Pensioni

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Il Ministero della Funzione Pubblica fornisce ulteriori chiarimenti circa i periodi di contribuzione non utili ai fini della sterilizzazione delle penalità previste per l'accesso alla pensione anticipata entro il 31.12.2017 per i lavoratori che non hanno compiuto i 62 anni.

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Il Ministero della Funzione Pubblica, ha fornito ulteriori chiarimenti circa i periodi utili per evitare l'applicazione delle penalità previste nei pensionamenti anticipati con età anagrafiche inferiori a 62 anni ai sensi di quanto previsto dall'art. 6 - comma 2- quater del Dl 216/2011 convertito con legge 14/2012 e successive modifiche ed integrazioni.

Si ricorda infatti che dal 2014 il pensionamento, indipendente dall'età anagrafica, è pari a 41 anni e 6 mesi per le donne, 42 anni e 6 mesi per gli uomini e qualora la decorrenza della prestazione pensionistica dovesse avvenire prima che il soggetto abbia compiuto i 62 anni, le quote di pensione retributive in possesso dal soggetto al 31.12.2011 subirebbero un taglio dell'1% per ogni anno di anticipo e del 2% per ogni ulteriore anno rispetto ai 60 anni.

Con l'intervento del Dl 216/2011 tuttavia gli effetti della penalizzazione sono stati congelati sino al 31.12.2017 a condizione però, che la contribuzione risulti composta da versamenti effettivi da lavoro, da altri periodi figurativi quali l'astensione obbligatoria per maternità, l'assolvimento degli obblighi di leva, i periodi d'infortunio, di malattia e di Cigo, i giorni fruiti per la donazione di sangue e di emocomponenti, i congedi parentali di maternità e paternità previsti dal relativo testo unico e i congedi e i permessi di cui all'articolo 33 della legge 104/92.

L'Inps, con il messaggio 219/13, ha ritenuto utili anche i «periodi lavorativi riscattati» finalizzati alla costituzione di rendita vitalizia.

Secondo le precisazioni fornite dal Ministero, l'elencazione dei periodi indicati nell'art. 6 - comma 2 - quater del Dl 216/2011, ha carattere tassativo e pertanto nel concetto di prestazione effettiva di lavoro sembra potersi ritenere compreso l'insieme di tutti i periodi effettivamente lavorati, includendo solo gli istituti esplicitamente citati nella norma; fanno eccezione le ferie, in quanto istituto a fruizione obbligatoria per il lavoratore.

Secondo il Ministero restano esclusi dal concetto giuridico di prestazione effettiva, i periodi che si collocano al di fuori del rapporto di lavoro in quanto la disposizione fa espresso riferimento ai periodi d'astensione e, presuppone l'esistenza del rapporto lavorativo, nonché i periodi di anzianità maturati in virtù di norme speciali che accordano particolari benefici.

In altri termini, una maternità verificatasi al di fuori del rapporto di lavoro e richiesta in accredito figurativo ai sensi dell'articolo 25 del Dlgs 151/01, farebbe scattare la penalità; parimenti, il servizio militare reso quando il lavoratore non risultava assicurato in alcun attività.

Non possono essere utili ai fini del computo dei periodi da conteggiare come «prestazione effettiva di lavoro», tutti quei periodi inerenti la fruizione di istituti facoltativi per il dipendente non espressamente menzionati come ad esempio: la licenza matrimoniale, il congedo per cure termali, l'astensione dal lavoro per giorni di sciopero, nonché i periodi riscattati non connessi ad attività effettivamente resa come quelli relativi ai periodi di studio.

All'indomani della nota del Ministero del Lavoro che ha ristretto l'ambito di operatività della quarta salvaguardia, molti lavoratori si stanno vedendo rigettare l'istanza di accesso alle Direzioni Territoriali del Lavoro.

