Lavoro

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Nell'apprendistato professionalizzante, la formazione pubblica sarà una mera possibilità lasciata al datore di lavoro. 

Con l'approvazione del decreto legge Poletti (dl 34/2014) sono cambiate nuovamente le regole relative al contratto di apprendistato. L'articolo 2 del decreto legge interviene infatti sul testo unico dell'apprendistato di cui al decreto legislativo numero 167/2011 in diversi punti. Tra le principali novità viene abrogato l'obbligo della forma scritta del piano formativo individuale.

Secondo Giovanna Bernardi dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma la novità alleggerira' l'onere probatorio per il datore di lavoro. La Bernardi ricorda come il piano formativo individuale sia stato fino a oggi un elemento essenziale del contratto di apprendistato.

"Questo consisteva in un allegato al contratto che veniva redatto in forma scritta anche in base ai moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale mediante il quale veniva individuato il percorso formativo che l' apprendista doveva seguire.Il decreto legislativo 167 prevedeva che il piano formativo individuale doveva essere definito entro 30 giorni dalla conclusione del contratto di apprendistato. Ora però il decreto legge 34 ha abrogato l'obbligo di stipulare il piano formativo individuale in forma scritta. Di conseguenza si può ritenere che la formazione effettuata dell'apprendista possa essere provata anche mediante una semplice verifica in concreto della formazione svolta senza alcuna ulteriore formalità in capo al datore di lavoro."

L'altra novità che suscita molte perplessità agli addetti ai lavori è l'abrogazione di quella disposizione introdotta con la riforma della legge 92/2012 che aveva limitato la possibilità di assunzione di nuovi apprendisti alla circostanza che il datore di lavoro avesse confermato, al termine del periodo formativo, almeno il 50 per cento dei rapporti di apprendistato svolti nell'ultimo triennio (limite poi abbassato al 30 per cento fino al 2014).

Per molti infatti, l'abrogazione del vincolo può comportare il rischio di un abuso al ricorso di questa tipologia contrattuale. È vero tuttavia che il tentativo di stabilizzazione del rapporto di apprendistato, voluto con la riforma Fornero del 2012, aveva nei fatti fatto naufragare l'apprendistato in quanto eccessivamente oneroso e vincolante per il datore di lavoro.

Di grande novità invece è l'introduzione della modifica delle modalità di retribuzione degli apprendisti per la qualifica e per il conseguimento del diploma professionale. All'apprendista, per le ore in cui ha svolto formazione professionale, spetterà un equivalente retributivo pari al 35 per cento dell'intero monte ore di formazione.

Controversa poi la facoltizzazione, per il contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere, dell'obbligo di integrare la formazione professionalizzante dell'apprendista con offerta formativa pubblica. 

Con l'entrata in vigore del decreto legge Poletti viene meno la necessità di giustificare anche le proroghe dei contratti a termine.

È entrata in vigore la norma che elimina per tutti i rapporti a tempo determinato l'obbligo di indicare le esigenze di carattere tecnico organizzativo produttivo per le quali il datore di lavoro ha stipulato un contratto a tempo. È quanto ha stabilito il decreto legge Poletti dl 34/2014 entrato in vigore lo scorso 21 marzo.

La nuova normativa semplifica gli oneri delle imprese eliminando i dubbi interpretativi ed i vari contenziosi giudiziari che potevano derivare dall'apposizione di una causale non chiara.

Sappiamo tutti infatti quanto era difficoltoso per i datori giustificare quelle esigenze tecnico produttive che avevano indotto il datore ad apporre il termine al contratto. Esigenze spesso oscure o fittizie che esponevano il datore al rischio di essere portato in tribunale.

Dal 21 marzo quindi via libera alla semplificazione del contratto a tempo determinato. Il datore dovrà da questa data esclusivamente verificare se il rapporto di lavoro rispetta il massimo di durata prevista dalla legge, fissato in 36 mesi, e stabilire se rientra nei nuovi limiti quantitativi fissati dalla legge, pari al 20 per cento dell'organico (con alcune eccezioni individuabili nei contratti stipulati per esigenze di carattere sostitutivo oppure stagionale).

Insomma il datore dovrà effettuare una semplice operazione aritmetica per verificare che l'incidenza dei rapporti a termine, rispetto all'organico complessivo dei dipendenti dell'azienda, sia mantenuta al di sotto del 20%.

Il limite dei 36 mesi è comunque non assoluto in quanto restano ferme le norme individuate dal decreto legislativo 368/2001 che consentono alla contrattazione collettiva la facoltà di individuare un arco temporale più ampio. Anche il limite del 20 per cento dell'organico complessivo può essere derogato attraverso la contrattazione collettiva.

