Sergey

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Mi occupo di diritto della previdenza e del lavoro. Mi sono laureato nel 1976 in Giurisprudenza alla Cattolica. Dal 1985 lavoro all'Inps.

Il ministro del lavoro preferisce un sussidio contro la povertà assoluta mentre giudica insostenibile per il bilancio pubblico il programma promosso dai pentastellati e da Sel. 

Kamsin No al reddito minimo generalizzato, sì ad un piano circoscritto contro la povertà che elimini le forme piu' gravi di disagio entro giugno. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti boccia la misura promossa dal Movimento 5 Stelle e da Sinistra Ecologia e Libertà in un'intervista rilasciata a Famiglia Cristiana. Non esiste dunque trattativa su una spesa da 17 miliardi di euro come prevedono i due ddl presentati da M5S e Sel ed attualmente in discussione presso la Commissione Lavoro del Senato.

Il programma del M5S. La misura del M5S si rivolge ad una platea di circa nove milioni di individui che si trovano in condizioni di rischio poiché vivono con un reddito non superiore ai 9.360 euro l’anno, ovvero i sei decimi del reddito mediano equivalente familiare. A costoro i M5S intendono concedere un sussidio mensile massimo di 780 euro per un singolo a reddito zero o di 1.014 euro per un genitore solo con un figlio minore o, ancora, di 1.638 euro per una coppia con due figli minori con un costo pari a 17 miliardi di euro. L’integrazione al reddito è condizionata però alla partecipazione dei beneficiari a progetti di inclusione a partire dall’iscrizione ai Centri per l’impiego, con l’esenzione delle persone anziane. La proposta pentastellata, pur con molti distinguo, non è lontanissima per dimensione da quella di reddito minimo garantito lanciata da Sel con un disegno di legge di iniziativa popolare.

Le coperture indicate dal M5S spaziano da tagli di spesa (3,5 miliardi alla Difesa; 4,5 miliardi sugli acquisti di beni e servizi della Pa) a una patrimoniale sulle grandi ricchezze mobiliari e immobiliari (fino a 4 miliardi), un aumento del prelievo sui giochi (600 milioni), la ridestinazione a questa misura dei fondi del 2 e 8 per mille e anche l’aumento delle imposte sulle grandi imprese del petrolio e del gas per 1,2 miliardi.

Il Programma delle Acli. Le proposte sono un pò piu' distanti dallo schema indicato prima dalle Acli e poi trasfuso in quello dell’Alleanza che prevede un reddito di inclusione sociale (Reis) indirizzato alle famiglie in povertà assoluta (circa 6 milioni di individui). Quest’ultima proposta prevede oneri per circa 7 miliardi a regime con un’introduzione graduale (1,5 miliardi il primo anno su un target pari al 37% dei poveri assoluti). Il Governo, da quanto si apprende, sarebbe piu' vicino a questa ipotesi che non alle prime due, perchè, avrebbe un costo minore e partirebbe dalla copertura delle condizioni piu' disagiate. L’obiettivo dell’esecutivo è proprio quello di agire sulla povertà assoluta, sui nullatenenti, e non anche su chi non arriva alla soglia di povertà relativa. Cioè a quel 10 per cento circa di italiani – al lordo di chi mente e non viene scovato – che non ha un euro e accumula all’estremo disagio economico povertà educative, sociali, sanitarie. 

Il piano al momento è nelle mani della direzione generale per l’inclusione e le politiche sociali del ministero. Il vertice della struttura, l’economista Raffaele Tangorra, ha sotto gli occhi decine di proiezioni. La più immediata e la più intuitiva è l'estensione della social card e del Sia, Sostegno per l’inclusione attiva, sistema sperimentato in 12 città italiane e che nel 2015 dovrebbe estendersi (ma l’iter è estremamente lento e ancora incompiuto) all’intero Meridione. Con le poche risorse di cui ha goduto il Sia (creato dal ministro Giovannini durante il governo Letta) si è riusciti a dare, nelle 12 città campione, 230 euro ad una famiglia con due persone e 400 a un nucleo con cinque persone. Nulla di risolutivo, evidentemente.