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Nello scorso mese di marzo molti lavoratori esodati che avevano presentato istanza per fare parte del contingente dei 6.500 cessati per risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro  di cui Dl 102/2013 (si tratta cioè di coloro che si sono dimessi o sono stati licenziati) si sono visti rigettare dalle DTL l'istanza per l'ammissione al beneficio.

Colpa in gran parte di una nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (Prot. 14954 del 5 Marzo 2014) che escluso dal beneficio i percettori "che risultino fruitori dell'indennità di mobilità, poiché rientranti in altra categoria di salvaguardati".

Secondo Bruno Palmieri del Patronato Inca-Cgil pertanto i "lavoratori che hanno fruito dell'indennità di mobilità non possono partecipare alla lotteria dei 6.500. Ad alcuni di questi la DTL dapprima ha accettato l'istanza poi, dopo la pubblicazione della nota del Ministero, l'ha revocata. E' un comportamento inaccettabile che denota la scarsa attenzione a questo tema sociale".  

Palmieri ricorda anche che questa salvaguardia ha dell'assurdo: "essendo tutelata solo la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, un lavoratore il cui contratto a termine sia scaduto alla sua data naturale non può farne parte. Ma se lo stesso lavoratore si fosse dimesso il giorno prima della scadenza risolvendo unilateralmente il rapporto, ne avrebbe avuto diritto."

Per quanto riguarda i 2.500 lavoratori in congedo tutelati ai sensi dell'art. 11 bis D.L. n. 102/2013, la nota ministeriale evidenzia anche la possibile applicazione della salvaguardia a coloro che benché autorizzati precedentemente, non hanno fruito nel corso del 2011, dei permessi di cui all'art. 33 - comma 3- della Legge n.104/92, nonchè la possibilità di concedere la salvaguardia anche ai lavoratori stessi portatori di handicap in situazione di gravità - categoria individuata dal comma 6 del medesimo art. 33 - Legge n. 104/1992.

A tal proposito la nota osserva che non sussistono motivi ostativi alla concessione del benefico a colui che ha usufruito dei permessi in questione, a prescindere che si tratti di un lavoratore che assiste un disabile o che sia esso stesso portatore di handicap.

La quota di pensione che consente di raggiungere il livello minimo non è esportabile da parte dei titolari che trasferiscono la propria residenza in uno stato dell'Unione europea.

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L'Inps con il messaggio n. 3770/2014, in risposta alle numerose richieste di chiarimenti sull'argomento da parte dei propri uffici periferici ha precisato che la quota di pensione che consente di raggiungere il livello minimo,  pari a 501,38 euro non è esportabile da parte dei titolari che trasferiscono la propria residenza in uno stato dell'Unione europea.

Attualmente infatti il calcolo della pensione con il sistema retributivo viene determinato sulla base del numero degli anni di contributi e della cosiddetta retribuzione pensionabile, ossia la media degli stipendi percepiti nell'ultimo periodo di lavoro (o degli ultimi redditi dichiarati al Fisco per i lavoratori autonomi).

L'importo della rendita risulta pari a un 2% della retribuzione pensionabile, per ogni anno di contributi. Quando l'importo calcolato sulla base della contribuzione effettivamente versata risulta inferiore a una certa cifra (il minimo stabilito dalla legge) si procede alla cosiddetta integrazione, che rappresenta quindi la differenza, a carico dello stato, tra la quota effettivamente maturata e la soglia stabilita.

Le condizioni richieste affinché scatti l'integrazione sono due: il richiedente la pensione non deve avere altri redditi Irpef di importo superiore al doppio del minimo; il reddito complessivo della coppia (pensionato e relativo coniuge) non deve superare l'importo annuo di 4 volte il minimo.

L'art.70 del regolamento (Ce) n. 883/2004 disciplina le «prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo» aventi caratteristiche sia  delle prestazioni assistenziali che di quelle previdenziali. Tali prestazioni, se elencate nell'allegato X del regolamento , sono inesportabili negli stati membri e, quindi, vengono erogate esclusivamente nel paese in cui gli interessati risiedono in base ai criteri previsti dalla legislazione di detto stato.

