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Pensioni, La Consulta dichiara incostituzionale la Legge Fornero
La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo, per il biennio 2012-2013, il blocco della perequazione sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo INPS.
Kamsin Tutti gli assegni liquidati prima del 2012 e superiori a tre volte il trattamento minimo inps dovranno essere ricalcolati dall'Inps. Lo ha deciso oggi la Corte Costituzionale nella sentenza numero 70 con la quale i giudici hanno bocciato il blocco della perequazione delle pensioni per gli anni 2012 e 2013 stabilito dalla Legge Fornero.
Ad avviso dei giudici "l'interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio", afferma la Corte.
"La censura relativa al comma 25 dell'art. 24 del decreto legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico - dice ancora la sentenza - induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività".
"Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36 Costituzione) e l'adeguatezza (art. 38). Quest'ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà" (art. 2) e "al contempo attuazione del principio di eguaglianza", (art. 3).
Gli effetti sugli assegni. Come si ricorderà nel 2011 il Governo Monti, per fare cassa, aveva sospeso l'indicizzazione al costo della vita delle pensioni di importo mensile superiore a tre volte il trattamento minimo INPS (circa 1.400 euro mensile al lordo delle ritenute fiscali) per tutto il biennio 2012-2013. La misura ha determinato un progressivo impoverimento degli assegni dato che, com'è noto, gli effetti non sono limitati ai soli anni in cui opera il blocco, ma anche per il futuro.
Deve rammentarsi - si legge nella sentenza - che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull'ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato".
La decisione farà ora sentire il suo peso sulle casse pubbliche dato che, secondo le stime dell'Avvocatura dello Stato, fornite in occasione dell'udienza pubblica, ammonterebbero a circa 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 miliardi per il 2013 i denari risparmiati dallo stato dal blocco degli assegni.
La tabella seguente mostra quanto potere di acquisto hanno lasciato sul campo gli assegni superiori a 3 volte il minimo inps rispetto alla disciplina vigente sino al 2011 (si noti che la causa della perdita non è solo data dalla mancata rivalutazione del biennio 2012-2013 ma anche dalla riduzione dell'indice di perequazione da attribuire per gli assegni superiori a 4 volte il minimo come stabilito dalla legge 147/2013).
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Zedde
Statali, Le assenze per visite mediche non possono ridurre le ferie
Una sentenza del Tar riconosce piena specificità ai permessi legati all'effettuazione di visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici.
Kamsin I permessi che il contratto nazionale di lavoro ha stabilito per motivi personali o di famiglia, così come i permessi brevi per malattia o le ferie, non devono essere obbligatoriamente utilizzati per giustificare assenze del lavoratore per effettuare visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici. E' quanto ha affermato la sentenza del TAR numero 5714 dello scorso 17 aprile 2015 con la quale i giudici amministrativi sostanzialmente accolgono un ricorso presentato dalla Cgil.
La vicenda verteva sulla corretta interpretazione del comma 5 ter dell'articolo 55 septies del D.Lgs 165/2011 con il quale è stata riconosciuta la possibilità di fruire di permessi retribuiti nel caso in cui l'assenza per malattia abbia luogo per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche o esami diagnostici. Il ministero della Funzione pubblica, con la circolare 2 del 17 febbraio 2014, nel riconoscere tale novella, tuttavia, aveva fatto rientrare tali permessi nei limiti quantitativi previsti dalla legge e regolati dai contratti collettivi di lavoro per le altre tipologie di permesso come i permessi per motivi personali, per le malattie brevi ed, infine, alle ferie comprimendo, nei fatti, i periodi di fruizione di tali periodi per il lavoratore.
La sentenza del Tar riconosce invece piena specificità ai permessi legati all'effettuazione di visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici. Che dunque possono essere fruiti senza dover comprimere i periodi di permesso riconosciuti da altre norme di legge o dai contratti collettivi di lavoro come quelli per i motivi personali o di famiglia, i permessi brevi ed ancora le ferie.
