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Naspi 2015, l'indennità spetta anche i lavoratori licenziati per motivi disciplinari
L'indennità sarà erogata in tutti i casi in cui la disoccupazione è involontaria. Ammessi alla fruizione anche i lavoratori licenziati per motivi disciplinari.
Kamsin La nuova indennità di disoccupazione, Naspi, può essere riconosciuta anche in favore dei lavoratori licenziati per motivi disciplinari e nei casi di accettazione da parte del lavoratore licenziato dell’offerta economica propostagli dal datore nella c.d. “conciliazione agevolata” ex art. 6, D.Lgs. n. 23/2015.
Lo ha precisato il ministero del Lavoro in risposta ad un interpello avanzato dalla Cisl. Il Dicastero precisa che il presupposto per la Naspi resta l'involontarietà della perdita del posto di lavoro senza potersi desumersi, dalla normativa, alcuna esclusione specifica qualora il licenziamento sia avvenuto per motivi diciplinari. La Naspi, in altri termini, "prescinde dalla natura del licenziamento". Pertanto, spiega il Ministero, può essere annoverata anche la fattispecie del licenziamento disciplinare tra quelle coperte dalla Naspi come del resto era avvenuto per l'Aspi con l'interpello 29/2013. Peraltro, il ministero, a sostegno di questa tesi, argomenta come il licenziamento disciplinare sia estraneo alla sfera della "volontarietà" del lavoratore e come lo stesso possa altresì essere impugnato.
Nessun ostacolo anche alla possibilità di percepire il trattamento Naspi da parte di quei lavoratori che accetteranno l'indennità economica prevista dalla nuova offerta conciliativa del contratto a tutele crescenti (articolo 6 del Dlgs 23/2015).
La norma stabilisce, nello specifico, che in caso di licenziamento il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento stesso un importo che non costituisce reddito imponibile e non risulta assoggettato a contribuzione previdenziale e la cui accettazione da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.
Secondo il Ministero tale conciliazione è esclusivamente mirata a far decadere l'impugnativa del licenziamento e, pertanto, l’accettazione in questione non muta il titolo della risoluzione del rapporto di lavoro che resta il licenziamento unilaterale dal parte del datore di lavoro. In tali ipotesi resta quindi fermo il diritto alla Naspi da parte del lavoratore.
seguifb
Zedde
Dis-Coll 2015, ecco come si presenta la domanda per il beneficio. Scarica il modulo
Il Nuovo assegno di disoccupazione per i lavoratori parasubordinati sostituirà l' indennità una tantum prevista dall'attuale normativa. Termini ampi anche per chi ha concluso il rapporto di lavoro agli inizi del 2015.
Kamsin Con la Circolare dell'Inps 83/2015 può formalmente decollare la Dis-coll, la nuova indennità di disoccupazione coniata dall'articolo 15 del decreto legislativo che riforma degli ammortizzatori sociali (Dlgs 22/2015) riconosciuta ai lavoratori parasubordinati. Se infatti la Naspi, la tutela per i lavoratori dipendenti, partirà dal 1° maggio, l'indennità per i parasubordinati era già formalmente in vigore dal 1° gennaio 2015 anche se il ritardo nella pubblicazione delle istruzioni Inps per presentare la domanda aveva reso di fatto impossibile presentare domanda per il sostegno.
Ora l'Inps ha messo nero su bianco le modalità per chiedere il sussidio. I parasubordinati dovranno presentare domanda (a pena di decadenza) entro 68 giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Nessun rischio per quei lavoratori il cui rapporto di collaborazione sia cessato prima della pubblicazione della Circolare (cioè tra la data del 1° gennaio 2015 e il 27 Aprile 2015): l'Istituto ha indicato che il termine di sessantotto giorni decorre a partire dal 27 Aprile.
La presentazione della domanda. La domanda per la dis-coll potrà essere presentata per via telematica a partire dal prossimo 11 maggio ma al fine di consentire comunque l’avvio delle operazioni di istruttoria delle domande e di relativa liquidazione della prestazione, fino a tale data la domanda di sarà accettata anche in forma cartacea o tramite Pec compilando il modulo disponibile a questo indirizzo.