Pertanto, si legge nella nota, sono a carico dell'istituzione del luogo di residenza: gli assegni sociali, le rendite assistenziali, l'integrazione della pensione minima e le maggiorazioni sociali. Quindi i residenti in paesi entrati a far parte dell'Ue, titolari di pensione in regime nazionale o internazionale, che abbiano perfezionato i requisiti per l'attribuzione dell'integrazione al trattamento minimo prima dell'ingresso dello stato nell'Unione europea, mantengono anche dopo tale data il diritto al pagamento dell'integrazione, sempreché soddisfino i requisiti previsti dalla normativa di riferimento.

Al contrario, in applicazione del citato principio dell'inesportabilità, non potranno essere corrisposte integrazioni al trattamento minimo i cui requisiti, in particolare reddituali, si siano perfezionati in capo al titolare di pensione residente all'estero in data successiva all'ingresso dello stato nell'Unione.

Ai fini del mantenimento dell’integrazione al trattamento minimo, conclude la nota, non solo la decorrenza del trattamento pensionistico deve collocarsi anteriormente alla data di ingresso dello Stato nell’Unione europea, ma devono essere soddisfatte, prima di detta data, tutte le condizioni, previste dalla normativa nazionale, per l’attribuzione dell’integrazione al trattamento minimo.

Secondo il direttore generale dell'Inps, Mauro Nori, è possibile ricalcolare gli assegni oltre un determinato importo attraverso il sistema contributivo: 16 milioni i potenziali interessati ma per Nori si possono scegliere anche solo quelle piu' ricche.

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Secondo il Direttore Generale,  è possibile procedere al ricalcolo delle pensioni con il sistema contributivo. E' quanto ha affermato davanti alla commissione Lavoro di Montecitorio alcuni giorni fa presieduta dall'ex ministro del Welfare, Cesare Damiano. Nori ha detto che sarebbe possibile ricalcolare con il sistema contributivo tutte le pensioni in essere anche se la procedura è complessa e richiederà l'impiego di tutte le risorse umane e tecnologiche dell'Istituto. Insomma dovrà valerne la pena e dovrà esserci una precisa volontà politica.

La complessità deriva dal fatto che per i periodi antecedenti al 1995 per il pubblico impiego manca una banca dati unica in quanto ciascun ente procedeva al pagamento delle prestazioni in proprio. «Me se il governo o il Parlamento lo vorranno,» si potranno spostare risorse dell'Inps (personale e fondi), per elaborare uno studio statistico e scoprire quanto spetterebbe veramente ricalcolando con il contributivo e non piu' con il generoso sistema retributivo.

In pratica significa andare a spulciare oltre 16 milioni di singole posizioni di pensionati per colpire chi oggi percepisce un assegno piu' generoso rispetto ai contributi versati. Se è vero che per il settore privato il calcolo è semplice e fattibile, ha puntualizzato Nori, "siamo in grado di effettuare con sufficiente ottimismo il ricalcolo contributivo di tulle le pensioni", in quanto esiste una serie storica dei singoli versamenti, per il comparto pubblico si è sempre saputo che ciò fosse impossibile in quanto difficile ricostruire la carriera del lavoratore.

E' solo un'ipotesi, ci mancherebbe, ma è di quelle che potrebbero far accapponare la pelle a milioni di persone perchè, accertato che con il vecchio sistema retributivo (calcolato sugli ultimi 5 anni di attività), si incassa una pensione ben piu' generosa, passare al retributivo (solo versamenti effettivi e rendimenti cumulati), vorrebbe dire perdere una buona parte del trattamento.