"Si tratta di permessi aggiuntivi - ricordano dal sindacato - così come sono aggiuntivi altri permessi previsti da specifiche norme di legge come quelli per la donazione del sangue. Nell'accordo quadro da stipulare all'Aran si stabilirà se tali permessi andranno computati nel limite massimo di comporto della malattia o meno ma certamente a nostro avviso non possono essere sottoposti alla decurtazione di legge previste in caso di malattia breve" concludono dalla Cgil.
"Questa sentenza rende nulli anche tutti gli atti compiuti dall’amministrazione, in attuazione della circolare 2, laddove avessero “trasformato d’ufficio” le richieste di assenze per malattia da parte dei lavoratori in permessi retribuiti per motivi familiari o in permessi brevi per malattia, o in ferie, compromettendo di fatto la possibilità di fruizione di questi permessi per gli scopi previsti nel contratto stesso" concludono dalla Cgil.
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Zedde
Pensioni, Parte domani l'operazione busta arancione
Sarà avviata domani l'operazione busta arancione. Coinvolgerà all'inizio 3 milioni di under 40 iscritti tra le gestioni autonomi, parasubordinati fondo lavoratori dipendenti.
Kamsin Parte l'operazione trasparenza dell'Inps sulle pensioni. I primi a poter conoscere l'entità della propria prestazione pensionistica saranno tre milioni di lavoratori under 40 autonomi, coltivatori diretti, iscritti alla gestione separata o al fondo lavoratori dipendenti. La simulazione sarà resa disponibile attraverso un documento interattivo consultabile tramite il sito dell'Inps previo accesso attraverso l'apposito pin dispositivo.
Attenzione però ai risultati. Il trattamento pensionistico futuro viene infatti stimato in base a dei parametri di massima la cui attendibilità diminuisce al crescere della distanza alla pensione. Paradossalmente, quindi, sono proprio questi lavoratori a rischiare di avere un calcolo poco accurato. L'Inps ha preso come riferimento per la crescita del paese le stime sul Pil contenute nel Def, il Documento di economia e finanza, con fattori che potranno essere comunque modificati dall'utente. Il lavoratore riceverà quindi una fotografia nella quale verrà indicata l'età approssimativa della pensione di vecchiaia, la previsione dell'ultimo stipendio prima del ritiro dal lavoro, l'ammontare dell'assegno segno ed il tasso di sostituzione. Chi non ha il pin, in autunno, troverà la documentazione necessaria ad accedere nella propria casella di posta.
La seconda parte del dell'operazione sarà avviata a giugno e coinvolgerà la platea dei cinquantenni per poi concludersi verso fine anno inglobando coloro che sono prossimi all'età pensionabile. Tempi più lunghi invece per i lavoratori pubblici per i quali l'Inps ha da poco assorbito l'ex Inpdap.
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Zedde
Riforma Pensioni, Il Senato approva la staffetta generazionale nelle Pa. Ecco la misura
E' stato approvato nella Delega sulla Pa l'emendamento proposto da Hans Berger sul ricambio generazionale mediante la riduzione su base volontaria e non revocabile dei lavoratori prossimi al pensionamento.
Kamsin Il Senato ha approvato la staffetta generazionale nelle pubbliche amministrazioni. E' passato ieri all'esame dell'Aula l'emendamento a firma dell'Onorevole Hans Berger all'articolo 12 del disegno di legge delega sulla Riforma della Pubblica Amministrazione (numero 12.336 nel testo riformulato dal Senatore).
La misura consentirà, su base volontaria, ai dipendenti pubblici prossimi all'età pensionabile di chiedere il part-time con riduzione della base oraria di lavoro e della relativa retribuzione per far posto ai giovani. "Si tratta di una strada facoltativa, un'opzione, ricorda il relatore al provvedimento, Giorgio Pagliari (Pd), che ha espresso parere favorevole alla novella, "in quanto non comporta nuovi oneri per lo stato".
Scegliere questa strada, che non sarà revocabile una volta intrapresa, tuttavia avrà un costo non indifferente. Chi opterà per il part-time, oltre ad una riduzione di stipendio, dovrà infatti mettere mano al portafogli per versare la differenza dei contributi tra il part time ed il tempo pieno. L'emendamento infatti recita che il versamento del differenziale della contribuzione tra il tempo parziale e quello pieno sia garantito "attraverso la contribuzione volontaria ad integrazione ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 564 del 1996, con la possibilità di conseguire l'invarianza della contribuzione previdenziale".
