Rai: Giacomelli, contributo 150 mln e' punto che non si tocca

Giovedì, 05 Giugno 2014
- Roma, 5 giu. - Il contributo Rai dei 150 milioni e' "politicamente" da ritenersi "un punto che non si tocca". Lo dice Antonello Giacomelli, sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alle telecomunicazioni e frequenze, in un'intervista a RadioTv News (newsletter di Confindustria Radio Televisioni), preferendo quindi non commentare la lettera dell'Ebu al presidente Napolitano con cui si critica il prelievo dei 150 milioni e rilevando invece che ci sara' chi valutera' le ragioni della legittimita'. Per Giacomelli "la Rai deve contribuire con 150 milioni a una grande iniziativa di equita' promossa dal governo, cioe' i famosi 80 euro a milioni e milioni di persone e di famiglie perche' evidentemente di fronte alla situazione attuale il governo ha ritenuto centrale un segnale forte di attenzione e di fiducia che fosse, prima di tutto, una scelta politica". "Se tutti conveniamo sull'idea che occorra favorire una ripresa dei consumi incentivando una ripresa della fiducia, e' evidente - dice il sottosegretario - che l'unico sistema sono degli interventi di questo tipo. Quindi quello a cui la Rai, come ogni altro settore, deve concorrere, e' questo. lo mi meraviglio che a questo si risponda con certe obiezioni. Io non so se sia legittimo o meno ma se si pensa di rispondere a questa iniziativa del governo in questo modo vuol dire che una parte del mondo sindacale e una parte del mondo politico sono totalmente fuori sintonia rispetto al Paese". E aggiunge: "Io vorrei chiedere all'Usigrai se abbiano idea di quanto e' accaduto in questi anni in tutte le testate, in tutte le redazioni e in ogni azienda editoriale italiana. Non esiste un giornale, una televisione privata o nazionale che sia passata indenne dalla crisi. Quindi al di la' delle ragioni giuridiche che non tocca a me valutare perche' non sono il presidente della Corte costituzionale, politicamente io sono allibito che non si sia fatto sciopero negli anni passati di fronte a scelte, quelle si', che penalizzavano il servizio pubblico". Giacomelli sottolinea inoltre "noi non siamo i fautori della cultura per cui lo Stato ingessa o determina l'economia di mercato, anzi al contrario, noi pensiamo che lo Stato debba aiutare e supportare le risposte che il mercato da'. Tuttavia indichiamo una prospettiva, sia alle aziende che si misurano nel settore della comunicazione sia a chi lavora sui prodotti. Se noi non ci organizziamo in termini complessivi rischiamo di essere totalmente ininfluenti. E alla fine l'Italia rischia di essere solo un mercato di conquista. Penso alle grandi serie televisive che la rete veicola, penso alla forza di penetrazione di alcuni prodotti, penso alla capacita' di nuovi soggetti di eludere ogni rapporto con la cultura del nostro Paese. Allora rispetto a questo noi facciamo la nostra parte, cioe' quella delle regole, degli incentivi e dei supporti. Ma la parte vera la devono fare i protagonisti, cioe' le imprese. Per quello che ci riguarda c'e' un grande ruolo che puo' giocare Rai e noi abbiamo chiesto con forza che venga messo tra i primi obiettivi". Nell'intervista Giacomelli si sofferma anche sul calo del fatturato delle quattro piu' importanti tv del Paese. All'origine di cio "esistono piu' fattori. Sicuramente e' cambiato il contesto generale ma sono cambiate anche le modalita' in cui il prodotto televisivo viene consumato. Una crisi economica generale del Paese ha certamente costretto anche molte aziende a rivedere i loro progetti. C'e' poi un secondo aspetto che riguarda il cambiamento imposto dalle nuove tecnologie e dai nuovi soggetti: basti pensare alla crescita della raccolta pubblicitaria in Italia di un'azienda come Google". E a proposito del rapporto con i nuovi competitors rappresentati dai cosiddetti OTT, aziende di Internet che hanno meno vincoli e non devono sottostare a tutte quelle norme (diritto d'autore, tutela minori, licenze, privacy, etc..) cui sono sottoposte le tv, "noi abbiamo avuto un interessante incontro con Google, cosi' come con tutte le principali aziende del settore, nel corso del quale l'azienda ha ribadito di voler rispettare le regole europee. Se l'Europa vuole giocare da questo punto di vista un ruolo effettivo deve intanto trovare una univocita' di azione dal punto di vista della normativa fiscale e delle regole del settore. Io condivido l'idea di Matteo Renzi che se ogni Paese europeo producesse la sua normativa otterremmo solo un risultato sterile. La dimensione europea e' quella minima necessaria per cominciare ad interloquire con i cosiddetti over the top e anche con gli Stati Uniti. E questa e' la vera grande partita. Quindi a mio avviso lo sforzo del semestre italiano sara' quello di provare a fare sintesi fra i punti di vista dei diversi Paesi. Si tratta prima di tutto di una sfida culturale, non di un semplice problema normativo. Di fronte a questa sfida possiamo porci in due modi: in termini difensivi oppure accettando la sfida e misurandoci con essa. Io credo che dobbiamo scegliere questa seconda opzione e quindi cercare un terreno di interlocuzione nuovo in cui si creano norme comuni tra gli Stati europei". .

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