A rischio, in realtà, non sarebbero tutti i 16 milioni di pensionati, ma solo quelli che percepiscono trattamenti piu' elevati (oltre i 7-8 mila al mese) per i quali il "bonus" pesa maggiormente ed il vantaggio è piu' indifendibile in un momento di crisi economica generale; sempre che un simile intervento, se approvato, possa passare indenne da un esame della Consulta.

Il sistema retributivo regala un bonus ai fortunati detentori di queste pensioni fino al 34%, che sale proporzionalmente all'aumentare della retribuzione. In pratica, oltre un terzo della pensione è regalata. Un bel vantaggio che tuttavia appare sempre piu' difficile politicamente da difendere in un periodo di vacche magre come quello odierno.

Secondo il dossier elaborato dal servizio studi della Camera per le pensioni dei lavoratori dipendenti privati maturate dopo il 2008 pari a 12 miliardi di spesa, almeno 3 miliardi non corrispondono ai contributi effettivamente pagati dai lavoratori. E' il prezzo del "regalo". Valori che tuttavia non tengono conto dei dipendenti pubblici per i quali anche la Camera ha dovuto arrendersi.

La riforma pensionistica del 2011 ha abolito il sistema delle pensioni di anzianità e delle quote e le finestre mobili. Ma i lavoratori salvaguardati continuano a dover fare i conti con il vecchio e problematico sistema di pensionamento.

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Sono tanti i quesiti dei lettori che ci chiedono quali sono le modalità di accesso alla pensione con specifico riguardo ai lavoratori salvaguardati. La stratificazione delle Riforme che si sono susseguite in questi ultimi anni ed un cantiere sempre aperto su questo tema infatti non fanno altro che alimentare incertezze e dubbi. Vediamo dunque in questo articolo di riassumere le modalità di pensionamento a cui sono soggetti.

Prima di tutto va fatta una premessa. Le regole riguardanti il pensionamento sono state modificate dal 1° Gennaio 2012 con la Riforma del Dl 201/2011 (che ha abolito le pensioni di anzianità e disapplicato le finestre mobili) ma gli oltre 130 mila lavoratori che sono rientrati o che rientreranno nella categoria dei "salvaguardati" nei prossimi tempi manterranno le vecchie regole, piu' favorevoli. Quelle vigenti sino al 31.12.2011. Si tratta dunque di una deroga, un'eccezione, che viene riconosciuta ai lavoratori che si trovano in condizione di fragilità economica e sociale. 

Gli interessati hanno infatti lasciato (o perso) il posto di lavoro prima del 31.12.2011; e per costoro l'allungamento dell'età pensionabile disposta con il Dl 201/2011 avrebbe comportato anni di vuoto economico insostenibile. Il beneficio tuttavia è riconosciuto non tout court ma solo in favore dei soggetti che, in base alle vecchie norme, erano piu' prossimi alla pensione (qui gli ulteriori dettagli sulle categorie ammesse in base a ciascuna salvaguardia).

Dato che in favore di questi soggetti rivive la vecchia disciplina pensionistica appare utile avere ben chiare le sue regole per comprendere quando si potrà andare in pensione.

Vediamo prima di tutto le regole per l'accesso alla pensione di anzianità per il periodo 2012-2019, termine entro il quale la maggior parte dei salvaguardati maturerà la pensione.

Dipendenti - La vecchia normativa vede il mantenimento delle cd. quote. Le quote sono determinate dalla somma dell'età del lavoratore e dei contributi maturati. Per i dipendenti pubblici e privati (uomini e donne) nel 2012 i requisiti da perfezionare sono quota "96" con un minimo di 60 anni e 35 di contributi. Quindi per accedere alla pensione di anzianità si possono far valere 60 anni e 36 anni di contributi oppure 61 anni e 35 anni di versamenti. Dal 1° gennaio del 2013 i requisiti si alzano di un anno e vengono anche adeguati alla stima di vita Istat (3 mesi).