In altri termini il dipendente che opti per la staffetta generazionale sarà costretto ad integrarsi i contributi mancanti tramite il riscatto o la prosecuzione volontaria al pari di quanto accade nel settore privato. Un esborso che, a ben vedere, rischia di non far decollare la misura dato che un dipendente pubblico che guadagna 1800 euro netti al mese, oltre al dimezzamento dello stipendio, sarebbe chiamato a versare circa 250 euro al mese all'Inps.
Berger precisa però come non fosse percorribile altra strada: "abbiamo dovuto riformulare l'emendamento perchè altrimenti non sarebbe passato. In occasione dei lavori in Commissione - ricorda il Senatore - avevamo indicato che il versamento del differenziale di contribuzione fosse a carico dell'amministrazione pubblica ma la Ragioneria dello Stato lo ha bocciato. Questo differenziale ora è carico del lavoratore che lo verserà alle stesse condizioni previste per i lavoratori del settore privato."
L'emendamento prevede "la facoltà, per le amministrazioni pubbliche, di promuovere il ricambio generazionale mediante la riduzione su base volontaria e non revocabile dell'orario di lavoro e della retribuzione del personale in procinto di essere collocato a riposo, garantendo, attraverso la contribuzione volontaria ad integrazione ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 564 del 1996, la possibilità di conseguire l'invarianza della contribuzione previdenziale, consentendo nel contempo, nei limiti delle risorse effettivamente accertate a seguito della conseguente minore spesa per redditi, l'assunzione anticipata di nuovo personale, nel rispetto della normativa vigente in materia di vincoli assunzionali. Il ricambio generazionale di cui alla presente lettera, non deve comunque determinare nuovi o maggiori oneri a carico degli enti previdenziali e delle amministrazioni pubbliche".
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Dis-Coll, domande in forma cartacea sino all'11 maggio
La nuova prestazione opererà però in via sperimentale solo per il 2015 anche se il Governo lavora ad una sua estensione. Le Domande dovranno essere presentate entro il 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Kamsin I co.co.co. che hanno perso il lavoro prima del 27 Aprile 2015 avranno tempo sino al prossimo 4 luglio per presentare domanda per ottenere la nuova dis-coll, l'indennità di disoccupazione per i parasubordinati introdotta dall'articolo 15 del Dlgs 22/2015. Per le cessazioni successive al 27 aprile, le richieste andranno invece presentate entro 68 giorni dalla data fine del rapporto di lavoro.
Lo spiega l'Inps nella circolare n. 83 con cui detta le istruzioni operative alla nuova prestazione del Jobs Act. Fino all'11 maggio la domanda è accettata su carta o per Pec (Posta elettronica certificata) con un apposito modulo disponibile sul sito internet dell'Inps; da tale data si presenterà, invece, solo per via telematica. La nuova prestazione opererà in via sperimentale un solo anno: il 2015. Almeno per ora in attesa che il Governo individui i fondi per la sua proroga.
I requisiti. Per evento di disoccupazione, precisa l'Inps, deve intendersi l'evento di «cessazione dal lavoro che ha comportato lo stato di disoccupazione». La prestazione spetta in presenza dei seguenti requisiti: stato di disoccupazione al momento della domanda di prestazione; tre mesi almeno di contributi tra il 1° gennaio 2014 e il giorno di perdita dell'occupazione; un mese di contributi oppure un rapporto di collaborazione di durata pari almeno a un mese e che abbia dato luogo a un reddito almeno pari alla metà dell'importo che dà diritto all'accredito di un mese di contribuzione nell'anno 2015 (cioè 647,83 euro).
Relativamente al primo requisito, l'Inps precisa che ai sensi dell'art. 2, comma 1 del dlgs n. 181/2000, lo status di disoccupato va comprovato dalla presentazione del lavoratore presso il servizio competente o per mezzo dell'invio, tramite Pec, della dichiarazione d'immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa. Tuttavia, come già previsto ai fini Aspi, l'Inps stabilisce che anche i collaboratori potranno rilasciare direttamente alle sedi territoriali la dichiarazione d'immediata disponibilità al lavoro al momento della presentazione della domanda di DisColl.