Le condizioni per il beneficio. L'indennità è riconosciuta ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, con esclusione degli amministratori e dei sindaci, iscritti in via esclusiva alla Gestione separata dell'INPS, che non siano pensionati e che non siano titolari di partita IVA, in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione involontaria verificatisi a decorrere dal gennaio 2015 e fino al 31 dicembre 2015. La nuova indennità, che attualmente è prevista in forma sperimentale solo per l'anno 2015 (anche se le intenzioni sarebbero di estenderla anche oltre) sostituirà l'indennità una tantum per i parasubordinati prevista dalla attuale disciplina.
Per avere diritto alla Dis-Coll è necessario possedere, congiuntamente, i seguenti requisiti: a) stato di disoccupazione al momento della domanda di prestazione; b) almeno tre mesi di contribuzione nel periodo intercorrente tra il 1° gennaio dell'anno solare precedente la cessazione dell'attività lavorativa e la cessazione dell'attività stessa; c) almeno un mese di contribuzione, oppure un rapporto di collaborazione di durata almeno pari a 1 mese dal quale sia derivato un reddito almeno pari alla metà dell'importo che dà diritto all'accredito di 1 mese di contribuzione, nell'anno solare in cui si verifica la cessazione dall'attività lavorativa.
Sulla misura dell'assegno che va in tasca ai disoccupati, si applicano le stesse regole stabilite per i lavoratori dipendenti con la Naspi. La misura è pari al 75% dei compensi fino a 1.195 euro al mese e poi scende al 25% sulle quote dei compensi superiori a tale importo. In ogni caso l'assegno massimo è di 1.300 euro lordi al mese. La norma però prevede una riduzione: a partire dal primo giorno del quarto mese l'assegno in pagamento viene ridotto del 3% per ogni mese.
L'assegno sarà pagato per un numero di mesi pari alla metà di quelli che nel 2014 sono stati coperti integralmente con i contributi Inps. Ad esempio, se sono stati versati contributi per otto mesi l'indennità Inps sarà corrisposta per quattro mesi. Il tetto massimo è pari a sei mesi.
A differenza di quanto previsto con la Naspi per i periodi di fruizione della Dis-Coll non sono riconosciuti i contributi figurativi e per avere diritto all'indennità i lavoratori dovranno presentare istanza all'Inps entro il termine di decadenza di 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Il Ministro del Lavoro ha, comunque, rassicurato nel corso di una interrogazione parlamentare che anche chi ha perso il lavoro agli inizi del 2015, e che quindi non ha potuto fare domanda entro tale termine per la mancanza delle istruzioni operative dell'Inps, avrà termini piu' estesi e potrà essere ammesso all'indennità.
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Zedde
Documenti: Il Modulo per presentare la domanda per la Dis-Coll
Giorgio Gori - Patronato Inas
Riforma Pensioni, Damiano: no al reddito minimo. Serve la quota 100
“Si rischia di negare un diritto pensionistico trasformando quest’ultimo in assistenza”. Serve un anticipo strutturale dell'età pensionabile con il ritorno al sistema delle quote.
Kamsin "Concluso l'esame dei decreti sul Jobs Act convocheremo in audizione il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti e i vertici dell'Inps". Lo dichiara in una nota il Presidente della Commissione Lavoro, Cesare Damiano, che si dice "preoccupato" per le dichiarazioni delle ultime settimane dell'Inps e dello stesso Ministro sulle reali intenzioni di modificare la Legge Fornero sulle Pensioni.
Sostanzialmente il Governo e l'Inps ci stanno dicendo che vogliono estendere l'Asdi alla fascia degli ultra 55enni senza lavoro e in condizioni di bisogno dal prossimo anno. Non siamo contrari in modo assoluto alla misura però diciamo che non è questa la strada da seguire. L'assegno di disoccupazione è, infatti, un sostegno assistenziale che eroga sino ad massimo di 450-500 euro al mese indipendentemente dai contributi versati, uno strumento utile - sottolinea Damiano - per affrontare situazioni particolarmente complesse e disagiate ma che non può soddisfare le esigenze di flessibilizzare l'età pensionabile.
Correremmo altrimenti il rischio di intervenire con una misura assistenziale laddove alcuni potrebbero andare in pensione. E' come dire ad un lavoratore disoccupato che ha versato 40 anni di contributi ma che non ha agganciato i requisiti per la pensione pubblica: ti prendi un indennizzo uguale a quello concesso ad uno che non ha mai lavorato o che magari lo ha fatto sempre in nero. L'assegno, inoltre, sarebbe corrisposto solo al di sotto di un certo reddito tagliando fuori, di fatto, una larga fetta di lavoratori che hanno perso il posto".