Viene modificata anche in maniera significativa la gestione delle proroghe del contratto. Infatti se fino a pochi giorni fa il datore poteva prorogare il contratto solo una volta e sempre che questa fosse dovuta a ragioni oggettive, dal 21 marzo la proroga diventa del tutto libera. Cioè non più condizionata alla sussistenza di alcuna ragione oggettiva. Inoltre  il numero delle proroghe ammesse sale fino ad 8 fermo restando l'obbligo di rispettare sempre il tetto massimo di 36 mesi.

Considerando che con la proroga non trovano applicazione gli stop and go, cioè gli intervalli minimi di tempo tra un contratto e l'altro, il datore potrà liberamente gestire il contratto articolandolo come meglio crede a seconda delle sue esigenze.

Il decreto legge Poletti non modifica invece la disciplina dei rinnovi che come sappiamo presuppongono, al contrario delle proroghe, la scadenza di un contratto precedente e la stipula di uno nuovo. In tal caso alla fine di un contratto a termine sarà possibile stipularne uno nuovo solo a condizione che sia trascorso un intervallo minimo di tempo pari a 10 o 20 giorni a seconda se il contratto scaduto avesse rispettivamente una durata inferiore o superiore a sei mesi.

L'articolo 5 del decreto legge 34/2014 in vigore dallo scorso 21 marzo stanzia nuove risorse per le aziende che ricorrono ai contratti di solidarietà difensivi. Si tratta di strumenti applicabili a quelle aziende i cui dipendenti accedono al trattamento di cassa integrazione straordinaria al fine di facilitarle per evitare gli esuberi.

In favore delle imprese che stipulano contratti di solidarietà accompagnati da cassa integrazione straordinaria, è infatti previsto uno sgravio contributivo per i lavoratori il cui orario viene ridotto di oltre il 20 per cento. 

Il beneficio si applica per un periodo massimo di 2 anni ed è articolato in modo diverso a seconda della ripartizione dell'orario di lavoro: maggiore è la riduzione delle ore lavorate, maggiore sarà lo sgravio contributivo).

Gli sgravi ammontano al 25 per cento della contribuzione che diventano 35 per cento laddove l'accordo disponga una riduzione dell'orario di lavoro maggiore del 30 per cento delle ore in origine lavorate.

I benefici vengono anche articolati in base alla locazione geografica dell'impresa che richiede l'attivazione dei contratti di solidarietà difensivi. Ad esempio nelle aree meridionali ad alta criticità individuate dalla CEE nelle regioni di Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia le riduzioni contributive salgono rispettivamente dal 25 al 30% e dal 35 al 40%.

La misura è subordinata alla presenza di risorse economiche nel Fondo per l'occupazione e dello sviluppo che il Ministero del lavoro provvede sulla base delle risorse recuperate la legge di stabilità, a finanziarlo. Fondo che ora, grazie al decreto Poletti, viene rifinanziato con 15 milioni di euro dal 2014.

Un decreto ministeriale Lavoro-Economia dovrà tuttavia stabilire i criteri per individuare le aziende che avranno diritto allo sgravio contributivo.

Il certificato sulla regolarità contributiva delle aziende sarà sempre consultabile via internet dalle imprese e dalle amministrazioni che vi abbiano interesse.

Tra le tante novità che sono entrate in vigore lo scorso 21 marzo con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legge Poletti, figura anche la dematerializzazione del DURC, il documento di regolarità contributiva delle aziende. 

Era questa una proposta da molti anni in cantiere e sostenuta da molte parti che dovrebbe consentire al documento unico di regolarità contributiva di essere visualizzato direttamente tramite il web da qualsiasi azienda ed amministrazione che ne abbia necessità.

In pratica l'amministrazione metterà a disposizione le banche dati del DURC che consentono di determinare se un determinato soggetto è in regola con i versamenti contributivi. Il tutto nell'ottica di migliorare e snellire gli adempimenti burocratici per le imprese e le amministrazioni pubbliche. 

Secondo quanto stabilito dall'articolo 4 del DL 34/2014 la visualizzazione della regolarità contributiva avverrà in tempo reale e riguarderà la posizione dei contribuenti rispetto ad Inps ed INAIL nonché dei versamenti presso la Cassa Edile per i datori di lavoro interessati.

È bene precisare tuttavia che la norma dell'articolo 4 non ha una attuazione immediata, ma richiede la pubblicazione di un regolamento interministeriale lavoro-economia che dovrà essere adottato sentito il parere di Inps ed INAIL entro 60 giorni dal 21 marzo 2014. Pertanto se ne parla per fine maggio.

Quando la regolamentazione sarà completa chiunque ne avrà interesse potrà verificare in tempo reale tramite il web la regolarità contributiva. 