Per quanto riguarda l'importo si ricorda che la Dis-Coll è pari al 75% del reddito medio mensile del collaboratore. Quando tale reddito risulti superiore a 1.195, è pari al 75% di tale importo più il 25% dell'eccedenza ma l'indennità non può superare l'importo massimo mensile di 1.300 euro. La Dis-Coll è corrisposta mensilmente per un periodo pari alta metà dei mesi di durata del rapporto o dei rapporti di collaborazione tra il 1° gennaio 2014 e il giorno di cessazione dal lavoro e non può superare comunque i 6 mesi.
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Pensioni, la settima salvaguardia salva altri 26mila esodati
Il disegno di legge sulla settima salvaguardia consente ad ulteriori 26mila lavoratori di accedere alla pensione in deroga ai requisiti Fornero
Kamsin Proroga al 6 gennaio 2017 dei termini per maturare la decorrenza della prestazione pensionistica determinata con le vecchie regole ed estensione della salvaguardia ai lavoratori titolari dell'indennità edile e a coloro che non hanno potuto siglare accordi con il datore di lavoro in quanto falliti. Sono questi i punti cardine del disegno di legge sulla settima salvaguardia (ddl 2958) presentato dagli Onorevoli Gnecchi e Damiano (Pd) ed assegnato da ieri alla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati.
I Profili. Il provvedimento si rivolge a tutti i profili già salvaguardati con la legge 147/2014 (si veda tabella) allungando di fatto di un anno il termine per la maturazione della decorrenza della pensione, cioè comprensiva della finestra mobile, che passa per l'appunto dal 6 gennaio 2016 al 6 gennaio 2017.
Per centrare questo vincolo è quindi necessario raggiungere i vecchi 40 anni di contributi entro il 30 settembre 2015 (perchè c'è una finestra di 15 mesi) oppure i 61 anni e 3 mesi di età unitamente al quorum 97,3 con almeno 35 anni di contributi entro il 31 Dicembre 2015. O ancora 65 anni e 3 mesi di età unitamente ad almeno 20 anni di contributi sempre entro il 31 Dicembre 2015.
Le lavoratrici del settore privato possono altresì partecipare a condizione di aver raggiunto 60 anni e 6 mesi di età e 20 di contributi entro il 31 dicembre 2015 (che sono in pratica i vecchi requisiti per il trattamento di vecchiaia). Mentre, nel comparto scuola o afam, tutti i requisiti suddetti possono essere conseguiti entro il 31 dicembre 2015.
La ripartizione dei posti vede protagonisti gli autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione (12mila nuovi posti) e i lavoratori che hanno firmato accordi individuali o collettivi con il datore o che sono stati licenziati (6.000 posti). 2mila sono invece i posti assegnati ai lavoratori in congedo al 2011 per assistere disabili e 1.000 quelli per i lavoratori cessati con contratti a tempo determinato (tra cui vengono però espressamente ricompresi gli agricoli a tempo determinato e i somministrati con contratto a tempo determinato).
Lavoratori in Mobilità. A questi si aggiungono ulteriori 5mila posti per i lavoratori in mobilità che vedono sostanzialmente sparire il paletto della necessaria cessazione dell'attività lavorativa al 30 settembre 2012. In questo gruppo vengono poi inseriti i lavoratori che non hanno potuto siglare accordi per la mobilità a causa del fallimento delle rispettive aziende e quelli provenienti dalle eccedenze occupazionali delle imprese del settore edile.
Chi si riconosce in questo profilo, per partecipare alla salvaguardia, deve raggiungere un diritto a pensione, sempre secondo le vecchie regole pensionistiche, entro la fine dell'indennità di mobilità (o del trattamento edile) oppure entro i successivi 12 mesi dalla scadenza della stessa. Nei loro confronti il disegno di legge sterilizza inoltre l'applicazione della stima di vita con la conseguenza di rendere piu' agevole l'ingresso in salvaguardia.
