Benigni: a Napoli tra Ulisse e Mose, ricordo Berlinguer e Troisi

Domenica, 08 Giugno 2014
- Napoli, 8 giu. - In un teatro di San Carlo che "i sondaggi lo davano vuoto, invece e' pieno", Roberto Benigni in dialogo con il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, dall'attualita' della corruzione dilagante al commosso ricorso di Enrico Berlinguer e Massimo Troisi. Bene 'Repubblica delle idee' al Massimo napoletano, tempio europeo dell'opera lirica, ma "l'anno prossimo a Venezia - dice Roberto ad Eugenio - che c'e' piu' movimento, tutti che lavorano, gente che scappa per strada e gente che li rincorre. Stanno costruendo una nuova grande opera, un carcere. Continua la grande tradizione italiana con grandi opere, l'Expo' di Greganti/Frigerio e il Mose di Galan/Orsoni". "Credo qui ieri abbiano dato 'Pagliacci'", gli fa da spalla il giornalista. "Ah bene, pagliacci", incalza il comico toscano. Che ammonisce ironico: "Carige, la giunta regionale a Torino, l'Expo a Milano...tutta malavita organizzata al Nord. State attenti che scende al Sud". Benigni e' un uragano sul palco, e Scalfari teme lo voglia prendere in braccio, "come hai fatto con Berlinguer", ricorda; ma non riesce a sottrarsi a un 'selfie'. "Con Scalfari, sarebbe uno 'scalfi' - si inventa Benigni - dai facciamoci uno scalfi, e' il primo nella storia". "L'ho detto, qui finisce male", risponde un rassegnato Scalfari dai tempi comici insospettabili. In apertura, Scalfari in piedi esplicita: "Voglio ricordare la morte di Enrico Berlinguer, trenta anni fa, la notte tra l'11 e il 12 giugno 1984, perche' fa parte non solo della storia del partito comunista che non c'e' piu' ma della storia della democrazia d'Italia". "Ero amico di Berlinguer - racconta - l'ho intervistato 5 o 6 volte. Nel 1981 mi disse che i partiti dovevano uscire dalle istituzioni che avevano occupato indebitamente. Una cosa che noi non abbiamo ancora realizzato. E nel '77, che i comunisti italiani non volevano nessuna dittatura, neppure quella del proletariato, volevano soltanto la democrazia. Ecco, questo e' il Berlinguer che vorrei ricordare". Il teatro, pieno fino ai loggioni, si alza in piedi e applaude a lungo. Ci pensa Benigni a rimettere tutto sul registro dell'ironia, dicendosi atterrito da un incontro con il giornalista. "Gli ultimi tre che ha visto - dice - sono Napolitano, Renzi e il Papa. Con il Papa hanno parlato di Dio, poi il Papa e' rimasto da solo e ha parlato con Dio di Scalfari". Scambio di cortesia reciproco. "Tu conosci la Dante, conosci la Costituzione, sai a memoria l'Inno di Mameli - spiega il gionalista al comico - potresti andare al Quirinale". Un gioco tra i due che durera' per un'ora e mezza, durante la quale Scalfari propone Benigni anche come premier, poi come "rettore della migliore universita' d'Italia" ("qui finisce che mi mandi a insegnare in una scuola di Secondigliano", replica l'attore) e infine Papa e poeta. Benigni ne ha per il Pd ("al 41,8%? ma come, non lo ha preso neanche alle primarie!", commenta le Europee (dove hanno vinto anche "partiti della paura che cercano di distruggere tutto"), mostra amor patrio ("Italia paese del miracolo perpetuo, resistiamo") e si scaglia contro i corruttori ("non e' difficile ingannare il prossimo, ma e' una cosa stupida e volgare"). Alla fine, dopo aver spiegato e recitato il XXVII canto dell'Inferno in cui Dante incontra Ulisse, Benigni conclude: "Vorrei raggruppare tutti i momenti di gioia che abbiamo avuto oggi e dedicarli al mio amico, Massimo Troisi". E il teatro in piedi tributa l'ennesimo lungo applauso a tutti, i due sul palco e i due evocati. .

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