65 anni. L'altra è quella sulla quota 100, il cui ddl è stato depositato proprio questa settimana, che consentirebbe il pensionamento a partire da 62 anni di età e 38 di contributi ma senza applicazione di alcuna decurtazione.

Lavoratrici. Tra le proposte all'esame della Commissione c'è anche la revisione dell'accesso al pensionamento di vecchiaia da parte delle lavoratrici con, peraltro, la possibilità di una proroga dell'opzione donna; delle agevolazioni contributive per le lavoratrici madri e della concessione di alcuni benefici previdenziali ai lavoratori che assistono familiari con disabilità. L'istruttoria legislativa sui provvedimenti è tuttavia ancora agli inizi e dovrà proseguire nelle prossime settimane.

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Zedde

Il ministro del lavoro preferisce un sussidio contro la povertà assoluta mentre giudica insostenibile per il bilancio pubblico il programma promosso dai pentastellati e da Sel. 

Kamsin No al reddito minimo generalizzato, sì ad un piano circoscritto contro la povertà che elimini le forme piu' gravi di disagio entro giugno. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti boccia la misura promossa dal Movimento 5 Stelle e da Sinistra Ecologia e Libertà in un'intervista rilasciata a Famiglia Cristiana. Non esiste dunque trattativa su una spesa da 17 miliardi di euro come prevedono i due ddl presentati da M5S e Sel ed attualmente in discussione presso la Commissione Lavoro del Senato.

Il programma del M5S. La misura del M5S si rivolge ad una platea di circa nove milioni di individui che si trovano in condizioni di rischio poiché vivono con un reddito non superiore ai 9.360 euro l’anno, ovvero i sei decimi del reddito mediano equivalente familiare. A costoro i M5S intendono concedere un sussidio mensile massimo di 780 euro per un singolo a reddito zero o di 1.014 euro per un genitore solo con un figlio minore o, ancora, di 1.638 euro per una coppia con due figli minori con un costo pari a 17 miliardi di euro. L’integrazione al reddito è condizionata però alla partecipazione dei beneficiari a progetti di inclusione a partire dall’iscrizione ai Centri per l’impiego, con l’esenzione delle persone anziane. La proposta pentastellata, pur con molti distinguo, non è lontanissima per dimensione da quella di reddito minimo garantito lanciata da Sel con un disegno di legge di iniziativa popolare.

Le coperture indicate dal M5S spaziano da tagli di spesa (3,5 miliardi alla Difesa; 4,5 miliardi sugli acquisti di beni e servizi della Pa) a una patrimoniale sulle grandi ricchezze mobiliari e immobiliari (fino a 4 miliardi), un aumento del prelievo sui giochi (600 milioni), la ridestinazione a questa misura dei fondi del 2 e 8 per mille e anche l’aumento delle imposte sulle grandi imprese del petrolio e del gas per 1,2 miliardi.

Il Programma delle Acli. Le proposte sono un pò piu' distanti dallo schema indicato prima dalle Acli e poi trasfuso in quello dell’Alleanza che prevede un reddito di inclusione sociale (Reis) indirizzato alle famiglie in povertà assoluta (circa 6 milioni di individui). Quest’ultima proposta prevede oneri per circa 7 miliardi a regime con un’introduzione graduale (1,5 miliardi il primo anno su un target pari al 37% dei poveri assoluti). Il Governo, da quanto si apprende, sarebbe piu' vicino a questa ipotesi che non alle prime due, perchè, avrebbe un costo minore e partirebbe dalla copertura delle condizioni piu' disagiate. L’obiettivo dell’esecutivo è proprio quello di agire sulla povertà assoluta, sui nullatenenti, e non anche su chi non arriva alla soglia di povertà relativa. Cioè a quel 10 per cento circa di italiani – al lordo di chi mente e non viene scovato – che non ha un euro e accumula all’estremo disagio economico povertà educative, sociali, sanitarie. 

Il piano al momento è nelle mani della direzione generale per l’inclusione e le politiche sociali del ministero. Il vertice della struttura, l’economista Raffaele Tangorra, ha sotto gli occhi decine di proiezioni. La più immediata e la più intuitiva è l'estensione della social card e del Sia, Sostegno per l’inclusione attiva, sistema sperimentato in 12 città italiane e che nel 2015 dovrebbe estendersi (ma l’iter è estremamente lento e ancora incompiuto) all’intero Meridione. Con le poche risorse di cui ha goduto il Sia (creato dal ministro Giovannini durante il governo Letta) si è riusciti a dare, nelle 12 città campione, 230 euro ad una famiglia con due persone e 400 a un nucleo con cinque persone. Nulla di risolutivo, evidentemente.

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