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Zedde
Riforma Pensioni, Poletti: pronti a correttivi in legge di stabilità
L'allungamento dell'età pensionabile fatta con la riforma Fornero sicuramente ha salvato i conti pubblici e continua a farlo, ma è anche una delle cause della difficoltà dei giovani a trovare occupazione. Kamsin Lo riconosce, in una nota, Giuliano Poletti, Ministro del lavoro, che conferma la necessità di intervenire sulla legge Fornero per attenuarne alcune rigidità. E proprio la "madre" della riforma tanto contestata, ieri, nel corso della trasmissione DiMartedì, non si dice contraria ad «aggiustamenti» in questa direzione a patto che non si applichi una controriforma, per la quale lei stessa non crede esistano comunque «ne la volontà ne lo spazio» di manovra.
«Il fatto che si sia allungato il periodo per il pensionamento è stato un cambiamento forte e l'innalzamento della disoccupazione giovanile ha una causa in questo — ammette Poletti —. Sappiamo tutti perché ci siamo arrivati e non possiamo cancellarla con un colpo di spugna, dobbiamo cercare soluzioni per gestire la transizione, che siano staffette generazionali o flessibilità in uscita, ma dobbiamo ricostruire un equilibrio». «Siamo a conoscenza delle proposte a cui sta lavorando la Commissione Lavoro (della Camera, ndr), e il nostro obiettivo è arrivare ad una proposta strutturale entro l'estate in modo da poterla inserire all'interno del veicolo della legge di stabilità».
I correttivi servono sostiene Poletti, perché non si può solo agire per risparmiare, ma occorre anche investire sul futuro, sui giovani e allora bisogna pensare a strumenti correttivi: «qualsiasi sistema se mancano ragazzi di 20 anni o 25 non funziona nella stessa maniera — suggerisce il responsabile del Welfare —. Servono tutte le generazioni. Questa transizione va gestita, per quello che ci compete a livello pubblico cerchiamo di farlo, accompagnando chi ha scelto strumenti di accompagnamento più forti come avvenuto nel settore del credito».
Equilibrio che secondo Fornero dovrebbe anche guardare, nonostante la Consulta abbia detto già di no, ad un contributo di solidarietà per le pensioni più alte, corrisposte con il contributo di persone che lavorano guadagnando molto di meno dei pensionati d'oro. Insomma non si dovrebbe equiparare reddito da lavoro e pensione. Con il contributo di solidarietà, inoltre, poi si potrebbero anche coprire alcune necessità di quei segmenti di lavoratori rimasti penalizzati dal passaggio al sistema di calcolo contributivo per l'assegno di vecchiaia. Il problema esiste ed e urgente, a prescindere dagli attacchi giustificati o meno alla riforma previdenziale, ai quali Fornero non è «insensibile, ovvio che mi pesino».
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Zedde
Naspi 2015, Ecco chi guadagna e chi perde dal nuovo sostegno contro la disoccupazione
La nuova disciplina troverà applicazione con riferimento ai contratti di lavoro interrotti dal 30 aprile 2015 (ossia, ultimo giorno giuridico del rapporto).
Kamsin Il prossimo 1° maggio sarà la data spartiacque tra Aspi e Naspi. I lavoratori che hanno perso il posto di lavoro entro il 30 Aprile continueranno a fruire del regime Aspi e Mini-Aspi regolato dalla legge 92/2012, mentre chi perderà il posto di lavoro "involontariamente" dal 1° maggio in poi sarà soggetto alla nuova assicuazione sociale per l'impiego come coniata dal decreto di Riforma degli ammortizzatori sociali (Dlgs 22/2015).
La Naspi, infatti, sostituirà, per gli eventi di disoccupazione decorrenti dal 1° maggio 2015, i trattamenti oggi riconosciuti ai lavoratori dipendenti ovvero Aspi e mini Aspi, i quali potranno quindi operare solo sino alle cessazioni intervenute alla fine di aprile 2015. Le due prestazioni coesisteranno dunque nel 2015 e nel 2016 in attesa che la Naspi prenda definitivamente il posto del vecchio regime.