Come si vede rischiamo di produrre una profonda ingiustizia. Per questo bisogna accelerare sull'introduzione dei pensionamenti flessibili a partire dai 62 anni di età". Noi, come partito democratico, abbiamo depositato due disegni di legge in Commissione Lavoro (uno sulla quota 100, l'altro che consente l'uscita da 62 anni e 35 di contributi con un taglio dell'8% oppure a 41 anni di contributi) sui quali ci attendiamo un confronto sereno e costruttivo con il Governo.
seguifb
Zedde
Riforma Pensioni, torna in pista la staffetta generazionale nelle Pa. Ecco l'emendamento
Un emendamento al ddl delega sulla Pa proposto da Hans Berger promuove il ricambio generazionale mediante la riduzione su base volontaria e non revocabile dei lavoratori prossimi al pensionamento. Ma costoro dovranno pagarsi i contributi.
Kamsin "Abbiamo riformulato l'emendamento che rimette in pista l'ipotesi della staffetta generazionale nelle pubbliche amministrazioni tenendo in considerazione i rilievi della Rgs". Lo ricorda in una nota diffusa in serata dal Senatore Hans Berger a proposito del lavoro svolto dal Gruppo delle Autonomie in Assemblea sul disegno di legge delega di Riforma della Pubblica Amministrazione dopo alcune indiscrezioni di stampa.
"Il governo e il relatore alla riforma della Pubblica amministrazione, Giorgio Pagliari, si sono detti disponibili a valutare la nostra proposta di staffetta generazionale perchè è facoltativa e soprattutto non comporta nuovi oneri nè a carico dell'amministrazione nè per l'Inps. Ma le votazioni sull'emendamento si svolgeranno nelle prossime sedute" precisa Berger e quindi "la misura non è stata ancora approvata".
"Ai dipendenti pubblici prossimi alla pensione diamo la possibilità di scegliere per un contratto di lavoro part-time con riduzione delle ore lavorate e della relativa retribuzione. Chi sceglie questa strada dovrà tuttavia sostenere il costo del versamento dei contributi previdenziali sino all'età di pensionamento effettivo. In cambio le amministrazioni pubbliche potranno assumere nuovo personale" conclude Berger.
L'ipotesi di Berger a ben vedere non è tuttavia molto conveniente per lo statale: se il progetto dovesse essere approvato, infatti, chi opta per la riduzione dell'orario di lavoro avrà una riduzione di stipendio e in piu' dovrà mettere mano al portafogli per versare la differenza dei contributi tra il part time ed il tempo pieno.
L'emendamento prevede "la facoltà, per le amministrazioni pubbliche, di promuovere il ricambio generazionale mediante la riduzione su base volontaria e non revocabile dell'orario di lavoro e della retribuzione del personale in procinto di essere collocato a riposo, garantendo, attraverso la contribuzione volontaria ad integrazione ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 564 del 1996, la possibilità di conseguire l'invarianza della contribuzione previdenziale, consentendo nel contempo, nei limiti delle risorse effettivamente accertate a seguito della conseguente minore spesa per redditi, l'assunzione anticipata di nuovo personale, nel rispetto della normativa vigente in materia di vincoli assunzionali. Il ricambio generazionale di cui alla presente lettera, non deve comunque determinare nuovi o maggiori oneri a carico degli enti previdenziali e delle amministrazioni pubbliche".
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Garanzia Giovani, niente stage nelle pubbliche amministrazioni
Una nota del Ministero del Lavoro precisa che non è possibile effettuare stage negli uffici pubblici nell'ambito della Garanzia Giovani.
Kamsin No agli stage per i giovani destinatari del Piano Garanzia Giovani con età ricompresa tra 15 e 29 anni all'interno delle Pubbliche Amministrazioni. Lo precisa il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la nota n.7435/2015. Nell'ambito della Garanzia Giovani sono infatti previsti appositi percorsi che prevedono la possibilità di poter fare esperienza in imprese/aziende per una durata massima di sei mesi, che si raddoppiano nei casi che si tratti di giovani diversamente abili o in sitazione di "svantaggio".