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Zedde

Il Presidente dell'Inps conferma: gli sgravi contributivi introdotti dalla legge di stabilità stanno aiutando la crescita del tempo indeterminato.

Kamsin Il dato sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato, anticipati ieri dal Ministro del Lavoro Giuliano Poletti e dal presidente dell'Inps Tito Boeri, conferma una crescita a doppia cifra. Nei primi due mesi del 2015 sono infatti 79 mila i contratti attivati, il 38,4% in più rispetto ai primi due mesi del 2014.

Un segnale che è stato subito ribadito dal premier Matteo Renzi come la conferma che l'Italia sta ripartendo. «E' solo l'inizio. Ci hanno detto di tutto in questi mesi, ma noi stiamo dando diritti a chi non ne ha mai avuti». La crescita a doppia cifra è quella degli assunti a tempo indeterminato che, nel solo mese di gennaio, sono cresciuti del 32,5% su base annua mentre per i giovani tra i 15 e i 29 anni i contratti stabili sono aumentati del 43,1%. La Cgia di Mestre ha ricordato ieri che la legge di stabilità 2015 prevede la creazione di 1 milione di nuovi contratti incentivati grazie alla decontribuzione triennale per i nuovi assunti.

I fattori chiave

Del resto sono molti i fattori che stanno contribuendo a invertire un ciclo economico fino a poche settimane fa disastroso. I più importanti sono esterni all'azione del governo e passano dall'immissione di liquidità monetaria della Banca centrale europea (quantitative easing) che sta facendo ripartire il credito e dall'allentamento del rigore sul debito pubblico da parte della
Commissione europea. A questo si aggiunge la riduzione del costo del petrolio e il miglior cambio euro-dollaro che favorisce le esportazioni. Detto questo, però, sarebbe un vero errore negare che almeno due azioni del Governo stanno contribuendo alla ripartenza dell'economia.

Oltre agli 80 euro al mese, l'intervento piu' significativo è la decontribuzione Inps per tre anni introdotta dalla Legge di Stabilità 2015 per chi assume a tempo indeterminato. Una norma, tuttavia, che durerà sino a fine anno salvo non si mettano nuovi denari con la prossima finanziaria. E non la sola molla. La possibilità appena diventata concreta di assumere con le regole del Jobs Act dovrebbe spingere molte altre imprese ad alimentare questo trend e fare nuovi investimenti. Ma anche il taglio sull'imponibile Irap della componente lavoro sta facendo la sua parte.

Poletti: non siamo in grado di chiarire se sono tutti contratti "nuovi"

Il dato ufficiale, comunque, è di quasi 80 mila posti di lavoro a tempo indeterminato nei primi due mesi, anche se i dati non chiariscono in che misura si tratti di contratti che stabilizzano rapporti precari (co.co.pro., partite Iva e contratti a tempo) e in che misura invece siano posti di lavoro nuovi, nati sull'onda dei tagli contributivi e fiscali. «Non siamo in grado di dire se questi contratti siano aggiuntivi o di conversione», ha detto Poletti.

Garanzia Giovani: aumentano gli iscritti

Ad andar bene è anche il piano Garanzia Giovani. Sono 476 mila i giovani, infatti, che si sono iscritti al programma europeo di avviamento al lavoro: di questi 234 mila «sono stati presi in carico dalle istituzioni» (i corsi sono gestiti dalle Regioni) mentre altri «49 mila hanno già avuto un'opportunità tra stage, servizio civile, tirocinio, lavoro o formazione», con un boom a febbraio del 43% di nuovi ingressi. I dati sono stati illustrati ieri dal ministro Paletti: «Se prosegue questo ritmo, entro dicembre si iscriveranno 800 mila giovani a fronte di risorse disponibili per 560 mila persone. La discussione è come troveremo i soldi per tutti», ha precisato il ministro.

seguifb

Zedde

Il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti conferma che gli assegni liquidati ante 2015 restano soggetti a vita al meccanismo della riduzione in assenza di ulteriori coperture.

