Il contributo una tantum erogato dalle aziende a compensazione dei buoni pasto sospesi durante il Covid rientra nel reddito da lavoro dipendente. E quindi è soggetto a tassazione ordinaria. A spiegarlo è l’AdE in risposta all’interpello n. 377/2022 pubblicata ieri.
Ai sensi dell'art. 1, co. 870, L. n. 178/2020, in considerazione del periodo di emergenza epidemiologica da COVID-19, è possibile utilizzare i risparmi derivanti dai buoni pasto non erogati nel corso del 2020, previa certificazione da parte dei competenti organi di controllo, per finanziare nell'anno 2021, nell'ambito della contrattazione integrativa, in deroga alle vigenti norme sul contenimento dei fondi, i trattamenti economici accessori correlati alla performance e alle condizioni di lavoro, ovvero agli istituti del welfare integrativo
L’istante aveva alcune perplessità in merito al corretto trattamento fiscale da applicare a fini Irpef al contributo, che come specificato dallo stesso, consisterà in una quota di denaro una tantum nei confronti della generalità del personale, da liquidare in misura fissa ed uguale per tutti i dipendenti cui si applica l'accordo, indipendentemente dalla qualifica e dal livello professionale rivestiti nonché dalla fascia di reddito e/o dal numero dei componenti del nucleo familiare.
Secondo l’AdE, tuttavia, l’emolumento, pur derivando dal risparmio dei buoni pasto non erogati nel 2020, non conserva la natura di buono pasto, con la conseguenza che non può trovare applicazione l'art. 51, co. 2, lett. c), del Tuir secondo cui non concorrono alla formazione del reddito «le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino all'importo complessivo giornaliero di euro 4, aumentato a euro 8 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica».
Il contributo in denaro non sarebbe neppure riconducibile ad alle ipotesi di esclusione dal reddito di lavoro dipendente prevista per le iniziative di welfare né alle altre ipotesi di esclusione specificamente previste dall'articolo 51, commi 2 e seguenti del Tuir.
Per l'Ade, dunque, non ci sarebbe nessuna analogia tra i benefici previsti dalle iniziative di welfare e il contributo una tantum che l'ente intenderebbe erogare ai suoi dipendenti.
Per questo il contributo, al pari delle altre elargizioni in denaro percepite dai dipendenti in relazione al rapporto di lavoro, dovrà concorrere alla formazione del reddito di lavoro dipendente, ai sensi dell'articolo 51, comma 1, del Tuir.