Il Ministero chiarisce però che il prinicipio per il quale l'accesso agli impieghi presso la PA debba avvenire per mezzo di concorsi, ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione, determina l'esclusione delle Amministrazioni Pubbliche dal poter ospitare tirocini nell'ambito del Programma suddetto proprio a causa dell'impossibilità che i periodi di tirocinio presso Soggetti/Enti Pubblici, nazionali o internazionali, consentano un successivo inserimento lavorativo come richiede il Programma. Lo scopo dei tirocini è infatti l'inserimento o reinserimento lavorativo del giovane e non può avvenire nella PA, in quanto l'unica modalità di accesso è quella del concorso pubblico.
Con la medesima nota il Dicastero di Via Veneto, sebbene non risulti una norma che lo vieti espressamente, suggerisce di fatto di non instaurare un tirocinio in presenza di un rapporto/vincolo di parentela tra il titolare dell'impresa ospitante e il tirocinante. Cio' al fine di evitare l'abuso nell'attuazione della misura.
seguifb
Zedde
Altro...
Statali, il Governo avvia il portale dedicato alla mobilita' del personale in soprannumero
Al via il portale della mobilità, nella pubblica amministrazione, indispensabile per garantire la ricollocazione del personale in esubero proveniente dalle province.
Kamsin Parte formalmente sul sito www.mobilita.gov.it l'applicazione informatica con la quale le amministrazioni interessate sono tenute a rendere disponibile l'elenco dei dipendenti da mettere in mobilità ai sensi dei commi 423 e seguenti della legge 23 dicembre 2014, n. 190. Dovrebbe così entrare nel vivo una procedura che per la verità ha già subito più di un ritardo anche per la difficoltà di sincronizzare le norme della riforma Delrio, integrata dall'ultima legge di Stabilità, con l'azione delle Regioni a cui toccherebbe assorbire una quota del personale in esubero.
Manca poi un altro tassello che l'esecutivo si è impegnato a completare quanto prima, ed è quello relativo al decreto ministeriale che conterrà i criteri per la ricollocazione dei lavoratori in mobilità con le relative tabelle di equiparazione che dovrebbero fare in modo che il trasferimento da un comparto all'altro avvenga a parità di stipendio.
Con la pubblicazione dell'applicativo informativo le varie amministrazioni provinciali potranno iniziare ad indicare nome e cognome di coloro che non ritengono più necessari, data la riduzione delle proprie funzioni e il conseguente taglio del 50 per cento degli organici (limitato al 30 per cento per i grandi centri, che si stanno trasformando in città metropolitane).
Per loro i percorsi possibili saranno principalmente quattro. Chi riesce a centrare la decorrenza della pensione, calcolata con le vecchie regole, entro il 2016 potrà essere avviato al pensionamento, in deroga alla Legge Fornero (articolo 22 del Decreto legge 95/2012). Ci sono poi i dipendenti attualmente impegnati nei servizi per l'impiego, che dovrebbero essere assorbiti dalla nuova Agenzia nazionale, anche se il punto è ancora oggetto di discussione con le Regioni. Quindi i componenti della polizia provinciale, il cui destino è legato al riordino dei corpi di polizia, in via di definizione nell'ambito della legge delega di riforma della Pubblica amministrazione. Infine restano i dipendenti che dovrebbero effettivamente essere trasferiti tra enti locali e amministrazioni pubbliche, poco meno della metà dei 20 mila complessivamente interessati dal processo di mobilità. Il futuro di queste persone dipende in buona parte dalle scelte delle Regioni, chiamate a decidere con proprie leggi quali funzioni in precedenza gestite dalle Province intendano assorbire.
In relazione alla necessità di ricollocare il personale, il legislatore vincola inoltre gli enti a destinare il 100% del turn over alla mobilità del personale degli enti di area vasta (salvaguardando però l'assunzione dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate al 1° gennaio 2015). In sostanza le regioni e gli enti locali dovranno destinare il budget delle assunzioni relativo agli anni 2015 e 2016 (quello cioè riferito alle cessazioni 2014 e 2015) per ricollocare il personale soprannumerario proveniente dalle province. Le regioni, inoltre, valuteranno se estendere l'obbligo anche agli enti del Servizio sanitario regionale in relazione al loro fabbisogno di personale amministrativo e adotteranno al riguardo appositi atti di indirizzo per un'applicazione del comma coerente con il regime delle assunzioni degli enti del medesimo Servizio sanitario regionale.
seguifb
Zedde
Pensioni, l'Inps avvia il ricalcolo degli assegni liquidati ante 1° gennaio 2015
L’obiettivo è verificare che l'importo complessivamente erogato non superi quanto sarebbe stato conseguito applicando il sistema retributivo vigente sino al 2011.