Pertanto da questa data in poi, è necessario raggiungere quota "97,3", con un'età minima di 61 anni e 3 mesi ed almeno 35 di contributi. Dal 2016 in poi ci sarà un ulteriore adeguamento alla stima di vita Istat pari, è ancora una stima non ufficiale, a 4 mesi. Da questa data in poi sarà dunque necessario perfezionare quota 97,7 ed un'età minima di 61 anni e 7 mesi di età (oltre a 35 anni di contributi).

Ad esempio un lavoratore salvaguardato nato nel gennaio 1953 che può vantare 36 anni di contributi a gennaio 2014 maturerà i requisiti per la pensione di anzianità nell'Aprile 2014: per quella data avrà infatti 61 anni e 3 mesi di età e la somma età e contributi supererà quota 97,3 (36+61 e 3 mesi = 97,3). 

Gli autonomi - Le stesse regole valgono anche per artigiani, commercianti e agricoltori per i quali le quote sono però più alte (96, 97 e 98) e comportano un'età minima più alta di un anno. Quindi nel 2012 sono necessari 61 anni e quota 97 (ed almeno 35 di contributi); nel triennio 2013-2016 diventano "98,3" e 62 anni e 3 mesi di età; e dal 2016 salgono a "98,7" e 62 anni e 7 mesi di età.

Per tutto il periodo 2012-2019 resta sempre possibile accedere alla pensione di anzianità, indipendentemente dall'età anagrafica, con i 40 anni di contributi (2080 settimane), si tratta dei cd. "quarantisti" che possono pertanto accedere alla pensione anche con età inferiori a 60 anni e senza alcuna penalità a condizione però di aver raggiunto il solo requisito contributivo.

Il raggiungimento della quota per la pensione di anzianità è facilitato dal fatto che si tiene conto anche delle frazioni di età e di contribuzione, fermo restando che complessivamente quest'ultima non può essere inferiore a 35 anni. Supponiamo, tanto per fare un esempio, che un lavoratore dipendente possa far valere al 31 luglio 2012 60 anni e 6 mesi di età e una contribuzione di 35 anni e 6 mesi. In questo caso matura alla stessa data (31 luglio 2012 ) il requisito per la pensione di anzianità con la quota "96". Il conteggio sarà effettuato in modo tale da utilizzare anche le frazioni minime con arrotondamenti fino al terzo decimale sia dell'età che dell'anzianità contributiva. Per il raggiungimento di una determinata quota non si potrà utilizzare, però, la contribuzione figurativa per disoccupazione e malattia. Fermo restando che gli stessi periodi saranno considerati utili per maturare i 40 anni di contribuzione, sempre che senza di essi si raggiunga la soglia minima dei 35 anni.

Pensione di vecchiaia - Piu' semplici invece le regole per la pensione di vecchiaia. Gli uomini del settore privato e pubblico e le donne del settore pubblico accedono alla prestazione di vecchiaia con 65 anni e 20 di contributi dal 2012 che salgono a 65 anni e 3 mesi dal 2013 e passano a 65 anni e 7 mesi dal 2016. L'incremento è sempre legato alla stima di vita che com'è già detto è di 3 mesi nel 2013 e di 4 mesi nel 2016. Scalini molto piu' ripidi per le donne del settore privato che all'indomani dell'approvazione della legge 111/2011 avrebbero dovuto dal 2014 scontare il lento e progressivo adeguamento dell'età pensionabile a quella degli uomini. Questi infatti i requisiti per la vecchiaia: 60 anni nel 2012; 60 anni e 3 mesi nel 2013; 60 anni e 4 mesi nal 2014; 60 anni e 6 mesi nel 2015; 61 anni ed un mese nel 2016; 61 anni e 5 mesi nel 2017; 61 anni e 10 mesi nel 2018 e 62 anni e 8 mesi nel 2019.