Le Differenze. La durata della Naspi sarà tuttavia, a differenza dell'Aspi, pari alla metà delle settimane di contribuzione contro la disoccupazione negli ultimi 4 anni. In pratica il nuovo regime potrà coprire sino a 24 mesi (dal 2017 però si passa ad un massimo di 18 mesi) contro i 10, 12 o 16 mesi (a seconda dell'età del lavoratore) indennizzabili dal regime Aspi. E' facile osservare che la durata massima potrà essere centrata solo dai lavoratori con un rapporto di lavoro stabile e duraturo alle spalle, ossia che dura da almeno 4 anni, e che si trovano di fronte al primo evento di disoccupazione.
Il passaggio al nuovo regime penalizzerà, invece, quei lavoratori con carriere discontinue e gli stagionali. Se con l'Aspi questi lavoratori potevano ottenere un sostegno variabile da 10 mesi a 16 mesi per mantenere la medesima durata la Naspi chiede loro tra i 20 e i 36 mesi di contribuzione contro la disoccupazione negli ultimi quattro anni. In caso contrario la durata dell'ammortizzatore risulterà piu' breve. Ad esempio uno stagionale che lavora 6 mesi l'anno potrà contare, a regime, su un assegno Naspi di soli 3 mesi mentre nel regime Aspi, avrebbe potuto coprire totalmente i restanti 6 mesi dell'anno e quindi ritornare sul lavoro.
Rispetto all'Aspi la Naspi non richiede inoltre piu' le due annualità di anzianità assicurativa e sostituisce l'anno di contribuzione nel biennio precedente il periodo di disoccupazione con un requisito piu' agevole pari ad almeno 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi antecedenti la disoccupazione.
Piu' favorevole alla Naspi il confronto con la Mini-Aspi, l'ammortizzatore sociale che spetta a quei lavoratori che non hanno i requisiti per accedere all'Aspi e che anch'esso andrà in soffitta dal 1° maggio. Le condizioni di accesso alla Naspi risultano, infatti, meno restrittive in quanto le 13 settimane di accredito contributivo vengono ricercate nelle ultime quattro annualità e non negli ultimi 12 mesi come previsto per l'accesso alla mini Aspi.
Rimanendo sempre nell'ambito del diritto alla prestazione, l'art. 8 del dlgs 22/2015 rende strutturali le misure inerenti all'anticipo dell'indennità in un'unica soluzione al fine di avviare una attività di lavoro autonomo o di impresa individuale o per associarsi in cooperativa, cosa che nel precedente impianto normativo (cfr. art. 2, comma 19, legge 92/2012, dm 73380/2013) era prevista in via sperimentale fino al 2015.
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Riforma Pensioni, l'ex ministro Fornero: possibili solo aggiustamenti. No a controriforma
La flessibilità può essere considerata uno degli aggiustamenti possibili purchè si tenga conto dell'invecchiamento demografico. Inevitabile, secondo il Ministro, lavorare di piu' per ottenere una prestazione piu' elevata.
Kamsin "Ci sono spazi solo per aggiustamenti ma non per una controriforma". Così l'ex-ministro del Lavoro Elsa Fornero ieri a La7 nel corso della trasmissione DiMartedì. Tra gli aggiustamenti possibili la Fornero ha aperto a maggiore flessibilità in uscita "purchè si tenga conto dell'invecchiamento demografico" e alla possibilità di utilizzare le risorse prelevate dagli assegni piu' alti per integrare la pensione dei giovani con carriere discontinue che escono con il sistema contributivo. Ma secondo l'ex ministro "il passaggio al sistema contributivo resta decisivo e deve compreso dai cittadini: "la pensione oggi si forma sulla base dei contributi versati e non sulla base degli interventi politici" ha detto l'ex-ministro.
La Fornero ha difeso poi la Riforma del 2011 dagli attacchi precisando che non è stato possibile intervenire con maggiore forza contro le pensioni d'oro a causa dei vincoli imposti dalla Corte Costituzionale e delle resistenze politiche in Parlamento. Sugli esodati il Ministro ha respinto le accuse di aver fatto male i calcoli ricordando come non sia possibile, ancora oggi, stimare in modo compiuto i lavoratori che avevano, entro il 2011, siglato accordi individuali e regionali e i contributori volontari.