Kamsin L'Inps sta procedendo al ricalcolo degli assegni liquidati dopo il 2012 per quei lavoratori che hanno almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995. L'obiettivo è verificare che l'importo dei trattamenti erogati non superi quanto sarebbe stato corrisposto con il sistema retributivo in ossequio al nuovo "tetto" introdotto dall'articolo 1, comma 707 della legge 190/2014 (legge di stabilità 2015). La misura avrà, infatti, effetti anche sugli assegni già liquidati ante 2015 e, pertanto, l'istituto dovrà effettuare il raffronto su tutti i lavoratori usciti dal 2012 in poi con le regole Fornero e procedere, eventualmente, al recupero delle somme indebitamente corrisposte a decorrere dal 1° gennaio 2015.
Il Doppio Calcolo. La Circolare Inps 74/2015 chiarisce che dovrà essere messo in pagamento l'importo minore tra la cifra determinata con il sistema di calcolo vigente (cioè retributivo sino al 2011 e contributivo pro rata dal 1° gennaio 2012) e quella determinata applicando il calcolo interamente retributivo per tutte le anzianità contributive maturate dall’assicurato.
L'assegno determinato con questa seconda modalità di calcolo sarà tuttavia meno penalizzante rispetto a quanto si riteneva all'indomani dell'approvazione della misura. Infatti da un lato l'Inps precisa che potranno essere valorizzate con l'aliquota di rendimento prevista con il sistema retributivo (2% e poi mano mano decrescente al crescere dell’importo della stessa retribuzione pensionabile) anche le anzianità contributive eccedenti i 40 anni di contributi (superando il concetto di massima anzianità contributiva); dall'altro l'istituto indica che possono essere valorizzati tutti i periodi lavorativi accreditati compresi quelli eventualmente maturati dalla data di conseguimento del diritto a quella di effettiva corresponsione della pensione.
Insomma per confrontare l'importo dell'assegno in essere si utilizzerà un calcolo retributivo diverso da quello in vigore fino al 31 dicembre 2011 e piu' favorevole potendosi derogare al limite massimo di anzianità contributiva valorizzabile. Rimarranno invece inalterati i criteri per la determinazione della retribuzione pensionabile e delle aliquote di rendimento per la generalità dei lavoratori che, com'è noto, decrescono al crescere dell’importo della stessa retribuzione pensionabile.
L'Inps, come indicato, metterà in pagamento l’importo minore determinato dal raffronto fra i due sistemi di calcolo.
Gli effetti - I lavoratori maggiormente colpiti dall'innovazione, cioè quelli per i quali l'importo del trattamento determinato attraverso il secondo sistema di calcolo è inferiore a quello attualmente vigente, sono coloro che cessano con un'anzianità anagrafica superiore all'età prevista per la pensione di vecchiaia (cioè oltre i 66 anni e 3 mesi) e con retribuzioni medie superiori a circa 46mila euro annui, cioè superiori al tetto pensionabile vigente nel sistema retributivo.
Costoro, infatti, non avendo nessun massimale sulle retribuzioni, riescono a valorizzare, con il sistema contributivo, l'intera cifra sulla terza quota di pensione (quota C) ottenendo, quindi una prestazione superiore a quella determinata con il secondo sistema di calcolo grazie anche all'attivazione di coefficienti di trasformazione piu' succulenti perchè calcolati sino al 70° anno di età.
Il perimetro di applicazione del taglio risulta quindi interessare potenzialmente soprattutto i professori universitari, i dirigenti, i medici, i magistrati e alti funzionari delle forze militari o dello stato (i cd. grand commis) che com'è noto possono restare in servizio sino a 70-75 anni sfruttando retribuzioni medie lorde ben superiori ai 100mila euro; mentre non dovrebbero sussistere effetti negativi per i lavoratori con retribuzioni medio-basse che magari si trattengono oltre il 40° anno di versamenti sul posto di lavoro. Cio' in virtu' proprio del superamento del concetto di massima anzianità contributiva che, altrimenti, avrebbe costituito un ulteriore limite alla crescita degli assegni nel sistema retributivo determinando la spiacevole conseguenza di travolgere anche gli assegni di importi bassi.