Kamsin Qualora si vogliano eliminare le penalizzazioni sugli assegni anticipati liquidati prima del 1° gennaio 2015 il Parlamento dovrà individuare ulteriori risorse finanziarie. E' quanto ha indicato il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti ieri in Commissione Lavoro alla Camera dei deputati in risposta ad un'interrogazione sollevata dai deputati Fedriga e Prataviera (Ln). Niente da fare dunque per i 25mila pensionati che sono usciti tra il maggio 2013 ed il dicembre 2014 con la massima anzianità contributiva: la loro vicenda si potrà risolvere solo con un ulteriore intervento normativo che recuperi nuove risorse

La Vicenda. Com'è noto la Riforma Fornero, nell'ottica di un contenimento della spesa previdenziale, ha introdotto una penalizzazione per quei soggetti che accedono alla pensione anticipata ad un'età inferiore a 62 anni. Tale penalizzazione, in particolare, si sostanzia in una riduzione del trattamento pensionistico percepito, da applicarsi sulla quota relativa all'anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 2011.

Successivamente, l'articolo 6, comma 2-quater, del decreto-legge n. 216 del 2011 ha stabilito che la predetta penalizzazione non trova applicazione nei confronti di quei soggetti che maturano il previsto requisito contributivo per il diritto alla pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017, qualora l'anzianità contributiva ivi prevista derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro (piu' alcuni limitati e tassativi periodi di contribuzione figurativa). Da ultimo, l'articolo 1, comma 113, della legge n. 190 del 2014 ha stabilito che – sui trattamenti pensionistici decorrenti dal 1° gennaio 2015 – le penalizzazioni anzidette non trovano applicazione per quei soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017.

Poletti ricorda che ragioni di compatibilità finanziaria "hanno circoscritto gli effetti del predetto intervento normativo ai soli trattamenti pensionistici decorrenti dal 1o gennaio 2015; qualora, infatti, tale intervento avesse avuto effetti retroattivi, gli oneri finanziari sarebbero stati notevolmente più elevati. Pertanto, laddove si decidesse di effettuare un intervento normativo volto a estendere retroattivamente l'efficacia della norma in esame, o anche solo a sospendere le penalizzazioni per il triennio 2015-2017 nei riguardi di coloro che hanno avuto accesso al pensionamento anticipato entro il 31 dicembre 2014, ne conseguirebbero maggiori oneri per la finanza pubblica in relazione ai quali dovrebbe essere reperita la necessaria copertura finanziaria".

seguifb

Zedde

Secondo il Mef non ci sono le coperture per garantire l'assorbimento nell'alveo del lavoro subordinato delle collaborazioni a progetto a partire dal 1° gennaio 2016.

Kamsin Il decreto legislativo sul riordino dei contratti varato lo scorso 20 febbraio dal Consiglio dei ministri all'interno del Jobs Act potrebbe essere rivisto. I tecnici di Palazzo Chigi del Ministero del Lavoro stanno infatti approfondendo taluni aspetti legati alla norma (articolo 48 del decreto) che incentiva la trasformazione delle collaborazioni a progetto in contratti a tempo indeterminato in vista del superamento di questa forma contrattuale.