L'esito dell'interrogazione avrà una validità di 120 giorni e le sue risultanze sostituiranno ad ogni effetto il vecchio DURC in tutti i casi in cui questo è previsto (ad eccezione delle ipotesi che potranno essere individuate dal decreto attuativo). 

Il DURC smaterializzato riguarderà i pagamenti scaduti sino all'ultimo giorno del secondo mese antecedente a quello in cui si effettua la verifica stessa sempre che sia scaduto anche il termine di presentazione delle relative denunce a carattere previdenziale.

Nel DURC smaterializzato saranno ricomprese sia la situazione dei lavoratori subordinati che dei collaboratori dell'impresa come i cocoPro. 

Attraverso la procedura telematica si potranno anche effettuare le necessarie verifiche disposte in materia di contratti pubblici; ad esempio potranno essere stabilite eventuali cause di esclusione dalle gare di affidamento, dalle concessioni di appalti e subappalti contro quei soggetti che abbiano commesso violazioni gravi, accertate in via definitiva, sulle norme in materia di contributi previdenziali ed assistenziali.

Dallo scorso 21 marzo i datori di lavoro dovranno solo prestare attenzione alla circostanza che il numero massimo dei contratti a termine rispettino il tetto massimo del 20 per cento del organico complessivo dei dipendenti impiegati in azienda. Le imprese pertanto dovranno verificare di non aver ancora superato in quel determinato momento la soglia massima del 20 per cento dell'organico complessivo prima di procedere alla stipula di un nuovo contratto a termine. 

Restano comunque esclusi dal tetto le imprese che occupano fino 5 dipendenti le quali potranno sempre stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.

Inoltre vengono mantenute le specifiche esclusioni di legge contenute dell'articolo 10 del D Lgs 368/2001 in favore di talune particolari situazioni meritevoli di una diversa regolamentazione. Si tratta in pratica dei contratti conclusi per l'avvio di attività di startup nei periodi indicati dai contratti nazionali, i contratti stagionali, i contratti stipulati per specifici spettacoli o programmi radiofonici e televisivi e contratti stipulati con lavoratori di età superiore a 55 anni.

Tra le varie problematiche che stanno riscontrando gli operatori del settore c'è quella relativa alla definizione della soglia dell' organico complessivo. La formulazione del termine non è del tutto chiara e può generare dubbi interpretativi. Secondo l'ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma la base di calcolo del 20 per cento deve essere riferita esclusivamente ai rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato in sintonia del resto con quanto prevedono i contratti nazionali di settore e come stabilito anche da diverse sentenze della giurisprudenza. 

Il decreto legge fa salvi gli eventuali limiti diversi previsti nei contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi in base al Dlgs 368/2001 e concede la possibilità di innalzare questo limite attraverso accordi sindacali.

La deroga in favore delle imprese di piccole dimensioni rischia di non essere applicabile agli studi professionali.

Le imprese di minori dimensioni, fino a 5 dipendenti, possono stipulare sempre un contratto a tempo determinato. È quanto previsto dal decreto legge Poletti (dl 34/2014) entrato in vigore lo scorso 21 marzo. La norma mira a salvaguardare le imprese minori per le quali l'applicazione del limite generale del 20 per cento di organico complessivo non avrebbe consentito altrimenti il ricorso al contratto a tempo determinato.

La nuova disciplina del contratto a tempo determinato ha infatti previsto un tetto massimo di dipendenti assunti con contratto a tempo determinato rispetto al totale degli addetti nell'impresa. Il limite è del 20 per cento. 
Vincolo che chiaramente non poteva essere rispettato per le imprese minori per le quali, se non fosse stata concessa una deroga, non avrebbero potuto assumere nessun collaboratore con contratto a tempo determinato; un'impresa con tre dipendenti infatti se ne avesse assunto un quarto con un contratto a tempo determinato avrebbe sforato immediatamente il tetto del 20%. 

Il Decreto Poletti ha quindi stabilito che le imprese di minori dimensioni, sino a 5 dipendenti, possono sempre assumere un collaboratore con contratto a tempo determinato in deroga al tetto legale.

La norma tuttavia fa riferimento esclusivamente alle imprese ed escluderebbe di fatto i soggetti non imprenditori come per esempio i professionisti, gli studi, le associazioni e fondazioni. Che, in assenza di un chiarimento da parte del Ministero del Lavoro, rischiano di non poter assumere alcun collaboratore a tempo determinato nel caso il loro organico sia inferiore a 5 dipendenti.

Si tratta questo di un punto sul quale l'Ordine dei consulenti del lavoro chiede, in sede di conversione in legge del provvedimento, di chiarire l'applicabilità della deroga anche nei confronti dei soggetti non imprenditori per scongiurare dubbi interpretativi e per evitare di discriminare ingiustamente i professionisti.

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