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Zedde
Opzione Donna, Poletti: valutiamo la proroga della pensione a 57 anni
Le domande delle lavoratrici che maturano i requisiti nel corso del 2015 non dovranno essere respinte in attesa che il Ministero del Lavoro decida sull'estensione di un anno del regime.
Kamsin "L'INPS sta raccogliendo le domande delle lavoratrici che maturano i requisiti anagrafici e contributivi nel corso del 2015 per l'esercizio della cd. opzione donna. Saremo quindi a breve in grado di valutare le risorse economiche e le condizioni per risolvere questo nodo, che, come è noto, è pendente da un po’ di tempo". Lo ricorda il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in una nota inviata alla nostra redazione. "La stessa legge istitutiva (articolo 1, comma 9 della legge 243/04, ndr) prevede che al termine della sperimentazione il Governo verifichi i risultati della stessa, al fine di una sua prosecuzione".
"Il tema è all'attenzione del nuovo presidente dell'Inps Tito Boeri" ha indicato Poletti assieme all'altro punto sul quale stiamo lavorando "cioè la possibilità di intervenire nei confronti di quei cittadini che, vicini al pensionamento, perdono il lavoro e non raggiungono la maturazione dei requisiti, nonostante gli ammortizzatori sociali". "Abbiamo diverse criticità da risolvere e l'intenzione del Governo è quella di dare una risposta a questi problemi."
La Questione. Com'è noto si tratta della possibilità offerta alle lavoratrici di conseguire prima la pensione in presenza cioè di almeno 35 anni di contributi e un'età non inferiore a 57 anni e tre mesi (lavoratrici dipendenti) ovvero 58 e tre mesi (autonome). Unica condizione: optare per il calcolo di tutta la pensione con la regola contributiva.
L'opzione è stata salvata dalla riforma Fornero del 2012 che ha allungato l'età per la pensione a 63 anni e 9 mesi (dipendenti del privato) e a 66 anni e 3 mesi (impiegate pubbliche). Nella circolare Inps 35/2012 l'Istituto ha precisato però che le lavoratrici possono avvalersene soltanto se, entro il termine del 31 dicembre 2015, riescono a ricevere la liquidazione della pensione (cioè la decorrenza) e non solamente a maturare i requisiti (cioè il diritto). In pratica, nel calcolo del termine per l'opzione (31 dicembre 2015), deve tenersi conto anche della finestra mobile di 12 mesi per i dipendenti e 18 mesi per gli autonomi. E ciò lascia fuori tutte le lavoratrici che non hanno agguantato i requisiti nel 2015.
L'Inps con gli ultimi messaggi di dicembre diramati in proposito, ha indicato, tuttavia, che le donne che maturano i requisiti nel 2015 possono comunque presentare la domanda di pensione. Nello specifico nei messaggi, l'Ente assicuratore ha precisato che le donne lavoratrici con un'età anagrafica di 57 anni e 3 mesi e 35 di contributi, conseguiti nel corso del 2015, anche se la decorrenza del trattamento pensionistico è successiva al 31 dicembre 2015, non devono essere rigettate ma "tenute in evidenza" in attesa che il Ministero del Lavoro decida sull'eventuale stralcio dei limiti imposti dalle attuali Circolari. Sul punto pende anche il ricorso collettivo al Tar del Lazio avviato dal Comitato guidato da Dianella Maroni.
Seguifb
Zedde
Riforma Pensioni 2015, Damiano: oltre agli esodati occupiamoci anche dei giovani
Anche se una soluzione ben definita non c'è, il governo Renzi si è dato come sua priorità quella di garantire la pensione agli ultracinquantenni ma non c'è alcuna garanzia per i giovani di oggi.
Kamsin Prevedere una sorta di integrazione al minimo anche ai giovani che hanno la pensione calcolata con il sistema contributivo. Lo ricorda Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro e presidente dell'omonima commissione della Camera, in una intervista raccolta dal Quotidiano Il Garantista. Un sostegno di almeno 500 euro al mese - sostiene Damiano - a carico della fiscalità generale, corrispondente all'incirca ad una pensione sociale, al quale aggiungere i contributi versati nel corso della vita di lavoro per poi procedere al calcolo tutto contributivo della pensione.