Secondo gli esperti si teme una rapida erosione degli 1,8 miliardi di euro messi sul piatto dalla legge di stabilità per finanziare la trasformazione dei contratti precari in assunzioni stabili, a tempo indeterminato. La legge di stabilità, infatti, riconosce uno sgravio contributivo triennale per chi assume a tempo indeterminato lavoratori precari nel corso del 2015. Ma non solo. Al Mef fanno presente anche che una volta assunti stabilmente a tempo indeterminato questi lavoratori usciranno per sempre dalla gestione separata e non verseranno quindi le "ricche" aliquote nella gestione (che com'è noto chiede il 27,72%). Ciò metterebbe a rischio i conti stessi del Fondo dei parasubordinati che attualmente costituisce una delle poche gestioni in positivo dell'Inps. Insomma un doppio effetto negativo per le casse dello stato che da un lato si troverebbero il venir meno della contribuzione nella gestione dedicata ai collaboratori a progetto e dall'altro dovrebbe coprire i contributi per almeno tre anni in favore degli stabilizzati nel 2015.

Secondo quanto si apprende da fonti di stampa i tecnici del MEF suggeriscono in particolare due correttivi al decreto legislativo che ancora non è stato trasmesso alle Commissioni Lavoro di Camera e Senato per l'acquisizione dei relativi pareri. Il primo riguarda l'esclusione espressa dalla stabilizzazione delle forme di collaborazioni continuative a progetto nel pubblico impiego, si tratterebbe di circa 20-25 mila contratti. L'altro correttivo potrebbe comportare l'esclusione dalla stabilizzazione per quanti risultano iscritti alla gestione separata non via esclusiva per non perdere il gettito di tale gestione.

seguifb

Zedde

E' quanto prevede un disegno di legge presentato ieri in Senato dagli Onorevoli Susta e Spillabotte (Pd). L'obiettivo è consentire un accesso anticipato ai lavoratori con almeno il 60% di invalidità.

Kamsin Riconoscere a decorrere dall’anno 2015 agli invalidi per qualsiasi causa, ai quali sia stata riconosciuta un’invalidità superiore al 60 per cento il diritto all’accesso al trattamento pensionistico in presenza di un’anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni e di un’età pari o superiore a 57 anni per i lavoratori dipendenti e a 58 anni per i lavoratori autonomi. E' quanto prevede il ddl 1808 depositato ieri in Senato da un gruppo di Senatori del Partito Democratico (il primo firmatario è l'onorevole Susta).

Il disegno di legge, che sarà assegnato alla Commissione Lavoro di Palazzo Madama, intende correggere una stortura creata dalla Riforma Fornero che ha equiparato, di fatto, i lavoratori invalidi ai fini pensionistici, ai lavoratori sani. La Riforma, scrivono i Senatori, non ha infatti adeguato la normativa alla realtà dei lavoratori invalidi che dovranno continuare a lavorare fino a 70 anni di età nonostante la loro condizione di salute.

Secondo i promotori "risulta sbagliato prevedere nei confronti dei lavoratori, portatori di un’invalidità superiore ad una certa soglia, la normale prosecuzione dell’attività lavorativa nonostante le loro precarie condizioni di salute, considerato inoltre che, fra l’altro, dopo tanti anni di lavoro questi risentono, in misura maggiore rispetto agli altri lavoratori, dell’usura derivante dallo svolgimento dell’attività lavorativa. Si tratta di persone sofferenti che improvvisamente hanno visto allontanarsi l’età pensionabile. Contro l’evidenza dei fatti ed il buon senso persiste e si acuisce la palese disparità di trattamento nei confronti di questi lavoratori svantaggiati per i quali non è prevista la possibilità di accedere ad un pensionamento anticipato".

A tal fine il disegno di legge, in cui tuttavia non c'è alcun cenno relativo ai costi e alle relative coperture, prevede per gli invalidi per qualsiasi causa, ai quali sia stata riconosciuta un’invalidità superiore al 60 per cento (stimabili in una platea di 250.000 lavoratori), la possibilità di accedere al pensionamento anticipato in presenza di un’anzianità contributiva pari o superiore ad anni trantacinque e di un’età pari o superiore a 57 anni per i lavoratori dipendenti ed a 58 anni per i lavoratori autonomi o con contribuzione mista.

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Zedde

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