Il requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto dall’articolo 20 della direttiva 2014/67/UE, in materia di distacco, deve ritenersi incondizionato e sufficientemente preciso da poter essere invocato da un singolo e applicato dalle autorità amministrative e dai giudici nazionali. Un postulato, quello enunciato dalla Corte nella sentenza dell’8 marzo 2022 relativa alla causa C-205/20, che prende le mosse da un caso sottoposto ad un Tribunale amministrativo austriaco che poi si è rivolto ai giudici europei.
La questione
Un’azienda slovacca aveva distaccato alcuni dipendenti presso un’altra azienda stabilita in Austria. Nel giugno del 2018, l’amministrazione austriaca aveva inflitto all’azienda una sanzione pari a 54.000 euro per non aver osservato alcuni obblighi relativi alla conservazione e messa a disposizione di documentazione salariale e previdenziale. Provvedimento sanzionatorio prontamente impugnato dalla società.
Nel corso del procedimento il giudice austriaco ha adito in via pregiudiziale la Corte di Giustizia UE interrogandola sulla conformità della disciplina austriaca in materia di distacco ai principi comunitari che impone sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive (art. 20 della direttiva 2014/67). Con l’ordinanza interpretativa del 19 dicembre 2019, la Corte ha sostanzialmente bocciato la legislazione austriaca considerando sproporzionate le sanzioni interne in quanto: a) non stabilivano un importo minimo prefissato; b) erano irrogate cumulativamente per ogni lavoratore senza un massimale; c) prevedevano un «contributo aggiuntivo» alle spese del procedimento pari al 20% del loro importo in caso di giudizio sfavorevole.
Siccome il legislatore austriaco non si è adeguato all’interpretazione della Corte Europea il Tribunale austriaco si è rivolto nuovamente alla Corte chiedendo, in estrema sintesi, se la direttiva recante il principio di proporzionalità così delineato fosse direttamente applicabile e se fossero i giudici nazionali a dover disapplicare la norma interna sproporzionata e a decidere secondo equità.
La Corte dà un riscontro positivo ad entrambe le questioni.
La decisione
Sul primo quesito, la Corte risponde positivamente. L’articolo 20 della direttiva 2014/67, quando esige che le sanzioni previste siano proporzionate, è dotato di effetto diretto e può essere richiamato dai singoli cittadini di fronte ai giudici nazionali nei confronti di uno Stato membro che l’abbia recepito in modo non corretto (come nel caso dell’Austria).
E viene accolta anche la seconda questione. Il principio del primato del diritto dell’Unione, come fonte normativa soprarazionale, impone – e non permette - ai giudici nazionali di disapplicare la norma sproporzionata. Nello specifico, il giudice può disapplicare norma austriaca nella parte contraria al requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto all’articolo 20 della direttiva 2014/67, per poi irrogare una sanzione proporzionata secondo i principi dell’Unione.
Poi, il fatto che la sanzione irrogata risulterà meno severa della sanzione prevista dalla normativa nazionale applicabile, aggiunge la corte, non potrà considerarsi in contrasto con i principi di certezza del diritto, di legalità dei reati e delle pene ed irretroattività del diritto penale.