Quando parliamo di pensioni dei giovani commettiamo un errore e ci soffermiamo soltanto sul passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo avvenuto con la riforma Dini. Nel primo caso la pensione viene calcolata sulla media delle retribuzioni degli ultimi dieci anni. E la cosa potrebbe risultare favorevole se c'è un versamento di contributi continuativo. Nell'altro caso, invece, l'assegno viene conteggiato sulla base dei contributi versati dal primo all'ultimo giorno di lavoro. Con un risultato meno conveniente se non si è percepita una retribuzione alta e avuto una carriera regolare. Ma oggi un giovane, se parliamo di un'occupazione dignitosa, entra nel mondo del lavoro non prima dei 30 anni. Spesso il primo "contatto" avviene attraverso uno stage o un passaggio nel lavoro nero o grigio, sottopagato o senza contributi. E, rispetto al passato, si continuerà poi negli anni con paghe più basse, contratti temporanei e contribuzioni frastagliate. E' sommando tutto questo abbiamo pensioni che possono scendere anche al 40 per cento dell'ultima retribuzione.
La Soluzione? Va anticipato l'ingresso nel mondo del lavoro, nella logica dell'alternanza scuola/occupazione insita nell'apprendistato. Il contratto a tutele crescenti potrebbe consentire una continuità sotto il profilo contributivo e quello retributivo. Quando si perde il lavoro, bisogna garantire contributi figurativi per non abbassare il monte dei contributi pensionistici.
Torniamo a una fiscalità di vantaggio sulle pensioni integrative, che non possono essere equiparate al risparmio di carattere speculativo. E si deve cancellare la revisione negativa dei coefficienti quando cala il Pil, ai fini della rivalutazione degli assegni. Se vogliamo qualcosa di più strutturale c'è una sola soluzione. Ma è molto costosa. Fissare uno "zoccolo" minimo di 500 euro mensili pagato dalla fiscalità generale a partire dal quale calcolare le pensioni con il sistema contributivo, per chi non ha accumulato contributi sufficienti.
Seguifb
Zedde
Assegni al Nucleo Familiare, sì al contributo anche se la famiglia si trova all'estero
I lavoratori stranieri occupati in Italia hanno diritto all'assegno per il nucleo familiare, anche se i congiunti sono residenti all'estero.
Kamsin L'assegno per il nucleo familiare spetta anche ai lavoratori stranieri titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo i cui congiunti non siano residenti in Italia. Lo ha stabilito il tribunale di Brescia (ordinanza n. 4163/2014 emessa il 13 aprile e pubblicata sul sito inps dell'istituto), ordinando all'Inps ad erogare circa 24 mila euro di assegni arretrati a sei lavoratori titolari di permesso di soggiorno Ce di lungo periodo.
La Questione. Attualmente l'Inps riconosce l'Anf ai lavoratori cittadini italiani o comunitari con riferimento ai familiari ovunque residenti e a lavoratori extracomunitari con riferimento ai familiari residenti in Italia (salvo che si tratti di paesi con i quali siano vigenti specifiche convenzioni). Il tribunale ha indicato che questa normativa viola quanto disposto dall'art. 11 della direttiva 2003/109/Ce, a norma del quale «il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento del cittadino nazionale per quanto riguarda le prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione sociale. Gli stati membri possono limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale e protezione sociale alle prestazioni essenziali».
La direttiva è stata recepita con l'art. 7 del dlgs n. 3/2007 che ha sostituito l'art. 9 del dlgs 286/1998 (il Tu. immigrati), stabilendo (comma 12 lett. c) che il lungo soggiornante può «usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale (...), salvo che sia diversamente disposto»; lo stato italiano non si è avvalso della facoltà di deroga, perché essa non può essere ravvisata nell'art. 2 della legge n. 153/1988 (che impone il requisito di residenza ai familiari dei cittadini stranieri), in quanto avrebbe dovuto operare una scelta espressa, successiva e non antecedente alla direttiva e al suo recepimento. Ne consegue, conclude il tribunale, la necessaria disapplicazione della norma dell'art. 2 della legge n. 153/1988 per contrasto con la direttiva 2003/109/Ce, nonché l'ulteriore necessità di disapplicare le determinazioni dell'Inps adottate e di accertare il diritto all'assegno per il nucleo familiare anche per i periodi in cui i familiari erano residenti all'estero.
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