Per quanto riguarda gli "aggiustamenti" alla Riforma, Alessia Rotta (Pd) ha precisato come si stia trovando una sostanziale convergenza in Commissione Lavoro alla Camera sulle proposte dell'Onorevole Damiano che intendono flessibilizzare l'età pensionabile a partire dai 62 anni di età unitamente a 35 anni di contributi, oppure sulla quota 100. Ma l'intervento sarà possibile solo con la prossima legge di stabilità.
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Pensioni, uscita a 63 anni solo per chi è nel contributivo
Ai lavoratori il cui primo accredito contributivo risulta versato successivamente al 1° gennaio 1996 è richiesto che la prestazione pensionistica sia superiore ad almeno 1,5 volte l'importo dell'assegno sociale.
Kamsin Com'è noto la riforma Fornero, DL 201/2011 ha innalzato requisiti anagrafici per il conseguimento della pensione di vecchiaia prevedendo la parificazione a partire dal 2018 per uomini e donne. Per tale data saranno dunque necessari 66 anni e 7 mesi sia per i lavoratori uomini che per le lavoratrici del settore privato. Ciò con riferimento delle prestazioni nel regime retributivo, misto e contributivo. Il Dl 201/2011 ha inoltre confermato che il trattamento di vecchiaia è conseguibile a condizione che siano stati perfezionati almeno 20 anni di contributi versati o accreditati a qualsiasi titolo.
Per le pensioni da liquidare ai lavoratori a favore dei quali il primo accredito contributivo risulta versato dal 1° gennaio 1996 (i cd. contributivi puri) è prevista tuttavia una ulteriore condizione: la prestazione infatti può essere liquidata con i requisiti anagrafici e contributivi previsti per il sistema retributivo e misto solo nelle ipotesi in cui l'importo del rateo non sia inferiore a 1,5 volte l'ammontare dell'assegno sociale (cioè circa 670 euro per il 2015). Tale soglia minima dovrà essere rivalutata annualmente sulla base delle variazione media quinquennale del Pil, come calcolata dall'Istat.
Si tratta di un importo che di fatto potrebbe ostacolare il pensionamento a quei lavoratori che hanno la minima anzianità contributiva e hanno avuto, nell'arco della vita lavorativa, retribuzioni piuttosto basse; una carriera lavorativa che dunque darebbe diritto a prestazioni previdenziali ridotte. Ciò è vero anche se bisogna ricordare che l'importo del rateo beneficerà di coefficienti di trasformazione piu' elevati che dovrebbero rendere comunque piu' agevole il raggiungimento dell'importo soglia richiesto dalla legge.
Si prescinde da questo importo minimo del rateo nei casi in cui il lavoratore abbia raggiunto un'età pari, almeno a 70 anni (il requisito tuttavia è da adeguare alla stima di vita Istat); in questi casi, inoltre, il requisito contributivo minimo richiesto per avere diritto alla prestazione non sarà piu' di 20 anni ma sarà sufficiente un'anzianità contributiva effettiva pari, almeno, a cinque anni.
In alternativa alla pensione di vecchiaia con le regole sopra descritte i "contributivi puri" hanno anche la possibilità di conseguire la pensione all'età di 63 anni e 3 mesi ed almeno 20 anni di contribuzione effettiva (a condizione però che l'importo del rateo sia almeno pari a 2,8 volte l'assegno sociale, cioè circa 1.250 euro al mese) oppure al raggiungimento di 42 anni e 6 mesi di contributi (41 anni e 6 mesi per le donne) indipendentemente dall'età anagrafica.
Ai fini del perfezionamento di questo requisito contributivo è valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata a favore dell’assicurato, fermo restando che, ai sensi dell’art. 1, comma 7, della legge n. 335 del 1995, ai fini del computo di detta contribuzione non concorre quella derivante dalla prosecuzione volontaria, e quella accreditata per periodi di lavoro precedenti il raggiungimento del 18° anno di età è moltiplicata per 1,5. Nei confronti dei contributivi puri, inoltre, non opera la riduzione del trattamento pensionistico nel caso di accesso alla pensione ad un’età anagrafica inferiore a 62 anni.
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