Le finestre mobili - Con la vecchia disciplina restano in vigore anche le finestre mobili introdotte con il Dl 78/2010. Per i lavoratori dipendenti sono pari a 12 mesi dalla data di maturazione del requisito; per gli autonomi sono invece pari a 18 mesi. Ancora piu' lunghe quelle per i quarantisti che dal 2012 scontano un differimento di un mese, di due mesi dal 2013 e di tre mesi dal 2014.

La complessità della normativa previgente può essere chiarita dalle seguenti tabelle.

P. Anzianità (quote) Lavoratori dipendenti Lavoratori Autonomi
Anno Età* Contributi* Quota Età* Contributi* Quota
2011-2012 60 35 96 61 35 97
2013-2015 61 anni e 3 mesi 35 97,3 62 anni e 3mesi 35 98,3
2016-2018 61 anni e 7 mesi 35 97,7 62 anni e 7 mesi 35 98,7
dal 2019 61 anni e 11 mesi 35 98,1 62 anni e 11 mesi 35 99,1
Finestra 12 mesi 18 mesi

* Valori al di sotto dei quali non è possibile scendere. Cio' significa che la quota può essere raggiunta tramite la somma di 61 anni e 35 contributi oppure 60 anni e 36 contributi. Ma non tramite la somma di 59 anni e 37 o 62 anni e 34 di contributi.

Pensione di Anzianità (40 anni  di contributi)
Tipologia Requisito contributivo 2012-2019 Finestra 2012 Finestra 2013 Finestra 2014 in poi
Dipendenti 40 anni 13 mesi 14 mesi 15 mesi
Autonomi 40 anni 19 mesi 20 mesi 21 mesi

Pensione di vecchiaia Uomini e Donne Pubblico Impiego Donne settore Privato
2012 65 anni 60 anni
2013 65 anni e 3 mesi 60 anni e 3 mesi
2014 65 anni e 3 mesi 60 anni e 4 mesi
2015 65 anni e 3 mesi 60 anni e 6 mesi
2016 65 anni e 7 mesi 61 anni ed 1 mese
2017 65 anni e 7 mesi 61 anni e 5 mesi
2018 65 anni e 7 mesi 61 anni e 10 mesi
2019 65 anni e 11 mesi 62 anni e 8 mesi
Finestra 12 mesi

Ai pensionati che hanno utilizzato i canali telematici l'Inps chiederà via internet i dati relativi ai redditi 2013. Da luglio l'istituto invierà un sollecito su carta a chi non ha risposto.

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I pensionati che hanno già utilizzato il canale telematico Inps in passato potranno inviare all'istituto previdenziale, anche tramite i Caf e i professionisti abilitati, i documenti per effettuare la verifica dei requisiti reddituali o per le prestazioni assistenziali.

I pensionati destinatari di prestazioni collegate al reddito o assistenziali riceveranno infatti un messaggio di posta elettronica che li inviterà a comunicare, entro il 30 giugno, le informazioni relative ai redditi 2013 per certificare il possesso dei requisiti alla fruizione dei benefici. L'avviso interesserà coloro che l'anno scorso hanno trasmesso online la dichiarazione reddituale o di responsabilità.

Collegandosi al sito internet dell'Inps, sezione «servizi online», «servizi per il cittadino» l'interessato potrà accedere alla sezione del portale dedicata alle verifiche reddituali: dopo aver proceduto all'autenticazione potrà immediatamente comprendere se la sua posizione necessita di essere integrata con alcune informazioni. In tal caso l'Inps mediante un apposito modulo consentirà l'invio della documentazione richiesta.

Dal prossimo luglio inoltre, chi non avrà comunicato i dati tramite internet,riceverà su carta, la richiesta della presentazione delle dichiarazioni riguardanti la situazione reddituale o le prestazioni assistenziali con l'indicazione dell'ultimo termine utile entro cui fornire le informazioni. 

In mancanza di comunicazione delle informazioni entro i termini previsti, l'Inps è autorizzato a sospendere le prestazioni nel corso dell'anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere resa la dichiarazione, oltre all'obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite.

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